Il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera a un disegno di legge costituzionale che mira a riscrivere parzialmente l’articolo 114 della Carta fondamentale, assegnando a Roma Capitale maggiori poteri e autonomia.
Proposto dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dalla ministra per le Riforme istituzionali Maria Elisabetta Alberti Casellati, il provvedimento intende formalizzare un nuovo assetto giuridico per la città, riconoscendole lo status di “ente costitutivo della Repubblica”.
Si tratterebbe di un cambiamento di rilievo: oggi l’articolo 114 riconosce come soggetti costitutivi dello Stato i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e lo Stato stesso. L’inserimento di Roma Capitale in questo elenco rappresenta un salto di qualità nel suo riconoscimento istituzionale, una sorta di promozione a soggetto autonomo con una dignità pari agli altri livelli di governo territoriale.
Roma Capitale aumenta i suoi poteri e la sua autonomia
L’obiettivo dichiarato è quello di colmare l’anomalia di una Capitale che, pur essendo il cuore politico e amministrativo del Paese, non ha mai goduto di strumenti adeguati per gestire in modo efficiente il suo territorio complesso e articolato. Roma si estende su una superficie pari a quella di un’intera provincia e concentra al suo interno funzioni amministrative centrali, internazionali e simboliche. Tuttavia, negli anni ha dovuto fare i conti con competenze frammentate, risorse inadeguate e una governance talvolta inefficace.
Le nuove competenze legislative: tra ambizione e limiti
La riforma prevede che Roma possa esercitare competenze legislative in una serie di materie cruciali: mobilità urbana, sicurezza amministrativa, pianificazione territoriale, attività produttive, promozione turistica e culturale, edilizia pubblica, welfare locale e funzionamento dell’apparato amministrativo.
Le competenze saranno di tipo concorrente — cioè condivise con lo Stato — oppure residuali, quindi esercitabili solo in assenza di leggi statali specifiche.
Tuttavia, anche questo nuovo potere normativo è soggetto a limiti: dovrà infatti rispettare i principi fissati dall’articolo 117 della Costituzione, che stabilisce le materie di esclusiva competenza dello Stato e quelle condivise con le Regioni. Questo significa che Roma non potrà legiferare in modo completamente autonomo, e dovrà comunque tenere conto del quadro normativo nazionale.
Autonomia e decentramento: cosa cambia nella pratica
Un passaggio chiave riguarda la definizione dello statuto e dell’ordinamento della nuova Roma Capitale. Questi aspetti non saranno fissati direttamente dalla riforma, ma affidati a una legge ordinaria approvata dal Parlamento a maggioranza assoluta. Tale legge dovrà essere elaborata ascoltando il Consiglio della Regione Lazio e l’Assemblea capitolina, e dovrà specificare quali saranno gli strumenti di autonomia amministrativa e finanziaria a disposizione del nuovo ente.
Il testo apre anche alla possibilità di rafforzare il decentramento interno, prevedendo nuove forme di organizzazione municipale o sub-municipale, in modo da avvicinare i servizi pubblici ai cittadini e ridurre i disagi spesso causati da un’amministrazione centrale sovraccarica. Tuttavia, la reale portata di questi cambiamenti dipenderà molto da come verrà scritta la legge attuativa e da quali risorse saranno effettivamente destinate alla Capitale.
Quando entreranno in vigore i nuovi poteri
La riforma prevede un meccanismo di attuazione graduale. Le nuove competenze legislative potranno essere esercitate solo dopo il rinnovo dell’Assemblea capitolina successivo all’entrata in vigore della modifica costituzionale. Questo significa che, nella migliore delle ipotesi, Roma non potrà iniziare a legiferare autonomamente prima di diversi mesi, se non anni. Nel frattempo, continueranno a essere applicate le norme regionali del Lazio, evitando così un vuoto normativo durante la transizione.
