In attesa dei dettagli, lo scenario macro in materia di relazioni euro-americane vede una sufficiente continuità che permette di trasformare i problemi in opportunità. Queste non generate dalla politica, ma da iniziative private audaci che individuino e diano struttura alle opportunità stesse negli spazi non regolati o non impediti dagli accordi statuali. Una di queste per l’Italia, secondo me, è la creazione di una banca privata di investimento italo-americana innovativa: American Italian Investment Bank. Qui un’ipotesi.
Flussi di capitale dagli Usa all’Italia: perché serve una banca d’investimento transatlantica
L’idea mi è venuta nelle conversazioni con investitori statunitensi che esploravano opportunità e collaborazioni di investimento in Italia: c’è un flusso visibile di capitale finanziario dall’America verso l’Europa che vede l’Italia come notevole oggetto di interesse. E non tanto o solo per il Made in Italy ‘classic’”, ma per le aziende tecnologiche e start up, luoghi storici in cui costruire spettacoli di interesse globale, infrastrutture eccetera.
Questi attori finanziari cercano partner italiani perché valutano necessari non la consulenza, ma attori che condividano il rischio. A questi colleghi statunitensi ho detto che per i loro scopi e per ingaggiare investitori privati italiani sarebbe utile e semplificante una banca d’investimento che veicoli flussi italiani in America e viceversa nonché favorisca fusioni tra aziende americane e italiane. Parecchi colleghi americani hanno annotato con espressioni favorevoli, ma chiedendo quale sarebbe stato il vantaggio competitivo di una nuova banca di investimento in relazione ai servizi finanziari già esistenti.
Il potenziale vantaggio competitivo dell’iniziativa
Per prima cosa ho ipotizzato che via collaborazione con attori italiani il raggio di azione del nuovo istituto si sarebbe esteso a tutto il Mediterraneo costiero e profondo, con enfasi sull’Africa emergente che è il luogo più promettente del mondo per la crescita futura.
Poi, con sempre il rapporto Draghi in testa, ho citato un potenziale di più di un migliaio di start up italiane che hanno difficoltà di capitalizzazione in Europa e devono migrare in America: ho mostrato ai colleghi statunitensi un calcolo che renderebbe più conveniente un inserimento di capitale raccolto in America in queste start up lasciandole come sede in Italia.
Poi ho aggiunto un servizio specialistico per aziende italiane che vogliono comprare o fondersi con altre statunitensi, citando l’accordo Ue-Usa che obbliga entità europee a investire cifre notevoli in America per la sua reindustrializzazione.
Una banca ponte tra Roma e Washington per sostenere le pre-quotazioni internazionali
Alla domanda dove mettere la sede principale del nuovo istituto e quindi sua regolazione ho ipotizzato l’America per meno peso regolativo. Ma l’innovazione più competitiva? Una vetrina di pre-quotazione per tutte le aziende del globo che vogliono quotarsi e chiedono capitale per arrivarci, una sorta di pre-Nasdaq italo-americano. Agli attori finanziari italiani: piuttosto che comprare banche in un mercato ristretto perché non pensate a crearne una nuova italo-americana privata con raggio globale? (riproduzione riservata)
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