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Data gravity: il baricentro della geografia digitale


Quando nel 2010 l’ingegnere statunitense Dave McCrory introdusse il concetto di data gravity, Netflix spediva DVD via posta negli Stati Uniti e Instagram ancora non esisteva. Eppure, già a quel tempo, stava emergendo la rilevanza di quella che McCrory definì una sorta di forza gravitazionale che un grande volume di dati concentrati in un luogo è in grado di esercitare, attraendo infrastrutture, servizi, nuove applicazioni e competenze. Oggi, a distanza di quindici anni, la diffusione del cloud computing, l’avvento pervasivo dell’intelligenza artificiale (IA), la crescita esponenziale dell’Internet of Things (IoT) e la digitalizzazione di ogni aspetto delle nostre società hanno reso determinante la localizzazione dei dati e, ancora più importante, la loro capacità di attrazione. 

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Miliardi di dispositivi connessi, petabyte di informazioni scambiate ogni secondo e un flusso incessante di attività digitali hanno trasformato la data gravity da teoria circoscritta alla comunità tecnologica a paradigma geopolitico che sta ridisegnando la mappa dei luoghi strategici nel mondo. Proprio come i grandi corpi celesti esercitano una forza gravitazionale maggiore rispetto ai pianeti piccoli, i volumi di dati più ampi attraggono dati aggiuntivi, applicazioni, servizi e nuovi investimenti. Città e regioni con un’elevata concentrazione di infrastrutture digitali – data center, cavi sottomarini, centri cloud – sono divenuti veri e propri poli che richiamano capitali e progetti di innovazione. Una tendenza che si sta intensificando esponenzialmente, con il rischio di un divario tra aree ricche di infrastrutture e risorse computazionali che continuano a crescere e zone destinate a restare periferiche

Come si misura la data gravity?

Per classificare il potere digitale dei luoghi sono stati sviluppati alcuni indici che misurano la forza di attrazione. Uno di questi è il Data Gravity Index, ideato dalla società americana Digital Realty, uno dei più grandi operatori al mondo nel settore delle infrastrutture digitali. Per quantificare la forza gravitazionale l’indice utilizza come metrica principale il volume di dati generati, scambiati ed elaborati in un’area metropolitana, espresso in gigabyte al secondo (GB/s). Sommando dati cloud e non cloud, al primo posto della graduatoria spicca New York, seguita da Tokyo, Londra, Singapore e Hong Kong. Altre due città europee, Parigi e Francoforte, rientrano tra le prime dieci. 

Un altro indice utilizzato dagli analisti è il Market Connectivity Score (MCS), sviluppato da TeleGeography, che misura il grado di connettività di una città o di una regione in termini di infrastrutture digitali presenti e in via di realizzazione. L’obiettivo è identificare non solo i poli già affermati, ma anche quelli in rapido sviluppo. L’MCS analizza 3.000 centri urbani in tutto il mondo e valuta 45 indicatori raggruppati in varie categorie, tra le quali presenza di data center, Internet Exchange Points, infrastrutture cloud, potenza elettrica e regolamentazione del mercato digitale. Ogni area riceve un punteggio da 0 a 100 sia per il livello attuale di connettività sia per la sua futura crescita potenziale. Secondo questo indice, la città più connessa al mondo è oggi Francoforte, seguita da Londra, Tokyo, Singapore e Amsterdam. I podi del Data Gravity Index e delMarket Connectivity Score confermano il primato di luoghi che già vantano una storica rilevanza economica, finanziaria e politica e dimostrano che la forza gravitazionale dei dati tende ad affermarsi in ecosistemi già fertili

Ashburn, Virginia: la capitale mondiale dei data center

Sta emergendo, però, anche un’altra tendenza. In alcuni casi il consolidarsi di un ampio volume di dati ha generato nuovi poli strategici in luoghi che fino a poco tempo fa non vantavano un’eredità economica o geopolitica comparabile a quella delle grandi capitali globali. È il caso emblematico della cittadina statunitense di Ashburn, nella contea di Loudon in Virginia, oggi considerata il vero epicentro mondiale dei data center. L’intera contea, a poco più di 50 km da Washington D.C., ospita circa 200 data center e 117 in fase di realizzazione. Numeri che non sono frutto del caso. Già a partire dal 2009, il governo locale ha attuato una politica per attrarre investimenti infrastrutturali nel digitale, che è stata poi rinnovata fino al 2035. Il cuore del modello è un pacchetto di incentivi ed esenzioni fiscali su apparecchiature IT riservato agli operatori che investono almeno 150 milioni di dollari e creano un minimo di 50 nuovi posti di lavoro. 

