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Milano alla fine di un ciclo, Milano che è stata per quindici anni la città della visione, della “rinascita gentile” di Giuliano Pisapia e del “fare moderno” di Beppe Sala. È stata la capitale delle start-up, dell’attrattività internazionale, del design e delle fiere. Un luogo in cui sembrava possibile costruire una carriera, una famiglia, una comunità. Ma oggi quel sogno sembra essersi incrinato. Non per colpa di un singolo evento, bensì per l’effetto cumulativo di molte crisi sovrapposte.

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Covid, inflazione, salari fermi, crisi abitative e logoramento politico hanno svuotato di energia quel racconto di Milano come città-modello. La città che, nell’immaginario, poteva diventare una “Parigi italiana” oggi fa i conti con un presente molto più opaco.

Milano alla fine di un ciclo: il sogno infranto di una città dinamica e inclusiva

C’era un’idea forte alla base della Milano di inizio 2010: un luogo dove i giovani potevano fondare imprese innovative, trovare case accessibili, vivere in quartieri con servizi e parchi pubblici, muoversi agevolmente con un trasporto pubblico d’avanguardia.

Ma oggi i numeri raccontano un’altra storia. Secondo i dati più recenti, il costo delle case a Milano è cresciuto del +43,8% in dieci anni. Gli stipendi, invece, sono aumentati di poco più del +5%. In questo scenario, la città è diventata sempre più difficile da abitare, specialmente per chi non ha eredità o rendite.

Anche il tanto celebrato sistema di mobilità è andato in sofferenza. ATM ha sofferto la pandemia, Trenord continua a rappresentare un collo di bottiglia per chi vive fuori dal centro e lavora in città. Il modello milanese si è inceppato.

Il peso delle crisi esterne, e le responsabilità locali

Molti dei problemi attuali – l’inflazione, la crisi energetica, il caro affitti – hanno radici globali. Tuttavia, Milano paga anche responsabilità politiche locali, soprattutto in settori chiave come sanità, edilizia popolare e trasporti ferroviari regionali, di competenza lombarda. In una metropoli che ambisce a essere internazionale, il ritardo su questi temi appare sempre più inaccettabile.

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In parallelo, cresce una narrazione insofferente da parte di chi era arrivato in città con grandi aspettative e oggi si sente tradito. I quartieri un tempo vivaci si sono gentrificati. Le promesse di un benessere diffuso si sono scontrate con una realtà fatta di affitti insostenibili, precarietà, e una qualità della vita sempre più segmentata tra centro e periferia.

Serve una nuova visione di Milano

Nel vuoto lasciato dalla fine di una stagione, la politica cittadina sembra ora galleggiare, in attesa. La giunta Sala – al secondo mandato – appare più intenta a gestire l’esistente che a rilanciare una visione. Ma Milano ha bisogno di risposte urgenti e strutturate a domande cruciali per il futuro:

  • Che tipo di città vogliamo essere nel 2045?

  • Quali sono le sfide ambientali, sociali ed economiche che vogliamo affrontare?

  • Come conciliare sviluppo urbano e giustizia sociale?

  • Vogliamo più turisti o più residenti stabili?

  • Come valorizziamo le seconde generazioni?

  • Che ruolo vogliamo assegnare al mondo universitario e della ricerca?

Milano alla fine di un ciclo: i paradossi di una città che ancora funziona

Eppure, nonostante tutto, Milano continua a funzionare in molte cose, anche se a fatica. È appena stata inaugurata una nuova tratta della metropolitana che collega il Giambellino al centro in 10 minuti. L’Università Statale ha eliminato le tasse per chi ha un ISEE sotto i 30.000 euro. La città continua ad accogliere giovani, professionisti, studenti da tutta Italia, attratti da un sistema che – seppur con falle evidenti – continua ad apparire migliore rispetto ad altre realtà.

Persino le critiche più caustiche – quelle sui negozi di poke o sulla sparizione del “vero spirito milanese” – rivelano una città che è ancora un punto di riferimento. È cambiata, sì, e forse in parte si è persa. Ma è anche vero che nessun altro luogo in Italia riesce a concentrare lo stesso livello di energia, opportunità, infrastrutture e capitale umano.

Milano alla fine di un ciclo: la città ha bisogno di coraggio politico, non di nostalgia

Se l’epoca della crescita accelerata e quasi mitologica di Milano si è conclusa, ora serve qualcosa di più difficile: una fase di consolidamento e rigenerazione, che sappia guardare alla città reale, non solo a quella da copertina.

Non servono slogan come “basta costruire balconi”, ma una pianificazione urbana capace di includere le fragilità, integrare le diversità, orientare lo sviluppo verso la sostenibilità sociale oltre che economica. Una città non solo per chi ha successo, ma anche per chi sta iniziando o per chi è rimasto indietro.

Perché Milano può ancora essere un modello. Ma non più come start-up di se stessa. Deve diventare una città adulta, consapevole delle sue responsabilità e delle sue sfide. Una città che non rincorre mode, ma costruisce futuro.



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