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(intervista di QN – Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione – al Ministro Tommaso Foti)

Com’è andata, dunque, la partita dei dazi? Per Tommaso Foti, ministro per gli Affari europei, Fdl, «il punto non è se capire se siamo andati bene o meno, quanto piuttosto cosa possiamo fare, da ora, per non ritrovarci più in una situazione simile». 

Ministro, beh, intanto c’è il merito: c’è chi dice che il 15% è comunque tanto e chi dice che ci è andata di lusso. 
«Io dico che i dazi, a qualunque percentuale, non sono mai un fatto positivo. Detto ciò: faccio notare ai detrattori che oggi possiamo parlare di dazi al 15%, ma il 5% già lo pagavamo, mentre fino a poco fa rischiavamo un devastante 30%». 

Le Borse calano e c’è chi dice che sia frutto dell’accordo. 
«A questi docenti di ‘daziologia’ suggerirei di aspettare perlomeno di capire come, su cosa e con che tariffe verranno adottati. Mi pare evidente, infatti, che la presidente von der Leyen e il presidente Trump nei loro contatti non si siano messi a parlare delle singole tariffe…». 

Dunque, a suo parere, per le note piccole dell’accordo, quanto bisognerà aspettare? 
«Credo e spero che potremo avere un quadro definitivo entro la fine del mese di agosto». 

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L’Italia riuscirà a tenere il punto sui suoi settori peculiari? 
«Non facciamo confusione, partiamo da un presupposto». 

Prego. 
«L’Italia ha fatto le sue segnalazioni, come tutti gli altri singoli Stati, ma nessuno è nelle condizioni di poter mettere paletti personalizzati a una trattativa che è europea nel suo insieme». 

L’opposizione dirà che non curate gli interessi dell’Italia. 
«L’opposizione? Quale? Quella che ha lanciato l’allarme su ogni telefonata della premier con Trump e che ha chiesto a gran voce una cosa ovvia, ovvero che la trattativa sarebbe dovuta essere in mano alla Ue? Il Pd, faccio notare, ha votato quattro volte a favore di von der Leyen, poi quando la trattativa si è conclusa ha dato la colpa a Meloni. Dunque nelle loro polemiche noto uno strano e preoccupante sdoppiamento di personalità». 

Ok, premessa fatta. Torniamo ai mercati: export italiano in Usa, cosa salvare? 
«Nella partita sui dazi va salvaguardato il più possibile tutto un mercato, per noi cruciale: parliamo di 64,7 miliardi di euro, relativi alle merci italiane esportate in Usa nel solo 2024. Un dato che, esteso all’Europa, diventa 532 miliardi. Detto ciò, è ovvio che, per i numeri che generano, su settori come il farmaceutico, la meccanica e l’agroalimentare l’attenzione è più alta. I dati peggiori, infine, allo stato pesano su acciaio e alluminio». 

Tutti questi aumenti, chi li pagherà? 
«Si spera che il mondo della distribuzione americana ne assorba una cospicua parte. Se così non fosse, e se finisse tutto sulle spalle dei consumatori Usa, sarebbe più grave. Per aiutare le nostre imprese, viceversa, lo sguardo deve necessariamente essere più ampio». 

Cosa intende? 
«Il sistema dei dazi deve essere visto in maniera più ampia. A essere coinvolto è tutto il mondo, perciò ci sono nuovi spazi che necessariamente si apriranno. Il punto è aiutare le aziende a esplorarli per diversificare il loro export. Questo è l’unico modo concreto per neutralizzare la strategia americana. Non certo i controdazi». 

Beh, il ‘se tu tassi me io tasso te’ non crede che funzioni? 
«Anche su questo tema noto nelle opposizioni una preoccupante dissociazione. Vediamo di capirci». 

Proviamo. 
«Se gli Usa aumentano i dazi, ci siamo appena detti che a pagare saranno – in maggiore o minore parte – soprattutto i consumatori americani. Quindi, se l’Europa attua dei controdazi, chi rischia di pagare? I consumatori europei. Cioè noi. Ma allora che arma è, mi scusi?». 

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Giriamo la domanda: che armi abbiamo? 
«Non servono controdazi né aiuti a fondo perduto, quanto piuttosto incentivi economici alle imprese europee. Un bazooka vero, rivolto all’interno e non certo sugli Usa, e in grado di riattivare competitività, innovazione e ricerca di nuovi mercati». 

Non bisognava pensarci prima? 
«Sì. Ma la Ue era troppo impegnata a scrivere chilometri di regole, paletti e norme sulle dimensioni delle vongole». 

Certi paletti hanno salvaguardato la qualità di ciò che mangiamo. Ora invece l’America è pronta a invaderci con la sua carne di bufalo, dicono gli analisti. 
«Io credo che il consumatore europeo sia perfettamente in grado di fare le proprie scelte. E non credo che, soprattutto in Italia, e per fortuna, saremo mai in grado di derogare alla qualità alimentare». 

Ministro, sulla partita dei dazi dia un voto a von der Leyen. 
«Non è questione di voti. Bisognava trattare e lo ha fatto. L’alternativa qual era? Una guerra commerciale? A tecere che non si può rispondere ai cannoni con le pistole ad acqua. Piuttosto, il tema vero è che Trump all’inizio con l’Europa non voleva neppure parlarci. Avrebbe trattato coi singoli Stati. Poi qualcuno ha lavorato con pazienza per riportare il dialogo in Europa. E quel qualcuno, che l’opposizione voglia o no, si chiama Giorgia Meloni». 

(intervista di Simone Arminio, QN – Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione)







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