Ad una settimana di distanza dagli accordi di Turnberry, siglati da Donald Trump e Ursula Von der Leyen per porre fine all’instabilità dovuta ai dazi, sembra che la situazione non sia affatto migliorata. L’Unione europea ha ottenuto il suo accordo: dazi al 15% indiscriminati, al 50% sull’acciaio e possibili esenzioni e regolamenti speciale per settori strategici. Eppure tutto è ancora da decidere.
A seconda del tipo di esenzioni che l’Ue riuscirà a siglare, sarà possibile comprendere in che modo le tariffe maggiorate influenzeranno le imprese europee. Di conseguenza, sarà anche possibile comprendere in che modo i singoli Paesi membri della comunità europea dovranno rispondere per aiutare le proprie industrie. Al momento, dunque, l’incertezza persiste.
A vacillare è anche l’autorità di Ursula Von der Leyen. La presidente della Commissione europea, che si è trovata a gestire un dossier complesso e radicato, ha deluso le aspettative della sinistra e dei Verdi europei. A settembre, quando il Parlamento europeo ricomincerà i lavori, la presidente avrà diverse spiegazioni da dare. In molti, nelle frange di socialisti, liberali ed ecologisti, pretendono spiegazioni sul tipo di accordo che è stato siglato con gli Stati Uniti.
Ursula Von der Leyen vacilla: gas ed ecologia sono la nuova spina nel fianco
C’è chi parla di “prova di debolezza“, chi teme che i dazi distruggano la competitività europea e chi addirittura crede che l’intesa possa mettere in pericolo il percorso di transizione ecologica dell’Ue. In fin dei conti, l’accordo in Scozia ha anche permesso a Donald Trump di tornare a casa con la consapevolezza che il Vecchio continente acquisterà più gas dagli Stati Uniti.
Un acquisto che potrebbe rallentare il percorso del Green Deal, mandando in fumo il sogno ambientalista della sinistra europea. Ursula Von der Leyen, dopo un’estate di fuoco, si prepara ad affrontare un inverno rovente, che potrebbe costringerla a fare in conti con questioni che auspicava fossero concluse. Una fronda del Parlamento europeo, infatti, non sembra convinta di voler congelare le misure di ritorsione contro gli Stati Uniti.
A seguito dell’accordo, Bruxelles è infatti pronta ad evitare che l’elenco di contro dazi da 92 miliardi non entri più in vigore. Eppure, secondo alcuni, tra cui una parte del governo francese, alcuni dazi dovrebbero entrare in vigore. All’interno della lista sono infatti presenti contromisure relative ai dazi al 50% sull’acciaio, che l’accordo ha lasciato così com’erano. Si riflette poi sulla possibilità di introdurre tariffe relative ai servizi americani in Europa.
Al momento, comunque, ogni processo è sospesa. Servirà attendere settembre per sottoporre Von der Leyen ad una verifica di maggioranza. Al momento, quindi, la commissione europea continua a lavorare per strappare alcune esenzioni al governo americano, con la speranza di ristabilire un minimo di autorità e riguadagnare la fiducia di alcuni europarlamentari che ora guardano con sospetto al lavoro di Bruxelles.
Dazi, a che punto sono le trattative sulle esenzioni e i regimi speciali
Intanto, proseguono le trattative tra le due delegazioni per comprendere in che modo gestire i settori strategici che interessano sia agli Stati Uniti che all’Unione europea. Tutti i ministeri interessati – da quello del Made in Italy fino a quello dell’Agricoltura, passando poi per gli Affari esteri – sono al lavoro per cerare di salvare tutto ciò che è salvabile.
L’Italia potrebbe essere riuscita a mettere al sicuro i formaggi a “pasta dura“, compreso il Parmigiano. I prodotti caseari esportati negli Usa sono circa 40 tonnellate all’anno. Un export considerevole se paragonato a quello di molti altri Stati membri. Al di sotto delle tariffe al 15%, invece, restano i formaggi freschi come la mozzarella, il gorgonzola e la burrata. Il prossimo passo è assicurare le stesse esenzioni anche alla pasta e all’olio d’oliva.
Ben più complessa, invece, la partita riguardante il vino e il prosecco. Gli Stati Uniti non sarebbero affatto convinti di voler procedere con le esenzioni. L’Italia, quindi, punta tutto sull’alleanza con la Francia che esporta litri e litri di bollicine e vini fermi negli Stati Uniti. A preoccupare la filiera del nostro Paese non sono le bottiglie pregiate, ma quelle di profilo medio che rischiano di subire il contraccolpo più forte con rincari fino a 5-6 dollari al pezzo.
Il mercato americano garantisce all’Italia entrate pari a 1 miliardo e 900 milioni di fatturato, come chiarito al Messaggero da Stefano Bottega, presidente del gruppo vinicolo di Confindustria Veneto Est. Ora, si punta verso la diversificazione del commercio con una certa attenzione al mercato asiatico, che potrebbe salvare le esportazioni italiane.
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