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India: missione automotive tra presente e futuro


Mentre l’Europa prova a ridefinire le proprie strategie industriali alla luce delle tensioni geopolitiche e commerciali, nonché alla necessità di ridurre la propria dipendenza dalla Cina in settori chiave della propria industria, l’India emerge come un’opzione potenzialmente sempre più rilevante. Per quanto riguarda il settore automobilistico e dei componenti, il mercato indiano offre promesse significative, ma anche sfide molteplici e complesse. Spinta dalla domanda interna in crescita, da ambiziosi programmi governativi e da un’integrazione graduale ma progressiva nelle catene globali del valore, l’India non nasconde di voler diventare un attore centrale anche nel futuro della mobilità. Tuttavia, per i produttori e gli investitori europei e italiani interessati a un’espansione strategica nel Subcontinente, è necessario un esame critico e approfondito.

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Alcuni dati

L’industria automotive indiana è una pietra angolare della crescita manifatturiera ed economica del Paese, dal momento che contribuisce per il 7,1% al PIL nazionale e per il 49% a quello del settore manifatturieroPer quanto riguarda le autovetturel’India è oggi il quarto produttore al mondo (alle spalle di Cina, Stati Uniti e Giappone), e il terzo mercato per numero di nuove immatricolazioni. Inoltre, è il primo produttore di veicoli a tre ruote e il secondo produttore di veicoli a due ruote al mondo. Come riportato dalla Society of Indian Automobile Manufacturers (SIAM), nell’anno fiscale 2024-2025 (aprile 2024-marzo 2025) il Paese ha prodotto 31 milioni di veicoli considerando tutti i segmenti, tra cui oltre 5 milioni di veicoli per passeggeri, quasi 24 milioni di veicoli a due ruote e circa un milione sia di veicoli commerciali che di quelli a tre ruote.  Anche le esportazioni indiane di veicoli stanno guadagnando slancio, con 5,4 milioni di unità spedite all’estero. 

La struttura del settore automotive indiano presenta al contempo punti di forza e diversi limiti. Innanzitutto, quello indiano è un mercato altamente concentrato: sei produttori – Maruti Suzuki, Hyundai, Tata Motors, Toyota, Kia e Mahindra & Mahindra – detengono oltre il 92% delle quote di mercato delle autovetture. Maruti Suzuki, da sola, controlla il 42% delle vendite totali di autovetture. Il segmento dei SUV è in forte espansione, rappresentando il 56% delle vendite totali di veicoli per passeggeri, in crescita rispetto al 51% del 2023. Questa dinamica sembra riflettere sia l’evoluzione delle preferenze dei consumatori – che cercano veicoli più spaziosi e confortevoli per condizioni stradali spesso impegnative – sia una strategia industriale mirata a incentivare modelli a margine più elevato, supportata da nuovi lanci e offerte finanziarie mirate. Parallelamente, a restare il vero asse portante dell’industria sono i veicoli a due ruote, che rappresentano il 75% della produzione e una parte significativa delle esportazioni, soprattutto verso Africa e America Latina.

Dal punto di vista della geografia nazionale del settore automotive, la produzione si concentra in alcuni poli industriali strategici: il Tamil Nadu (Chennai), il Maharashtra (Pune), l’Haryana (Gurugram), il Gujarat (Sanand) e il Karnataka (Bangalore) ospitano le sedi di marchi globali come Hyundai, Ford (ex impianto), Renault-Nissan, Volkswagen, Toyota e Volvo, oltre a fornitori di primo livello come Bosch, Motherson Sumi, Bharat Forge e Varroc. Organizzazioni come la Society of Indian Automobile Manufacturers (SIAM), l’Automotive Component Manufacturers Association (ACMA) e la Federation of Automobile Dealers Associations (FADA) svolgono un ruolo cruciale nel rappresentare il settore, nel dialogo con le istituzioni e nella raccolta dei dati.

