Il caso Intel è anche emblematico del fallimento delle politiche industriali dell’Ue. Fatti, numeri e approfondimenti
Era nell’aria, ma dalle parti di Bruxelles non deve essere stato molto piacevole ricevere la notizia della cancellazione degli investimenti in Europa da parte di Intel. L’azienda multinazionale americana, il 25 luglio scorso, si è infatti tirata indietro definitivamente dai progetti avviati in Germania, a Magdeburgo, e in Polonia, a Wroclaw, dove doveva aprire alcuni stabilimenti, già congelati a settembre scorso.
Intel, che sta vivendo un momento economico delicato, vista la deriva presa dagli Stati Uniti di Donald Trump vuole concentrare i suoi investimenti in territorio americano. E quindi ha deciso di tagliare del 15% la sua forza lavoro e di sfalciare i circa 35 miliardi di euro di investimenti. Abbandonando l’Unione Europea e di fatto il suo Eu Chips Act, varato da Bruxelles nel 2023 per provare a ridurre il gap con Washington e Pechino. La promessa era quella di mobilitare più di 43 miliardi di euro di fondi pubblici e privati destinati alla produzione di semiconduttori, di fondi diretti Ue però erano ben pochi, circa 3 miliardi. Intel ha di fatto minato alla base un piano che ora ha palesato tutti gli errori dell’Ue.
I SUSSIDI EUROPEI
Bruxelles aveva aperto, per i singoli stati membri, alla possibilità di sussidiare le aziende per attrarre gli investimenti. Facendo scattare così una lotta interna, nella quale i paesi più ricchi e con meno vincoli nelle spese partivano favoriti. Tutto per riuscire a convincere multinazionali come Intel a scegliere uno stato rispetto a un altro. Una battaglia a suon di soldi pubblici, che però alla fine non è servita.
Berlino, per esempio, per l’impianto di chip a Magdeburgo aveva previsto quasi 10 miliardi di euro di sussidi pubblici. In pratica un terzo del valore della fabbrica. Una cifra raggiunta dopo mesi di negoziazioni e giochi al rialzo da parte di Intel. Lo stesso aveva fatto la Polonia, arrivando a poter mobilitare quasi due miliardi in contributi statali pur di far stabilire l’azienda a Wroclaw. Tutto inutilmente visto il dietrofront della multinazionale Usa.
L’ERRORE EUROPEO
L’errore strategico del continente, secondo quanto scritto dall’analista e firma di Startmag Alessandro Aresu, è stato quello di “basare il proprio rilancio tecnologico quasi solo sulle scelte egoistiche di un’azienda in condizioni simili. Tra l’altro non va dimenticato che Intel beneficia già, insieme a molti altri colossi statunitensi, del fisco irlandese: un fattore che, come ricorda l’economista Brad Setser, è un grande svantaggio competitivo dell’Europa nella guerra dei dazi”.
Inoltre, “il piano europeo sui semiconduttori ha perseguito l’obiettivo sbagliato e irrealistico di aumentare la quota produttiva globale dell’Ue al 20% nel 2030, invece di puntare su cose meno altisonanti e più concrete come i vantaggi competitivi europei nella chimica, nei macchinari, nel testing e nella ricerca applicata, o di affrontare una volta per tutte la strategia di lungo termine e le sovrapposizioni di aziende come Stm, Infineon e Nxp”, ricorda Aresu.
Che conclude: “Intel ha fatto shopping di sussidi anche in Europa, soprattutto in Germania, per poi mettere in pausa e infine cancellare quegli stessi mega-progetti in Germania e Polonia ai quali sembrava affidato il futuro dell’Europa”.
SOLDI E STRATEGIE
Anche l’Italia inizialmente sembrava poter rientrare nei piani di Intel, con una fabbrica in Veneto, a Vigasio. Tanto che il governo per cercare di convincere l’azienda aveva tirato fuori circa 4 miliardi di euro, in particolare dai fondi del Pnrr. L’anno scorso, poi, il progetto è saltato. O meglio non è mai partito. Segno evidente, per molti, che la sola strategia dei sussidi non bastava. Per l’Istituto Bruno Leoni, per esempio, la marcia indietro di Intel è stata un bene, perché è stata “la presa d’atto che i sussidi possono abbattere i costi sostenuti direttamente dall’investitore, ma non bastano a creare le condizioni più opportune a produrre un certo bene”.
E soprattutto “il fatto che un’azienda sia disponibile a prendersi del rischio solo in cambio di una sua parziale (più o meno significativa) socializzazione per interposti aiuti di Stato, dovrebbe far sollevare più di un sopracciglio e smorzare ogni entusiasmo”.
I soldi offerti da Germania e Polonia per i nuovi impianti non sono stati ovviamente utilizzati da Intel: l’inizio dei cantieri e dei progetti era fissato almeno al 2027. Ma la questione su se e quanto l’azienda abbia comunque sfruttato le aperture europee sui sussidi e altri finanziamenti europei a proprio vantaggio è comunque aperta.
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