Il testo dell’intesa, nato tra le dune del campo da golf di Turnberry, è ancora lì: incompiuto, poggiato sulle scrivanie dei negoziatori, sospeso tra versioni contraddittorie e compromessi da definire. Ma il gong sta per suonare e l’Europa si affida alla stretta di mano tra Ursula von der Leyen e Donald Trump, confidando che allo scoccare di agosto la Casa Bianca traduca l’accordo politico in atti concreti: decreti esecutivi con una tariffa base del 15% sulla maggior parte dei prodotti. Compresi, per ora, vino e liquori.
Usula von der Leyen e Donald Trump – Foto Ansa/Afp/Smialowski © www.giornaledibrescia.it
Se così non fosse, lo spettro di dazi al 30% tornerebbe a farsi concreto, accanto alle aliquote già messe nero su bianco dal tycoon per tutti quei Paesi che non avranno siglato un’intesa entro il primo agosto. Solo in pochi possono permettersi il lusso di una certezza: Regno Unito, Giappone, Vietnam, Filippine, Indonesia e, da ultime, Corea del Sud, Cambogia e Thailandia. Tutti ancorati ai propri accordi bilaterali. Per il Messico, invece, è arrivata una proroga: i dazi al 25% su fentanyl e auto e del 50% su acciaio, alluminio e rame varranno ancora 90 giorni.
La roadmap
Un annuncio scandito dal refrain economico di The Donald: «I dazi rendono l’America di nuovo grande e ricca». A Bruxelles si lavora senza sosta per chiudere una dichiarazione congiunta – una roadmap non vincolante, legata anche agli investimenti Ue da 1,3 miliardi di dollari promessi su energia e industria – che dia valore giuridico al patto. Ma i nodi ancora da sciogliere sono numerosi. La tariffa del 15% colpirà, almeno in una prima fase, anche icone del made in Europe come vino, champagne, whisky e liquori. Per ora, non sono previste esenzioni, anche se la Commissione europea – trainata dalla spinta di Italia e Francia sull’agroalimentare – si dice «determinata» nel voler strappare «il numero massimo possibile di deroghe».
L’acciaio e l’alluminio restano inchiodati alla scure più pesante del 50%, in attesa di un sistema di quote su cui però le posizioni tra le due sponde dell’Atlantico continuano a divergere. E la sorte di settori strategici – microchip e farmaci in testa – è rimessa ai provvedimenti statunitensi. L’unica certezza, evidenziata dal segretario Usa per il Commercio, Howard Lutnick, è che «ci sarà ancora molto da negoziare». Compreso il fronte digitale, terreno di uno scontro sempre più duro.
Ipotesi di tassazione
Per ammorbidire il tycoon, prima dell’incontro scozzese Bruxelles ha accantonato – pur senza ammetterlo apertamente – l’ipotesi di una tassazione per le Big Tech, dalla web tax al fair share. L’idea di un contributo obbligatorio a carico delle major a stelle e strisce per l’uso delle reti europee «non è una soluzione praticabile», ha ammesso un portavoce richiamandosi alle conclusioni del White paper del febbraio 2024, confermando di fatto quanto affermato da Washington che, nella nota informativa sull’accordo sui dazi, ha ufficializzato la rinuncia di Bruxelles a tassare i servizi digitali. Seppur, è stata la precisazione Ue, la scelta «non riguarda soltanto le aziende Usa» e la sovranità normativa nel settore resta una linea rossa.
In attesa che la diplomazia porti i suoi frutti, Palazzo Berlaymont si prepara a congelare – dal 4 agosto e per sei mesi – i contro-dazi Ue sui beni statunitensi per un valore complessivo di 93 miliardi di euro. «Se tutto procederà secondo i piani, sospenderemo nuovamente i dazi», ha confermato l’esecutivo Ue, lasciando trasparire cautela di fronte a un clima politico tutt’altro che disteso.
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