Nonostante il suo peso produttivo, però, la partecipazione dell’India alle catene globali del valore nel settore automotive rimane per ora limitata, attestandosi a circa il 3% a livello di componenti. Le esportazioni di componentistica ammontano attorno ai 20 miliardi di dollari, su un commercio globale totale stimato a 700 miliardi di dollari. Secondo un recente rapporto di NITI Aayog – l’istituzione governativa indiana per la pianificazione strategica e lo sviluppo sostenibile – l’India potrebbe raggiungere l’8% entro il 2030, ma solo affrontando ostacoli strutturali quali costi elevati di logistica ed energia, capacità produttiva limitata nei segmenti ad alta precisione e scarsa competitività dell’ecosistema R&D. L’Italia è un partner commerciale rilevante: riceve circa il 3% delle esportazioni indiane di componenti, secondo dati ACMA del 2024.

Il commercio estero resta un asse fondamentale della strategia di espansione del settore automotive indiano. Il rapporto tra importazioni ed esportazioni nei componenti è sostanzialmente bilanciato, segno di una certa dipendenza da forniture esterne, soprattutto da Cina (29% delle importazioni), Germania (11%) e Corea del Sud (9%). I componenti elettronici e per motori ad alto valore aggiunto continuano a essere importati in larga misura. Il sistema tariffario indiano rappresenta un’altra variabile rilevante: le imposte doganali sulle autovetture importate completamente assemblate possono arrivare fino al 125%. Tuttavia, nel 2024 il governo ha ridotto il dazio sulle importazioni dei veicoli elettrici con prezzo superiore a 35mila dollari dal 100% al 15%, a condizione che i produttori si impegnino a realizzare investimenti nella produzione locale per almeno 500 milioni di dollari entro tre anni. Inoltre, per rafforzare la produzione locale di batterie agli ioni di litio e migliorare la tecnologia dei veicoli elettrici, con la legge di bilancio 2025 il governo indiano ha esteso le esenzioni dal dazio di base a 35 ulteriori beni strumentali essenziali per la produzione di batterie per veicoli elettrici.

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EV: cercasi decollo

Molte delle speranze riposte nel futuro del settore automobilistico indiano si legano infatti proprio alla mobilità elettrica. Secondo dati di S&P Global Mobility riguardo al segmento passeggeri, se oggi gli EV (a batteria) rappresentano solo poco più del 2% delle vendite complessive di autovetture nel Paese, il governo Modi ha fissato l’obiettivo del 30% entro l’anno fiscale 2030

Complessivamente, il mercato EV ha superato i 2 milioni di unità vendute nel 2024: nonostante sia trainato dai veicoli a due e tre ruote, anche la produzione di autovetture elettriche rispetto all’anno precedente è aumentata del 22,5%, passando da poco più di 100mila unità a 125.500 unità. Secondo le proiezioni di S&P Global Mobility, nel 2025 questa cifra potrebbe decollare, aumentando più del 140% su base annua e raggiungendo approssimativamente 301.400 unità. Indubbiamente, il sostegno politico allo sviluppo di tutto il settore per il momento è forte, con sovvenzioni e incentivi per la produzione e l’acquisto: FAME II (FAME sta per Faster Adoption and Manufacturing of (Hybrid and) Electric Vehicles in India e la sua seconda fase è stata lanciata nel 2019, da circa 1,3 miliardi di euro), PM E-Drive del 2024 (circa 1,2 miliardi di euro) e lo schema PLI, lanciato cinque anni fa per batterie avanzate e componenti (circa 5 miliardi di euro), costituiscono un sistema d’incentivi ben articolato.