Le criticità: un’autonomia ancora tutta da costruire
Sebbene la riforma nasca con l’intento dichiarato di rafforzare la capacità amministrativa e decisionale di Roma, il disegno di legge costituzionale solleva numerosi dubbi sulla sua reale efficacia e sulle modalità con cui potrà essere attuato. Il nodo centrale riguarda l’autonomia legislativa concessa alla Capitale: un concetto ambizioso, ma al momento ancora privo di contenuti operativi chiari.
Le materie affidate alla futura potestà legislativa romana — dai trasporti al commercio, dall’urbanistica alla cultura — sono già oggi soggette a una stratificazione normativa che coinvolge lo Stato, le Regioni e gli enti locali. In questo contesto, l’introduzione di un ulteriore livello legislativo, se non accompagnato da un rigoroso sistema di coordinamento, rischia di aggravare la già nota complessità normativa, anziché semplificarla.
A ciò si aggiunge il fatto che la riforma demanda a una successiva legge ordinaria — da approvare a maggioranza assoluta — la definizione dell’ordinamento interno di Roma Capitale. Questo rinvio, se da un lato è tecnicamente necessario per specificare nel dettaglio l’architettura del nuovo ente, dall’altro apre a scenari di stallo politico e a potenziali conflitti istituzionali. Senza un chiaro cronoprogramma né garanzie sui tempi di approvazione, si rischia che la riforma resti per lungo tempo in una fase di sospensione normativa, con effetti incerti sulla governance cittadina.
Regione Lazio e Roma: un equilibrio delicato
Un’ulteriore area di potenziale tensione riguarda il rapporto tra Roma Capitale e la Regione Lazio. La riforma attribuisce competenze legislative a entrambe le istituzioni su materie che spesso si sovrappongono, senza definire in modo preciso i rispettivi ambiti di intervento. Questo scenario potrebbe generare frizioni, soprattutto se la Regione decidesse di attivare il cosiddetto regionalismo differenziato, previsto dall’articolo 116 della Costituzione.
In tal caso, lo Stato e la Regione dovrebbero stipulare un’intesa che tenga conto anche delle prerogative di Roma Capitale. Tuttavia, la riforma non chiarisce in che modo verranno risolti eventuali contrasti tra le normative regionali e quelle capitoline. Senza un sistema efficace di coordinamento, il rischio è quello di aprire una stagione di conflitti istituzionali tra Regione e Comune, con ricadute dirette sull’efficienza dei servizi pubblici e sulla chiarezza delle regole per cittadini e imprese.
Il nodo delle risorse: autonomia finanziaria a rischio?
Accanto alle questioni normative, un ulteriore elemento critico riguarda la sostenibilità economica del nuovo assetto. Il testo della riforma prevede che Roma Capitale goda di una “peculiare autonomia finanziaria”, ma non specifica in cosa consisterà né come verranno riequilibrati i rapporti finanziari con lo Stato e con la Regione.
Questo silenzio è particolarmente problematico, considerando che Roma soffre da anni di un cronico squilibrio tra le esigenze di una metropoli con funzioni nazionali e internazionali e le risorse effettivamente disponibili. Il rischio concreto è che, pur dotata di nuovi poteri legislativi, la Capitale non disponga dei mezzi necessari per esercitarli in modo efficace. In assenza di un trasferimento adeguato di fondi, l’autonomia rischia di restare solo sulla carta, senza ricadute reali sulla qualità dei servizi o sulla capacità di pianificazione dell’amministrazione locale.
Verso una Capitale con più poteri?
Il riconoscimento di Roma come ente autonomo e costitutivo della Repubblica rappresenta senza dubbio un passo simbolicamente importante per una città che, pur essendo il cuore istituzionale del Paese, ha spesso sofferto di una governance frammentata e poco incisiva. Tuttavia, perché questa riforma non resti una dichiarazione di intenti, sarà necessario un attento lavoro normativo e amministrativo che trasformi l’autonomia in strumenti efficaci di governo. Solo così Roma potrà realmente rispondere alle complessità del suo ruolo di Capitale.
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