Oltre all’aspetto fiscale, Ashburn ha saputo valorizzare una combinazione di tanti fattori: ampia disponibilità di terreni pianeggianti e distanti da zone soggette a violenti fenomeni atmosferici, tariffe elettriche inferiori alla media nazionale, norme favorevoli, accesso a cavi in fibra ottica, vicinanza a Washington e al suo ecosistema di agenzie governative, aziende e istituzioni finanziarie. I numeri sono eloquenti: nell’intera contea la superficie di data center autorizzata è passata da circa 1,2 milioni di metri quadrati nel 2018 a 4 milioni nel 2024 e ci sono già progetti per ulteriori 4,4 milioni di metri quadrati. Ashburn, seppur facilitata dalla localizzazione negli Stati Uniti – epicentro dell’Internet globale –, testimonia che la data gravity può essere stimolata e che territori capaci di offrire condizioni favorevoli possono scalare la gerarchia digitale. 

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I nuovi hub emergenti: Sud-est asiatico e Africa in ascesa

Un sistema di cavi in fibra ottica diversificato in grado di garantire connessioni stabili e veloci, disponibilità di energia elettrica affidabile e a prezzi contenuti, offerta di forza lavoro qualificata, incentivi fiscali e quadro normativo stabile, basso rischio di disastri naturali, presenza di terreni a costi accessibili. Sono questi i principali fattori che oggi rendono competitiva una città, indipendentemente dalle latitudini. La classifica parallela del Market Connectivity Score (MCS) sui luoghi in rapido sviluppo individua nuovi poli destinati a ricoprire un ruolo importante nella corsa all’attrazione di investimenti data-driven, in particolare Manila, Kuala Lumpur, Shenzhen, Hangzhou, Cairo e Gumi (in Corea del Sud). 

Se il Sud-est asiatico è entrato nel mirino degli investitori già da qualche anno, anche alcuni Paesi del continente africano stanno puntando sull’economia digitale per un loro posizionamento nello scacchiere economico globale. Cairo, Nairobi Lagos sono le città che trainano questa tendenza. 

La capitale nigeriana, in particolare, ha registrato un boom di investimenti in infrastrutture digitali guidato da diversi elementi: domanda interna di servizi online in forte espansione, alimentata dagli oltre 100 milioni di nigeriani che sono online, incentivi fiscali e zone franche tecnologiche create dal governo, presenza di vari punti di atterraggio di importanti cavi in fibra ottica quali MainOne, Glo-1, SAT-3/WASC e soprattutto Equiano, finanziato da Google, e 2Africa promosso da Meta. Negli ultimi anni la capitale della Nigeria, costellata da lagune e corsi d’acqua, si è guadagnata l’appellativo di “Silicon Lagoon” per il suo fiorente ecosistema tecnologico. Grandi operatori quali AWSMicrosoft e Google hanno avviato piani per regioni cloud nell’area con l’obiettivo di portare capacità di elaborazione e spazi di archiviazione il più vicino possibile al promettente mercato africano. Sebbene alcuni dati mettano in luce che l’Internet stia vivendo a Lagos e in alcune altre capitali del continente una fase di crescita paragonabile a quella del Sud-est asiatico di un decennio fa, i fattori competitivi restano ancora strutturalmente deboli rispetto, per esempio, a molte aree europee. 

Marsiglia: il cuore pulsante del Mediterraneo

Oltre agli hub già consolidati come Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi, Dublino (noti con l’acronimo FLAPD), nel Vecchio Continente si stanno imponendo nuovi poli di interesse, in particolare Marsiglia. La capitale economica del Sud della Francia è diventata l’hub di interconnessione in più rapida ascesa grazie al suo ruolo strategico di gateway digitale tra Europa, Africa, Medio Oriente e Asia. Con tredici sistemi di cavi sottomarini che approdano direttamente nel suo porto e otto collegamenti terrestri, la città ha trasformato la sua funzione da mero punto di transito a luogo dove i contenuti vengono archiviati e scambiati tra le reti. L’impatto economico di questa mutazione è molteplice: ha creato domanda per figure specializzate, ha favorito startup e aziende locali e ha stimolato nuovi progetti energetici innovativi per aumentare la produzione di rinnovabili e per riutilizzare il calore dissipato dai data center nel riscaldamento degli edifici, contribuendo così a uno sviluppo smart della città

Altri centri europei affacciati sul Mediterraneo guardano all’esempio di Marsiglia. Barcellona Genova, in particolare, hanno intrapreso un percorso di trasformazione da porti marittimi a veri e propri hub digitali. 

La crescita di queste nuove realtà è una dimostrazione concreta di come la geografia dettata dalla data gravity sia in continua evoluzione. Nuovi centri competono tra loro in un contesto multipolare nel quale l’influenza economica e politica si alimenta anche con la capacità di attrarre dati, competenze e infrastrutture digitali.  



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