Tuttavia, a frenare per il momento l’adozione dell’elettrico su ampia scala nel mercato automotive indiano vi sono carenze infrastrutturali e una percezione dei consumatori ancora relativamente conservatrice. Innanzitutto, la rete di ricarica indiana è insufficiente e lenta (una ricarica completa a corrente alternata può richiedere più di 12 ore) e le autostrade sono ancora scarsamente attrezzate. Dal punto di vista dei consumatori indiani, anche i costi iniziali elevati dei veicoli elettrici – dal 20% al 30% rispetto alle loro controparti a combustione interna – nonché la cosiddetta “range anxiety” disincentivano l’acquisto, specie fuori dalle metropoli. Gli stessi programmi di sostegno governativo alla produzione dell’elettrico, per quanto numerosi e articolati, non sempre appaiono mirati a incentivare tutte le categorie di veicoli elettrici. Per esempio, il programma Electric Mobility Promotion Scheme (EMPS) introdotto nel 2024 incentiva la produzione di veicoli elettrici a due e tre ruote, senza includere né le autovetture elettriche né gli autobus elettrici. L’esclusione abbastanza frequente delle autovetture elettriche dai programmi di sussidio solleva interrogativi sull’effettivo impegno del governo nel raggiungere l’obiettivo fissato per l’anno fiscale 2030.

A ciò si aggiunge un rischio emergente, che non riguarda solo l’India: la dipendenza dalla Cina per terre rare e altre materie prime critiche. Nell’aprile 2025 Pechino ha limitato le esportazioni di alcune terre rare e magneti, con ripercussioni anche sul suo vicino asiatico. Se Maruti Suzuki ha minimizzato l’impatto, Bajaj Auto ha avvertito di possibili interruzioni della produzione. Il governo indiano ha cercato di reagire alla precarietà di questa dipendenza liberalizzando l’esplorazione mineraria e offrendo incentivi, ma naturalmente i risultati di queste iniziative non saranno visibili che nel medio-lungo termine.

Sul fronte tecnologico, se l’India sta facendo sicuramente passi avanti nell’adozione della Industry 4.0 e di sistemi di intelligenza artificiale (ADAS) per la gestione della supply chain e la digitalizzazione della produzione, la spesa in R&D resta sotto lo 0,5% delle vendite nel comparto, molto lontana dai livelli europei. E anche il mercato post-vendita rimane frammentato e informale.

Un futuro tra sfide e opportunità

Gli obiettivi fissati dal governo Modi per l’industria automotive entro la fine del decennio sono ambiziosi: oltre all’intenzione di incrementare la quota globale della componentistica detenuta dall’India dal 3% odierno all’8%, come scritto in precedenza, si punta anche ad arrivare a 145 miliardi di dollari in termini di produzione nel settore, a 60 miliardi in export di componenti e alla creazione di 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro. Ma il raggiungimento di questi obiettivi dipenderà da riforme strutturali che possano realisticamente tradursi in una logistica più efficiente, in una complessiva semplificazione normativa, nonché in programmi di formazione tecnica e infrastrutture EV più diffuse.

Per le aziende italiane, l’India rappresenta una sfida interessante ma complessa. Non si tratta di un semplice sostituto della Cina, bensì di un mercato complementare con un potenziale di lungo termine. L’ingresso strategico richiede localizzazione produttiva, partnership tecnologiche, adattabilità normativa e presenza territoriale. Al netto dell’attuale congiuntura geopolitica globale indubbiamente favorevole all’India come potenziale destinazione di investimenti industriali, anche la domanda interna del Subcontinente, in crescita e in via di sofisticazione, e l’impegno politico verso la mobilità sostenibile fanno dell’India una piattaforma industriale da tenere in seria considerazione.

La trasformazione non sarà però lineare. Il futuro dell’India come hub di produzione ad alto valore aggiunto dipenderà dalla sua capacità di superare inefficienze storiche, consolidare una supply chain resiliente e sviluppare competenze tecnologiche avanzate. Oggi l’industria automobilistica indiana si trova a un bivio: la direzione intrapresa definirà non solo il suo destino, ma anche il futuro della mobilità globale in un sistema mondiale che cerca un equilibrio più diversificato tra le grandi economie.

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