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Via ai dazi Usa contro l’Ue, quanto ci rimette l’Italia


I dazi di Trump sono realtà: dal 1° agosto 2025 diventano effettive le tariffe al 15% imposte dagli Usa all’Ue, anche se l’entrata in vigore vera e propria è posticipata al 7 agosto. L’Ue ha ancora una settimana per trattare.

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I dazi sono il risultato dell’accordo commerciale stretto domenica 27 luglio a Turnberry, in Scozia, da Ursula von der Leyen e Donald Trump.

Al via i dazi di Trump al 15%

L’ordine esecutivo è stato firmato nella notte del 31 luglio. I dazi vanno dal 10% al 41%, a seconda dei Paesi.

Ma sale l’aspettativa per un altro pezzo del puzzle: la dichiarazione congiunta tra Europa unita e Usa. I dazi al 15%, infatti, sono il frutto di una intesa verbale. Questo lascia aperta la possibilità di modifiche o ritardi nell’applicazione, soprattutto su alcuni settori chiave per l’economia italiana, come acciaio, farmaceutica, vino e alcolici. Insomma, i negoziati per ottenere ulteriori esenzioni continuano, come ha dichiarato Olof Gill, portavoce della Commissione europea. Ma c’è anche il rischio opposto, ovvero che le tariffe possano aumentare nelle prossime settimane se non verrà raggiunta un’intesa più ampia.

Il peso dei dazi Usa sull’Italia

Nell’ambito dell’Ue, l’Italia è il quarto partner commerciale degli Stati Uniti: esportiamo oltreoceano ogni anno oltre 65 miliardi di euro di beni. Tra i settori più esposti figurano:

  • automotive e componentistica con circa 9 miliardi di euro di prodotti;
  • agroalimentare e vino con 2 miliardi di euro di export;
  • farmaceutica, settore al momento esentato per una settimana, in attesa della chiusura dell’indagine del Dipartimento del Commercio americano;
  • acciaio e metalli, sui quali restano in vigore le tariffe del 50% introdotte da Trump.

Secondo Confartigianato, i nuovi dazi potrebbero pesare per oltre 3 miliardi di euro di costi aggiuntivi l’anno sulle imprese italiane, soprattutto Pmi con margini di profitto più ridotti rispetto ai grandi gruppi multinazionali.

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“America First”, la strategia di Trump

Dal punto di vista politico, l’ordine esecutivo rafforza la linea protezionista del presidente, che aveva già lanciato una “guerra dei dazi” nel suo primo mandato. Ora Trump punta a consolidare il sostegno della base industriale americana, promettendo di proteggere posti di lavoro interni e ridurre il deficit commerciale.

La Casa Bianca rivendica un record di incassi dai dazi: 87 miliardi di dollari nei primi 6 mesi del 2025, più di quanto raccolto in tutto il 2024. Ma parte degli economisti mette in guardia: le tariffe, oltre a colpire i partner commerciali, pesano anche sui consumatori statunitensi, aumentando i prezzi e alimentando l’inflazione.

I Paesi maggiormente danneggiati dai dazi

Il prossimo appuntamento cruciale è fissato per il 7 agosto: il piano Trump impone una tariffa del 30% ai Paesi che non hanno siglato un accordo commerciale entro i tempi, introducendo agevolazioni per quelli che lo hanno fatto. Per i Paesi nella lista dei “buoni” i dazi restano confermati al 15%. Per i Paesi con cui gli Stati Uniti mantengono un saldo commerciale positivo, il dazio è del 10%.

Fra i Paesi con i dazi più alti ci sono Siria (41%), Laos (40%), Birmania (40%) e Svizzera (39%). I dazi, in alcuni casi, non sono stati giustificati da ragioni legate al disavanzo commerciale. C’è poi il caso del Canada, con i dazi al 35%: a detta di Trump, i cugini canadesi non hanno “collaborato per arginare il flusso costante di Fentanyl e altre droghe illecite”, e dunque sono stati puniti. C’è poi il dazio del 40% al Brasile, come punizione per il processo in corso all’ex presidente Jair Bolsonaro, alleato e amico di Trump. Il Messico gode di una proroga di 90 giorni.

La Cina ha visto ridurre i suoi dazi dal 145% al 30%. I cinesi, dal canto loro, hanno abbassato i dazi agli Usa dal 125% al 10%. Si lavora per raggiungere un accordo definitivo il 12 agosto.





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