Giovanni Giuliani è stato sindaco di Onano per trent’anni e presidente della Comunità Montana per dodici.
Un’intera vita amministrativa spesa al servizio di un territorio spesso marginalizzato, ma ricco di storia, cultura e risorse ambientali.
Ora, a pochi mesi dal termine del suo incarico, tracciamo con lui un bilancio di questi anni alla guida dell’Ente montano tra successi, ostacoli, amarezze e speranze per il futuro.
Presidente Giuliani, dopo dodici anni alla guida della Comunità Montana Alta Tuscia Laziale, come valuta complessivamente questa lunga esperienza?
“Il bilancio, inevitabilmente, è fatto di alti e bassi. Ma sono stati anni di grande impegno e, in diversi casi, anche di risultati importanti. Ricordo ancora quando, all’inizio del mio mandato da presidente, una delle prime sfide fu la creazione del Gal, il Gruppo di Azione Locale, che da anni mancava in questa zona. Ce l’abbiamo fatta, e questo ha generato una ricaduta economica significativa su tutto il tessuto locale: attività private, enti pubblici, comuni. E’ stata una spinta importante, concreta. Ho collaborato con determinazione anche per far partire il progetto delle ‘Aree Vaste’, in particolare il collegamento tra la zona di Piansano, Cellere, Canino e Tuscania”.
In che modo ha cercato di valorizzare le specificità ambientali, culturali e sociali delle aree montane?
“Quando uno accetta certi incarichi, o li sente profondamente o è meglio lasciarli. E io li ho sempre sentiti, nella pelle. Ho sempre avuto un amore viscerale per il territorio che ho rappresentato. Ma questo non basta. Per realizzare davvero qualcosa servono anche strumenti e risorse. E lì spesso ci siamo scontrati con un muro. Ho sempre rimarcato, anche con una certa insistenza, in tutte le riunioni a livello regionale, la necessità di dotare le Comunità Montane di competenze vere. Ho trovato anche molte opposizioni da altri presidenti, ma per me è sempre stato chiaro: è inutile mantenere le Comunità Montane se poi non si attribuiscono loro deleghe reali. Oggi la nostra Comunità Montana non ha alcuna delega operativa, nessuna possibilità concreta di partecipare a bandi regionali, nemmeno a quelli collegati al Pnrr. In pratica, siamo diventati un ente senza poteri, senza ruolo: né carne né pesce”.
Nel frattempo, altre realtà montane italiane hanno seguito percorsi diversi. Come valuta il confronto con regioni come Toscana o Umbria?
“E’ proprio questo che mi fa rabbia. In altre regioni, le Comunità Montane sono state valorizzate e dotate di strumenti concreti. Penso alla Toscana, all’Umbria, alla Campania: lì alle Comunità Montane sono state affidate funzioni precise, come la gestione del fondo per la montagna, lo sviluppo economico locale, interventi contro lo spopolamento, la tutela dell’ambiente e del territorio. In Toscana fanno bandi per incentivare la residenzialità in montagna, per l’insediamento di nuove imprese. Questo vuol dire assegnare alle Comunità Montane un ruolo chiave nella pianificazione locale, ma anche offrire risorse vere per affrontare problemi gravi come lo spopolamento. Qui da noi, nel Lazio, tutto questo non esiste. Ed è un’enorme occasione mancata”.
Come si è relazionato in questi anni con gli altri sindaci del territorio?
“Il rapporto con gli altri amministratori è stato sempre positivo. Io, fin dall’inizio, ho scelto una linea chiara: ogni decisione presa come presidente della Comunità Montana è stata preceduta da una riunione con i sindaci. Non ho mai agito da solo. Abbiamo sempre discusso insieme, condiviso le motivazioni dei provvedimenti. C’è sempre stata unanimità, e questo ha creato un clima di collaborazione solido e duraturo, sia con i sindaci delle passate amministrazioni che con quelli attuali. L’unità è stata una delle forze di questo percorso”.
Francesco Cozza Caposavi
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