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“Senza fondi per la cooperazione internazionale a rischio milioni di vite”


Si è molto parlato negli ultimi mesi delle conseguenze dei dazi commerciali imposti dall’amministrazione statunitense. Meno al centro dell’attenzione è stata un’altra decisione della Casa Bianca del presidente Donald Trump, quella dei tagli all’agenzia per lo sviluppo internazionale USAID.

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Decine di miliardi di dollari di supporto alla cooperazione internazionale che potrebbero venire a mancare nei prossimi anni e rischiano di avere un costo altissimo in termini di vite umane. “USAID è la più importante organizzazione per il finanziamento di progetti umanitari e sanitari nei Paesi in via di sviluppo – sottolinea Carmelo Fanelli, pediatra e presidente e medico volontario del gruppo trentino dell’associazione “Medici con l’Africa – Cuamm”, che da decenni si occupa di portare aiuto nel continente africano – e, secondo un’analisi della rivista Nature, questi tagli, se confermati, potrebbero portare tra 2025 e 2040 alla morte di 25 milioni di persone”.

Una prospettiva drammatica, quindi, i cui primi effetti si vedono già ora nel lavoro di chi opera sul campo, come il Cuamm: “A rischiare di essere più colpiti sono i programmi contro la malnutrizione, per il contrasto a patologie come AIDS e tubercolosi e, in generale, quelli di assistenza materno-infantile”, aggiunge Fanelli. A questa ultima tipologia appartengono ad esempio alcuni progetti del Cuamm in Uganda, nella difficile regione del Karamoja, che già stanno sperimentando le conseguenze: “Non è stato più possibile acquistare carburante per generatori e per far funzionare le attrezzature dell’ospedale. O per il trasporto delle donne dai villaggi alle strutture sanitarie”.

In Etiopia le difficoltà riguardano i soggetti più deboli: “È venuto a mancare il supporto per l’acquisto dell’alimento terapeutico da dare ai bambini malnutriti – spiega Fanelli – si usa per supportare ed evolvere la loro alimentazione, per farla avvicinare ad una più naturale”. Uno sviluppo degli ultimi giorni sembrerebbe però poter migliorare la situazione: “Parrebbe che il Canada sia disposto a colmare il vuoto lasciato da questa mancanza di fondi”.

Fanelli è appena tornato dall’Angola dove, insieme alla moglie Laura Maldini che è infermiera, si è occupato di prestare la sua opera all’ospedale di Chiulo, occupandosi anche della formazione degli operatori sanitari locali. Una struttura sanitaria che si trova nella provincia del Cunene, una zona del sud dell’Angola praticamente desertica ai confini con la Namibia: “È tra le aree più povere del Paese – racconta Fanelli – ed è un esempio della filosofia del Cuamm di agire nel cosiddetto ultimo miglio, cioè quei territori dove non arriva nessuno e quindi con bisogni umanitari più pressanti”. 

E anche in Angola Fanelli vede dei rischi se non ci sarà un cambio di direzione sui tagli ai fondi USAID, in particolare per i programmi per il contrasto all’AIDS: “Pensate cosa può voler dire non poter più fornire i  farmaci per l’AIDS. Significa che le persone sottoposte a trattamenti non li riceveranno più. Con l’inevitabile effetto di un riacutizzarsi della malattia e di essere esposti a quelle ulteriori infezioni che poi sono spesso le cause che portano al decesso dei malati”.

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Difficile ipotizzare una soluzione immediata, senza un ripensamento dell’amministrazione americana. Ma Fanelli prova a immaginare una possibile dinamica positiva per riuscirci: “Si è creato un buco nei finanziamenti. Ma è anche uno spazio dove ad esempio l’Europa, che nel suo complesso mette a disposizione più risorse degli Stati Uniti, possa farsi promotrice di un’azione per compensare l’assenza americana. Il problema è che il Vecchio Continente sembra ora concentrato su altre priorità, dal riarmo alla risposta ai dazi commerciali”.

Di certo, sostiene Fanelli, se una risposta di questo tipo ci sarà, dovrà essere nella direzione di “un sempre maggiore coinvolgimento dei governi locali, rendendoli sempre più protagonisti nel cercare soluzioni alle loro necessità di salute, che sono fondamentali e non negoziabili”. In linea con l’azione di “Medici con l’Africa – Cuamm”, attiva dal 1950 per la promozione e la tutela della salute delle popolazioni africane: “La chiave per noi è operare ‘con’ queste popolazioni, agendo all’interno delle strutture sanitarie locali e mettendo al centro anche la formazione degli operatori di questi Paesi, con cui condividere tutto, risultati, traguardi da raggiungere e difficoltà”. Dal 1993 ha preso vita il gruppo trentino dell’associazione, che fa anche parte di FArete Trentino, coordinamento che riunisce più di 50 organizzazioni provinciali di cooperazione e solidarietà internazionale.



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