Il tessuto imprenditoriale italiano si trova oggi ad affrontare una minaccia insidiosa quanto devastante: quella cibernetica. Il problema si configura come una piaga che attraversa l’intera penisola, mettendo a rischio il tessuto imprenditoriale italiano. Il danno più grave? Non è solo economico, ma riguarda la reputazione, un patrimonio costruito in decenni di impegno e affidabilità.
I video deepfake
Le minacce informatiche sono sempre più sofisticate e subdole. Non si tratta più solo di attacchi frontali e immediatamente riconoscibili. Oggi siamo di fronte a forme di contaminazione silenziose, che impiantano righe di codice malevolo nei sistemi aziendali, lasciandole dormienti per mesi, a volte anni, per poi attivarle al momento opportuno, prendendo il controllo delle strutture e dei dati. Un esempio lampante sono i deepfake video: non più fantascienza, ma una realtà con cui le aziende devono fare i conti. Immaginate di ricevere un video dal vostro ceo o da un collega fidato che vi intima, con apparente urgenza, di effettuare un bonifico a un fornitore. L’identità digitale viene completamente falsificata, e la richiesta, seppur anomala, appare legittima. Il pericolo è enorme, perché sfrutta la fiducia interpersonale, un punto di forza nelle relazioni aziendali, per scopi malevoli.
Accanto a queste nuove frontiere il ransomware rimane una delle minacce più diffuse e impattanti. Queste linee di codice, una volta attivate, criptano i sistemi aziendali, rendendo inaccessibili dati e infrastrutture e bloccando l’intera operatività. Quanto accaduto in passato alla Regione Lazio, con il blocco delle prestazioni sanitarie, è un monito per tutti: nessuno è immune, e le conseguenze possono essere catastrofiche, con implicazioni che vanno ben oltre il singolo bilancio aziendale, fino a toccare servizi essenziali per la collettività.
I protocolli internazionali
Per le aziende italiane, in particolare quelle che si sono ritagliate un ruolo di leader in nicchie di mercato ad alto valore aggiunto, la reputazione è tutto. Le nostre aziende hanno investito decenni per abbinare al prodotto di alta qualità un nome che fosse sinonimo di fiducia e affidabilità. Un attacco informatico, con la conseguente interruzione dei servizi, la perdita di dati o, peggio ancora, la compromissione delle informazioni dei clienti, può polverizzare questo patrimonio in un istante. I protocolli internazionali, sempre più stringenti in materia di cybersecurity, prevedono la possibilità di tagliare i rapporti con fornitori considerati fattori di rischio. Questo significa che un’azienda che subisce un attacco e non dimostra di aver gestito adeguatamente la crisi, rischia non solo di perdere clienti, ma anche di essere estromessa da filiere produttive e distributive cruciali. Il tema, quindi, non è solo tecnologico, ma strategico e di sopravvivenza.
Le imprese manifatturiere, dalla meccanica di precisione al tessile, dall’agroalimentare al design, rappresentano il settore più bersagliato. Questo perché spesso detengono un capitale intellettuale inestimabile, un saper fare unico che le rende estremamente attraenti agli occhi dei cybercriminali. Un’attenzione particolare va data alle nostre pmi che non producono beni di massa, ma soluzioni di nicchia, dove il valore risiede proprio nel know-how e nella fiducia consolidata con i clienti. È questo il motivo per cui la reputazione è l’elemento più a rischio. Purtroppo molte di queste aziende, comprensibilmente focalizzate sugli aspetti di produzione e vendita, hanno ancora una sensibilità arretrata verso i temi della cybersecurity, contrariamente ai grandi gruppi che possono contare su risorse e competenze dedicate.
La minaccia del phishing
Come possiamo, allora, inculcare la necessità di una prevenzione efficace? La chiave risiede in un cambio di mentalità e metodo. Molto spesso dietro un attacco c’è un errore umano, una vulnerabilità che poteva essere evitata. La prevenzione, dunque, si costruisce su tre pilastri fondamentali: persone, tecnologie e processi. Ma è dal primo che dobbiamo partire. I dipendenti sono la prima linea di difesa e la loro sensibilizzazione sui rischi è cruciale. Programmi di formazione, simulazioni di attacchi (come l’invio di false e-mail di phishing per testare la loro reattività) sono strumenti indispensabili per elevare la consapevolezza e la prontezza del personale.
Parallelamente è necessario progettare una robusta difesa tecnologica con il monitoraggio delle minacce e la gestione degli accessi. Infine, sotto il profilo della governance, è imperativo definire processi chiari, mappando i rischi e stabilendo procedure per la gestione degli incidenti e un piano di continuità operativa.
Le aziende italiane sono costrette a misurarsi con un contesto economico, tecnologico e geo-politico estremamente complesso (pensiamo alle tensioni internazionali, al cybercrime o ai dazi recentemente imposti) che presenta nuove sfide: la sicurezza informatica non è più un’opzione, è una priorità. Non basta investire in tecnologia: serve cultura, metodo e visione. Solo così il Made in Italy continuerà a essere sinonimo di eccellenza e, soprattutto, di fiducia. (riproduzione riservata)
*amministratore delegato
di Getronics Italia
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