Un piano pluriennale con fondi certi, una cabina di regia unica a livello nazionale e un sistema informativo integrato per la gestione degli interventi. Sono le tre direttrici indicate dall’Associazione nazionale dei costruttori edili per affrontare in maniera strutturale il dissesto idrogeologico che colpisce in modo ricorrente il territorio italiano. Ma anche per quello sismico, per cui l’Ance sollecita subito la stesura di un piano di prevenzione su tutte le strutture pubbliche, con una visione unitaria e con la necessaria concentrazione dei fondi, e l’attivazione della leva fiscale per la messa in sicurezza del patrimonio immobiliare privato.
A illustrare questo pacchetto di misure per affrontare i rischi catastrofali, a cui l’Italia risulta particolarmente esposta, è la presidente dell’Associazione, Federica Brancaccio, nel corso dell’audizione presso la Commissione parlamentare d’inchiesta sul rischio idrogeologico e sismico.
“Non possiamo continuare a rincorrere le emergenze, serve una svolta”, ha detto intrecciando i recenti dati dell’Ispra sulla vulnerabilità idrogeologica del territorio, aggravata dal cambiamento climatico, con quelli del Rapporto Ance-Cresme 2023, che evidenziano un forte incremento della spesa per i danni provocati da eventi catastrofali.
Con 636mila eventi censiti, dei quali 180mila gravi, e il 94,5% dei Comuni a rischio per frane, alluvioni ed erosione costiera, il Rapporto Ance-Cresme 2023 ha stimato che dal 1944 a oggi, oltre l’incalcolabile bilancio in termini di vite umane, i danni da terremoti e dissesto hanno superato i 358 miliardi di euro.
In particolare, mentre la spesa per riparare gli eventi sismici è rimasta costante (2,7 miliardi nel periodo 2009-2023 contro 3,1 dei periodi precedenti), la spesa per contrastare i fenomeni di dissesto idrogeologico è triplicata da una media annua di 1 miliardo precedente al 2009 a 3,3 miliardi nel periodo 2009-2023.
Secondo le stime dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, mantenendo invariate le attuali politiche climatiche, l’impatto del clima potrebbe raggiungere 5,1 punti percentuali del Pil (oltre 100 miliardi) entro il 2050. Al contrario, con politiche efficaci e coordinate a livello globale volte al raggiungimento della neutralità carbonica, l’impatto potrebbe essere contenuto a 0,9 punti di Pil, con una riduzione di oltre cinque volte.
“Investire oggi in prevenzione e adattamento climatico non è solo una scelta ambientale, ma anche una strategia indispensabile per garantire la sostenibilità economica e finanziaria del Paese nel medio-lungo periodo”, ha sottolineato Brancaccio, ribadendo che da sempre il tema è in cima all’agenda dell’Associazione. Non a caso la manifestazione “Città nel Futuro”, che si terrà dal 7 al 9 ottobre al MAXXI di Roma, vuole rilanciare il dibattito nazionale sulle politiche urbane e proporre un’agenda condivisa per costruire città più giuste, accessibili, sostenibili e competitive, prevedendo, tra i temi cruciali per il futuro prossimo, l’adattamento ai cambiamenti climatici.
“Le città hanno una posizione privilegiata per guidare la transizione verso la neutralità climatica, grazie alla loro capacità di influenzare una vasta gamma di settori e di coinvolgere direttamente i cittadini e le imprese nel processo di cambiamento – ha spiegato la presidente dell’Ance – Per fare ciò è necessario un approccio integrato con il quale affrontare le molteplici problematiche che investono le aree urbane: la gestione delle risorse naturali ed energetiche, la mobilità, l’inquinamento, il disagio sociale e l’accesso alla casa. Tutte sfide che richiedono una visione di lungo periodo, attraverso lo sviluppo di piani strategici di ‘adattamento al futuro’ (a 10, 15 e 20 anni), come fanno le principali città europee (Londra, Parigi, Amsterdam, Barcellona)”. Questi piani – ha aggiunto – “potranno consentire di programmare per tempo gli investimenti necessari ad affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici. Si pensi all’innalzamento del livello del mare, alle ondate di calore e alle inondazioni, tutti fenomeni che potranno essere gestiti attraverso una programmazione che comprenda la realizzazione di infrastrutture resilienti, la prevenzione e gestione dei rischi naturali, come alluvioni e terremoti, e la promozione dell’uso di energie rinnovabili”.
Le proposte dell’Ance contro il rischio idrogeologico
Per i vertici dell’Ance, è necessario rafforzare la governance nazionale, riconducendo il coordinamento delle politiche di prevenzione del dissesto idrogeologico a un unico soggetto a livello centrale, in grado di gestire in modo integrato le attività di Ministeri, Regioni, Autorità di bacino, Comuni e altri enti coinvolti. Ma, oltre ad assicurare una cabina di regia operativa, serve dotarsi di strumenti efficaci di programmazione e monitoraggio.
