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Settimana corta lavorativa di 4 giorni, a chi conviene davvero


Meno ore di lavoro per rendere di più e allontanare i rischi di burnout? Negli ultimi mesi le conferme dei benefici di una riduzione dell’orario si stanno susseguendo. L’Organizzazione Mondiale del Lavoro (Oil) ricorda che circa 800mila persone muoiono ogni anno per il troppo lavoro, mentre una recente ricerca condotta da neuroscienziati della Corea del Sud dimostra che il sovraccarico di ore in ufficio può anche alterare il funzionamento del cervello.

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Con la finalità di introdurre regole valide a livello nazionale un fresco disegno di legge, all’esame della Camera dopo una lunga fase di resistenze di natura politica e di incertezza dovuta al suo possibile impatto economico, intende portare la settimana lavorativa da 5 a 4 giorni, pur con libertà di scelta del datore.

L’idea è già stata messa in pratica da big come Luxottica o Intesa Sanpaolo e, anche anche grazie alla buona “pubblicità” derivante dai positivi esperimenti presso le grandi aziende, potrebbe presto diventare realtà.

Cerchiamo allora di capire meglio come questa iniziativa potrebbe essere applicata e se, a ben vedere, c’è qualche punto debole in un così radicale cambiamento dell’organizzazione del lavoro.

Il disegno di legge sulla settimana corta

Composto da 7 articoli, il disegno di legge sollecita rinnovamento e integrazione dei contratti collettivi, dando loro la possibilità di abbassare il numero di ore settimanali fino a 32, mantenendo però la stessa retribuzione pur con un giorno di lavoro in meno.

L’iniziativa, dicevamo, non imporrebbe un obbligo di riduzione di orario ma, se trasformata in legge a tutti gli effetti, costituirebbe un apparato normativo unitario a livello nazionale, a cui fare riferimento per tutte le eventuali singole iniziative aziendali.

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E queste ultime sarebbero incentivate da appositi bonus, perché la proposta in oggetto includerebbe un esonero contributivo modulabile per 3 anni, in proporzione alla riduzione delle ore di lavoro settimanale.

Il legislatore nazionale non imporrebbe dall’alto il cambiamento, intervenendo sul contratto individuale, ma aprirebbe al ruolo delle parti sociali.

In particolare i sindacati sarebbero liberi di utilizzare referendum interni per valutare se introdurre, o meno, la settimana corta, con decisione a maggioranza semplice tra i votanti.

Per questa via sarebbe garantita una maggiore adattabilità della novità in oggetto alle specificità di ogni luogo di lavoro. La Spagna ha già tagliato l’orario di lavoro, forse qualcosa si muoverà anche qua.

Il ruolo del Fondo nuove competenze

Parallelamente l’iniziativa in oggetto mira al potenziamento del Fondo nuove competenze, grazie a uno stanziamento totale di ben 325 milioni di euro fino al 2026.

Il Ministero del Lavoro ricorda che questo Fondo sostiene le aziende che si trovano nella fase di adeguamento a nuovi modelli organizzativi. Non a caso nel sito web ufficiale si legge che gli interventi del Fondo:

hanno a oggetto il riconoscimento di contributi finanziari per datori di lavoro privati che abbiano stipulato accordi collettivi di rimodulazione dell’orario di lavoro destinati a percorsi di sviluppo delle competenze dei lavoratori.

Il meccanismo del Fondo prevede il rimborso del costo delle ore di lavoro destinate alla frequenza della formazione, agevolando aziende e lavoratori nel percorso di adattamento alle variabili condizioni del mercato.

Passare da 5 a 4 giorni di lavoro conviene

I dati scientifici sostengono l’utilità di iniziative come questa.

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Secondo uno studio di alcuni ricercatori del Boston College, pubblicato sulla rivista Nature Human Behaviour, lavorare meno ore ogni settimana a parità di salario avrebbe più benefici, tra cui:

  • il miglioramento della salute;
  • la riduzione dei livelli di stanchezza e dell’assenteismo;
  • la riduzione dei costi degli spostamenti casa-ufficio e viceversa;
  • un sonno maggiormente ristoratore;
  • più attrattività verso i talenti.

Al contempo i dipendenti lavorerebbero meglio, con meno errori e più produttività. E, conseguentemente, lo stesso clima in ufficio ne beneficerebbe, con l’azienda che andrebbe anche a risparmiare sui costi operativi e riducendo le emissioni inquinanti.

Sulla stessa linea sono i risultati emersi da indagini e studi, tra gli altri, della School of Management del Politecnico di Milano e dell’University of South Australia, secondo cui il week-end lungo può avere effetti oggettivi benefici sulla salute dei lavoratori.

In particolare i ricercatori dell’Oceania hanno analizzato i cambiamenti delle attività quotidiane, provando come le persone mostrassero comportamenti più attivi e sani non soltanto quando erano in vacanza per le ferie, ma anche quando avevano tre giorni di stacco.

Gli svantaggi della settimana lavorativa corta

Luci ma anche qualche ombra. Il modello in oggetto sarebbe difficilmente attuabile nei settori a presidio continuo, come ad esempio sanità, trasporti, commercio al dettaglio e customer service, in cui è necessaria una presenza costante per garantire operatività e livello di servizio.

A ben vedere, ridurre i giorni lavorativi in questi ambiti comporterebbe un aumento dei costi per assicurare la copertura dei turni, con potenziali impatti negativi sulla qualità dei servizi.

Oltre a questo c’è il rischio di concentrazione eccessiva dei carichi di lavoro.

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Infatti svolgere in 4 giorni lo stesso volume di attività previsto per 5 potrebbe generare stress, ansia da prestazione e un peggioramento del clima lavorativo, specie se le mansioni sono ad alta intensità operativa o soggette a scadenze ristrette.

C’è poi anche l’eventualità di lavorare lo stesso numero di ore settimanali, ma suddivise in meno giorni, annullando così i benefici della riduzione e, anzi, aumentando l’affaticamento psicofisico.

Al contempo, un’altra criticità riguarda la disparità di accesso alla misura.

Infatti se la settimana corta è applicata soltanto ad alcune funzioni (tipicamente quelle digitali o amministrative), può aversi un senso di iniquità o discriminazione tra colleghi, con conseguenze su clima interno e motivazione.

L’essenzialità dell’approccio graduale

Senza approccio strategico e senza analisi personalizzata delle attività aziendali, la settimana corta – pur con le buone intenzione della suddetta proposta di legge, in passato già affossata, rischia di trasformarsi da strumento di benessere in un’ulteriore fonte di tensione.

Ecco perché l’efficacia dell’iniziativa non può che dipendere da un attentissimo approccio strategico e dalla capacità di gestire saggiamente la transizione.

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Concludendo resta aperto il dibattito, in un mix tra entusiasmo e prudenza, soprattutto tra le piccole e medie imprese. Ecco perché una transizione graduale, a partire dalle realtà più strutturate e dotate di risorse, appare come la via più realistica verso un nuovo equilibrio settimanale del lavoro.





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