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Beltrame Giacomello: «L’industria investe, ma Europa e governo ci lasciano soli»


«La presidente Ursula Von der Leyen ha scelto di rendere competitivi gli altri, non noi. Così l’Europa rischia un harakiri industriale». Barbara Beltrame Giacomello, vicepresidente dell’omonimo gruppo siderurgico da 1,7 miliardi di ricavi e con 135 anni di storia, presidente di Confindustria Vicenza e già vice presidente nazionale con delega all’internazionalizzazione, lo dice con freddezza.

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Mentre l’Europa arranca e l’Italia rimanda, il settore industriale ha già avviato decarbonizzazione, automazione e idrogeno, rivendica ferma. Ma l’allarme è chiaro: «Se l’Europa continua a ignorare la manifattura, il declino sarà irreversibile. Non bastano slogan e ideologia. Qui si produce occupazione, valore, competitività. E va difeso ora».

Presidente Beltrame Giacomello partiamo dall’impresa. Lei dice noi abbiamo fatto la nostra parte. Qual è la parte che avete fatto come imprenditori?

«L’impresa investe, va avanti, altrimenti il mercato la cancella. Noi stiamo investendo moltissimo sull’automazione e sulla digitalizzazione, con l’obiettivo di rendere i processi più efficienti, sicuri e sostenibili. L’intelligenza artificiale è un alleato fondamentale nella gestione dei dati e nell’ottimizzazione operativa. Ma la vera sfida è mantenere un equilibrio tra innovazione e tradizione produttiva. La nostra è una storia solida e va rispettata».

Il tema della decarbonizzazione è diventato centrale per il settore siderurgico. Cosa fate concretamente?

«La decarbonizzazione è un pilastro della nostra strategia industriale e ambientale. Abbiamo l’obiettivo di ridurre del 40% le nostre emissioni Scope 1 e 2 entro il 2030. Per raggiungerlo, abbiamo acquisito 12 centrali idroelettriche che oggi coprono circa il 30% del nostro fabbisogno energetico italiano. In parallelo, stiamo sviluppando impianti fotovoltaici su aree di nostra proprietà e sottoscrivendo contratti di acquisto a lungo termine per incrementare l’energia da fonti rinnovabili. Un altro asse chiave è l’idrogeno. Stiamo realizzando a Villadossola una Hydrogen Valley, cofinanziata dal Pnrr per 19,5 milioni di euro. L’impianto sarà alimentato da fotovoltaico e produrrà idrogeno verde, destinato a usi industriali e alla futura alimentazione dei nostri forni, già predisposti per funzionare con miscele a idrogeno dal 2026. Abbiamo inoltre lanciato Chalibria, il nostro acciaio carbon-neutral certificato».

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Un impegno forte, ma serve anche un contesto favorevole. Il piano Transizione 5.0 ha funzionato?

«No, è stato una debacle. Il 4.0 aveva funzionato, il 5.0 ha troppi paletti e non risponde ai bisogni reali delle imprese. Si parla di coinvolgerci, ma a oggi non abbiamo visto nulla. Tante dichiarazioni, pochi fatti concreti. E nel frattempo le nostre aziende affrontano da sole la competizione globale».

Lei è stata molto critica verso la Commissione europea.

«Von der Leyen ha scelto di rendere competitivi gli altri, non noi. Dopo il Green Deal e il secondo mandato, l’Europa rischia il harakiri sulla pelle della manifattura. La scelta fatta sui dazi parla da sola. Una barriera commerciale triplicata, che resta al 50% sull’acciaio e pagheremo 750 miliardi in acquisti energetici in 3 anni e 600 in investimenti che si aggiungono a quelli che ci sono già. Per fare delle proporzioni, Mario Draghi, nel suo rapporto sulla competitività, spiegava come servano investimenti nell’ordine dei 750-800 miliardi l’anno per colmare il divario con Usa e Cina. Ma anche a fronte di una sua esortazione esplicita e diretta, si è trovato – ci siamo trovati drammaticamente tutti – un’Europa muta e immobile».

«Deve intervenire subito, con un programma credibile e condiviso. Servono investimenti in infrastrutture digitali, ricerca e sviluppo, transizione energetica. Bisogna sostenere le imprese, soprattutto le piccole e medie, con politiche fiscali che incentivino l’innovazione e non con misure estemporanee. L’energia è il nodo principale: senza prezzi competitivi e forniture stabili non possiamo restare sul mercato. E poi bisogna rimuovere i cosiddetti dazi interni: burocrazia, lentezze, ostacoli che ci rendono più deboli. Ma l’Italia da sola non basta. Serve un’Europa compatta»

Il rischio è che altri entrino nel nostro mercato, mentre noi restiamo fuori da quelli strategici.

«Esatto. Con le attuali condizioni, noi non possiamo andare in America, ma la Cina può entrare da noi. Se non facciamo qualcosa in fretta, la concorrenza estera affonderà le nostre aziende. Le norme anti-dumping sono debolissime. E anche gli accordi internazionali, come quello con il Mercosur, restano bloccati. Così il nostro mercato resterà esposto e in ritardo».

Restiamo indietro su tanti aspetti, la leadership femminile è uno dei temi su cui lei insiste molto.

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«Il cambiamento è iniziato, ma non è ancora sufficiente. Le donne in posizioni di vertice sono ancora troppo poche. E devono dimostrare il doppio per ottenere la metà. Non basta sedere ai tavoli decisionali: bisogna contare. Servono politiche aziendali serie, percorsi di carriera trasparenti, mentoring femminile, sostegno reale alla maternità. Non è una questione di gentile concessione, è una necessità. Le aziende che non valorizzeranno il talento femminile sono destinate a restare indietro».

Lei è presidente di Confindustria da maggio, succede a Laura Dalla Vecchia, quali sono le sue priorità?

«Vicenza è la prima provincia italiana per export pro capite, con il 39% del valore aggiunto generato dall’industria, contro il 20% della media nazionale. È un territorio che ha tutto: meccanica, oreficeria, chimica, packaging, meccatronica, tessile. Il mio impegno è portare le imprese vicentine nei tavoli nazionali ed europei, sostenere l’internazionalizzazione, attrarre talenti e rafforzare la rete con le altre Confindustrie venete. Noi, con Lombardia ed Emilia-Romagna, siamo i pilastri dell’economia italiana. E dobbiamo farci sentire».



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