Un primo passo in tal senso è stato compiuto con il Decreto Pnrr 3 (art. 29-bis DL 13/2023), che attribuisce al Dipartimento “Casa Italia” della Presidenza del Consiglio funzioni rafforzate di coordinamento, sotto la responsabilità del Ministro per la protezione civile e le politiche del mare.
Ma occorre poi definire un piano pluriennale di interventi, che consenta una visione strategica e strutturata nel tempo per la prevenzione e la mitigazione del rischio idrogeologico. Tale piano dovrebbe essere dotato di risorse certe che, in parte, potranno arrivare anche dalla riprogrammazione dei fondi strutturali 2021-2027 e dal nuovo bilancio 2028-2034.
Necessario, poi, accelerare sull’attuazione degli interventi: è indispensabile ridurre il divario tra le risorse stanziate e l’apertura effettiva dei cantieri, monitorando attentamente l’iter attuativo. Serve, inoltre, una valutazione tempestiva dell’efficacia delle misure di semplificazione e accelerazione già introdotte, anche nell’ambito del Pnrr.
A tutto ciò va aggiunto, per l’Ance, un sistema informativo unico, riepilogativo delle diverse linee di finanziamento attraverso il quale gli enti coinvolti possano avere informazioni precise sulle scadenze e sulle modalità di accesso ai finanziamenti.
Le proposte contro il rischio sismico
Secondo il Rapporto Ance-Cresme 2023, sulla base dei dati Invg, emerge una situazione allarmante: le aree a rischio maggiore interessano oltre 50 milioni di persone, 22,5 milioni di famiglie, quasi 12 milioni di edifici. La causa principale del rischio sismico consiste nella qualità del patrimonio edilizio nazionale, per lo più non preparato a rispondere a terremoti anche di media entità. Basti pensare che oltre il 74% degli edifici ha più di quarant’anni (nelle grandi città, l’85% delle abitazioni, nelle altre città capoluogo l’80%), un periodo che contraddistingue una diffusa assenza di norme tecniche antisismiche.
Nell’ottica di attuare un piano diffuso di prevenzione dei danni derivanti
dalle calamità naturali, è necessario dare rapido avvio a un piano di prevenzione del rischio sismico su tutte le strutture pubbliche, a partire da scuole e ospedali, con una visione unitaria e con la necessaria concentrazione dei fondi, portando a termine quanto già previsto dalla legge.
Per la messa in sicurezza del patrimonio immobiliare pubblico e privato è necessario incentivare la realizzazione di interventi anche attraverso lo strumento fiscale.
“La scelta di ridurre notevolmente le aliquote di detrazione e livellarle tra loro, indipendentemente dall’efficacia, finirà per penalizzare proprio i lavori più incisivi e strutturali, quelli che contribuiscono alla prevenzione del rischio sismico, che rappresenta una priorità inderogabile per un Paese come l’Italia – ha spiegato Brancaccio – Alla luce di questa situazione occorre, quindi, valutare attentamente l’impatto che le recenti scelte normative, inclusa la riduzione delle aliquote, potranno avere in termini di prevenzione sismica e di sicurezza pubblica”.
Prioritaria, per l’Ance, una ricognizione puntuale dello stato di sicurezza degli edifici, per poter sviluppare un processo di messa in sicurezza del patrimonio immobiliare nazionale. Per quanto riguarda l’assicurazione da calamità naturale, l’Ance rileva come lo strumento non determini nell’immediato una forma di prevenzione effettiva del rischio sismico. Anzi, la stipula dell’assicurazione potrebbe addirittura deresponsabilizzare i proprietari o disincentivarli dal porre in atto i necessari interventi di riduzione del rischio sismico. “Occorrerà pertanto un’attenta valutazione sui possibili effetti distorsivi di una misura che, se da un lato appare assolutamente ragionevole nella tutela dei proprietari, dall’altro può alimentare una malintesa sensazione di sicurezza”, chiarisce la presidente. Una eventuale possibilità dell’uso “premiante” dell’assicurazione potrebbe consistere nel legare l’entità del premio alla classe di rischio sismico, rendendolo molto basso per i nuovi edifici e con crescita del premio per le classi peggiori o nel caso di mancanza di diagnosi e classificazione sismica.
Per il patrimonio edilizio privato, è, in definitiva, prioritario prevedere queste linee d’azione: introdurre l’obbligatorietà della diagnosi sismica dell’edificio, utilizzare la leva delle detrazioni fiscali, su un orizzonte di lungo periodo per consentire di realizzare gli interventi di miglioramento/adeguamento sismico che permettano di mettere in sicurezza interi edifici, utilizzare in maniera efficiente le informazioni sugli edifici attraverso il Fascicolo del fabbricato.
Infine, la presidente dell’Ance ha tenuto ad esprimere apprezzamento per la proroga fino a tutto il 2026 del superbonus 110% “Ricostruzione” per i territori colpiti dal sisma Abruzzo 2009 e da quello in Centro Italia del 2016, evidenziando però l’urgenza di assicurare l’applicazione di tale misura, fino a fine 2026, a tutte le aree colpite da eventi sismici (Emilia 2012, Ischia, Area etnea, ecc.).
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