Mentre l’inflazione sembra mantenere un profilo moderato (+0,4% su base mensile e +1,7% su base annua a luglio, secondo le stime Istat), il mondo dell’artigianato alimentare si trova a fare i conti con una nuova ondata di rincari nelle materie prime alimentari. E il rischio è che l’instabilità diventi la nuova normalità.
A preoccupare non è tanto l’andamento generale dei prezzi, quanto il loro andamento «a fisarmonica» nelle singole filiere. Se in alcuni settori si registrano cali — lo zucchero a -29%, il frumento duro a -15%, quello tenero a -8% e l’olio extravergine d’oliva a -6% — altri beni essenziali hanno visto impennate clamorose: cacao +48%, caffè (varietà robusta) +83%. Da record il cacao, che ha segnato un aumento del 220% tra il 2022 e il 2025 e picchi di oltre 10.000 euro a tonnellata. Una crescita senza precedenti che coinvolge direttamente l’Italia – tra i maggiori importatori europei – e che si riflette, seppur in misura più contenuta, sul prezzo al dettaglio del cioccolato.
La prima ragione per spiegare l’aumento del prezzo del cacao è la scarsa produzione degli ultimi anni causata dalle anomalie climatiche che si sono verificate nei principali paesi produttori.
E i rincari sulle materie prime alimentari non si fermano qui. Il burro ha superato gli 8 euro al chilo, un massimo storico, facendo segnare uno 0,5 euro in più tra maggio e giugno e un +20,7% rispetto allo stesso periodo del 2024, secondo l’indice dei prezzi aggiornato dalla Fao. Stessa tendenza per i prodotti lattiero-caseari: l’indice FAO segna un +22,9% su base annua. Il latte crudo ha toccato quota 65,3 euro ogni 100 chili, con un prezzo al dettaglio tra i 2,10 e i 2,30 euro al litro, circa il 15-20% in più rispetto al 2022. A pesare sono soprattutto i costi dei mangimi (+56%), quelli dell’energia e la dipendenza dell’Italia dall’import (il 16% del consumo di latte è coperto dall’estero), resa più critica dalle tensioni sulle filiere globali.
Sul fronte degli oli vegetali si registrano invece segnali contrastanti: in calo l’olio di palma (grazie all’alta produzione nel SudEst asiatico), mentre restano sostenuti i prezzi di soia e colza, spinti dalla domanda estera. Stabili invece i prezzi dell’olio di girasole. I cereali, nel complesso, crescono dell’1,2%, con aumenti soprattutto per il riso.
«Condizioni climatiche estreme, tensioni geopolitiche, norme ambientali più rigide: tutto questo alimenta un’instabilità di fondo che incide direttamente sulle dinamiche di mercato – spiega Cristiano Gaggion, presidente del comparto alimentazione di Confartigianato Imprese Veneto -. La volatilità dei prezzi è diventata strutturale, e questo complica le strategie aziendali. Le imprese artigiane si trovano davanti a un bivio: ritoccare i listini, con il rischio di rallentare i consumi, oppure sacrificare i margini, mantenendo però intatta la qualità, che resta il nostro tratto distintivo».
Il problema è che l’incertezza sui costi sulle materie prime alimentari frena anche gli investimenti, in particolare per le realtà più piccole. «Negli ultimi 2/3 anni abbiamo visto un aumento del 20% del costo di una pastina in pasticcieria – elenca Gaggion – e un salto dai 50 euro al chilo agli 80/90 euro al chilo per la cioccolata, che diventa così un lusso».
In Veneto, le oltre 6.000 imprese artigiane del settore alimentare iniziano a mostrare segnali di sofferenza: nel 2024 si segnala un calo delle attività tra il -5% e il -6% per cioccolatieri, pasticcieri, caseifici e lavoratori della carne.
«In questo scenario – conclude Gaggion – dobbiamo ripensare le strategie: diversificare i fornitori, sì, ma anche valorizzare i produttori locali. È una scelta che rafforza il tessuto economico del territorio, ma che non è sempre semplice: spesso mancano quantità sufficienti o standard qualitativi adeguati. Sul comparto pesa anche lo spettro dei dazi al 15%. L’export agroalimentare veneto verso gli Stati Uniti ha raggiunto un valore di quasi 1 miliardo di euro, con un aumento del 15,9% rispetto all’anno precedente».
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