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Umbria: Nord del Sud, perché alcune misure fiscali ed incentivi dovrebbero estendersi anche alle “regioni in transizione”


Negli ultimi anni, l’Umbria è stata più volte rappresentata – anche sulla stampa nazionale – come una regione “vicina al Sud”, non per geografia, ma per condizioni socio-economiche. Un inquadramento che trova fondamento nei dati: crescita rallentata, difficoltà occupazionali, spopolamento delle aree interne, perdita di competitività industriale e fragilità demografica.

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Non sorprende, dunque, che l’Umbria sia stata classificata dalla Commissione Europea come regione “in transizione” nella programmazione 2021–2027. Una definizione che la colloca a metà strada tra le regioni più sviluppate del Centro-Nord e quelle meno sviluppate del Mezzogiorno, permettendole di accedere a risorse europee con un’intensità maggiore rispetto alle regioni avanzate, ma pur sempre inferiore rispetto al Sud.

Eppure, proprio questa condizione intermedia rischia di diventare una trappola: troppo “ricca” per accedere agli incentivi più generosi, troppo “fragile” per affrontare da sola le sfide della transizione ecologica, della digitalizzazione, della, della sanità, dei trasporti, della scuola, della coesione sociale e del rilancio economico.

Le esperienze virtuose in atto nel Mezzogiorno – dove negli ultimi anni si è costruito un ecosistema di strumenti efficaci per attrarre investimenti e stimolare l’occupazione – potrebbero e dovrebbero essere valutate anche per l’Umbria prima che sia troppo tardi, soprattutto nei suoi territori più marginali e nelle aree interne.

Il Mezzogiorno è tornato al centro dell’agenda nazionale grazie a un insieme articolato di incentivi fiscali e strumenti di sviluppo pensati per colmare i divari territoriali e rilanciare gli investimenti privati. Non si tratta solo di bonus a pioggia, ma di leve strategiche che, se ben utilizzate, possono rappresentare un’occasione reale per attrarre imprese, creare occupazione qualificata e stimolare l’innovazione.

Uno dei pilastri di questo sistema è il credito d’imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno, che premia l’acquisto di beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive localizzate nel Sud. Le aliquote sono fortemente incentivanti: fino al 45% per le piccole imprese, 35% per le medie e 25% per le grandi. Un beneficio concreto, che può fare la differenza per chi vuole investire in macchinari, impianti e tecnologie.

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Altro strumento chiave è la Decontribuzione Sud, ovvero lo sgravio del 30% dei contributi previdenziali per i datori di lavoro privati con sede operativa nel Mezzogiorno. Prorogata fino al 2029, questa misura contribuisce ad abbattere il costo del lavoro e incentivare le assunzioni stabili. È uno dei pochi esempi recenti di politica nazionale che favorisce direttamente il lavoro al Sud.

A queste misure si aggiunge la ZES Unica (Zona Economica Speciale) per il Mezzogiorno, attiva dal 2024, che unifica e semplifica il quadro normativo delle precedenti ZES regionali. Le imprese che investono almeno 200.000 euro possono accedere a crediti d’imposta fino al 60%, con procedure burocratiche accelerate e un canale diretto con la Presidenza del Consiglio per l’attrazione degli investimenti.

Completano il quadro le agevolazioni all’assunzione di giovani under 36 e donne svantaggiate, gli incentivi fiscali per ricerca, sviluppo e innovazione tecnologica, e soprattutto le risorse del PNRR e del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione, che destinano gran parte dei fondi al Sud.

Tutte queste misure, lette nel loro insieme, configurano un ecosistema di opportunità che sta contribuendo – seppur con difficoltà – alla trasformazione di ampie porzioni del Sud. La loro efficacia, tuttavia, pone una domanda politica e strategica inevitabile: perché non estendere strumenti simili anche alle regioni “in transizione” come l’Umbria? Perché attendere che scivoli tra le regioni classificate tra le “meno sviluppate”?

Molti comuni umbri, in particolare quelli delle aree interne e collinari, presentano condizioni analoghe a quelle di gran parte del Mezzogiorno: crisi demografica, carenza di infrastrutture, disoccupazione giovanile, spopolamento e perdita di capitale sociale. Applicare – o almeno adattare – a questi territori gli strumenti oggi disponibili nel Sud significherebbe costruire una vera politica nazionale di riequilibrio territoriale, che non si limiti a una logica binaria Nord-Sud, ma riconosca le specificità e i bisogni di ogni area fragile.

Affinché ciò avvenga, è necessario un cambio di paradigma: serve il coraggio istituzionale di aggiornare i criteri di accesso alle misure incentivanti, ma anche la capacità – a livello locale – di progettare, aggregare, proporre, attrarre. La sfida, ancora una volta, non è solo economica: è culturale, amministrativa e politica. Ed è una sfida che riguarda da vicino anche l’Umbria, se vuole davvero uscire dalla marginalità e tornare protagonista. Il Nord del Sud è la richiesta che deve avanzare la politica regionale al Governo nazionale. 





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