Il conflitto tra Israele e Hamas entra in una fase ancor più crudele: i miliziani islamisti promettono di far entrare la Croce Rossa a visitare gli ostaggi soltanto se verranno aperti passaggi umanitari permanenti per alimenti e farmaci destinati agli abitanti di Gaza, ormai allo stremo.
Ultimatum di Hamas: aiuti per Gaza in cambio della Croce Rossa
La proposta, arrivata con un comunicato delle Brigate Qassam, è formulata come un aut aut: l’accesso del Comitato internazionale della Croce Rossa agli ostaggi sarà concesso solo dopo la riapertura continua di vie di approvvigionamento verso l’intera Striscia di Gaza. Il testo precisa che l’organizzazione armata è pronta a collaborare perché cibo e medicinali raggiungano i «prigionieri nemici», a condizione che la stessa assistenza raggiunga senza vincoli i civili palestinesi rimasti intrappolati in tutte le zone del territorio costiero assediato.
La richiesta di Hamas è stata concepita come risposta diretta all’appello lanciato poche ore prima dal premier israeliano Benjamin Netanyahu, che aveva sollecitato la Croce Rossa a «intervenire immediatamente» presso i sequestratori per consegnare vivande e cure ai compatrioti in ostaggio. L’organizzazione umanitaria aveva replicato rinnovando la disponibilità a una visita, sottolineando che i prigionieri necessitano con urgenza di assistenza medica. Adesso il dossier torna nelle mani dei negoziatori internazionali: se i corridoi non saranno aperti stabilmente, gli ispettori resteranno fuori dai tunnel dove, secondo le immagini diffuse, gli ostaggi sopravvivono in condizioni estreme.
Hostaggi e popolazione allo stremo: il ricatto della fame
Gli ultimi filmati diffusi da Hamas mostrano due prigionieri israeliani estremamente deboli, uno dei quali regge a fatica un bicchiere d’acqua. Le loro guance scavate richiamano il quadro dipinto dalle agenzie delle Nazioni Unite: più di mezzo milione di abitanti di Gaza vive in condizioni di carestia improvvisa. Nell’intreccio di guerra, propaganda e disperazione, il cibo diventa arma, contante e motivo di negoziato. Le Brigate, attraverso il comunicato, sostengono che «non privano deliberatamente i prigionieri del pane», bensì condividono con loro le stesse razioni risicate disponibili nei tunnel e nei rifugi sotterranei.
Questo parallelismo, secondo i miliziani, prova che gli ostaggi non riceveranno privilegi finché la politica della fame resterà lo strumento scelto da Israele per esercitare pressione militare e politica. L’assedio stringe così le vite di civili, combattenti e prigionieri in un unico destino di privazioni. Al di fuori dei tunnel, la carenza di approvvigionamenti base ha trasformato scuole e ospedali in cucine improvvisate, mentre sacchi di farina acquistano più valore del denaro contante. Per gli ostaggi, la promessa di un biscotto o di un analgesico dipende adesso dall’arrivo dei camion umanitari alla frontiera.
La reazione di Netanyahu: nessun passo indietro
Di fronte all’ultimatum, Benjamin Netanyahu ha scelto toni durissimi. In un messaggio video indirizzato alla nazione, il premier ha descritto i rapitori come «mostri» e ha paragonato la loro strategia di denutrizione alle pratiche di sterminio del passato. Il capo del governo vuole convincere l’opinione pubblica che qualunque concessione ora significherebbe legittimare il ricatto. Per questo ribadisce la doppia missione: riportare a casa i rapiti e distruggere definitivamente Hamas. La posizione governativa implica il proseguimento dell’offensiva militare e il mantenimento di un blocco che, secondo gli avversari, aggrava le sofferenze dei civili.
Fonti dell’esecutivo spiegano che ogni apertura di corridoi permanenti verrebbe interpretata da Gerusalemme come un indebolimento della pressione su Hamas. Tuttavia, crescono i segnali di malcontento interno: diversi partiti di coalizione temono che il governo possa trovarsi presto isolato sul piano diplomatico se il tema umanitario continuerà a essere ignorato. Nel frattempo le cancellerie occidentali spingono per un compromesso che consenta alla Croce Rossa di verificare le condizioni dei prigionieri, evitando al contempo che la fazione palestinese sfrutti gli aiuti per ricostituire il proprio arsenale.
I timori dei familiari: «Ogni ora pesa come un anno»
In Israele, la pazienza delle famiglie si è trasformata in protesta di piazza. Decine di parenti degli oltre cinquanta ostaggi ancora in cattività hanno bloccato la principale arteria di Tel Aviv, paralizzando il traffico serale. Brandivano cartelli che chiedevano «Accordo subito», accusando il governo di vendere alla popolazione l’illusione che la sola forza militare possa riportare i loro cari a casa. I manifestanti urlano che la finestra di sopravvivenza si restringe ogni giorno, mentre i video dei tunnel mostrano corpi sempre più fragili e sguardi che implorano soccorso.
Il Forum delle famiglie degli ostaggi, che rappresenta la maggioranza dei parenti, ha diffuso una nota al vetriolo. Nel documento si denuncia che, a ventidue mesi dall’inizio della crisi, «l’idea di una pressione militare risolutiva si è rivelata un miraggio». Per il collettivo, prolungare le operazioni armate significa moltiplicare il pericolo per i sequestrati, esposti a malattia, denutrizione e possibili bombardamenti. Si teme che la politica del tempo infinito, brandita dal governo come leva negoziale, diventi la condanna a morte per chi resta prigioniero nelle viscere sotterranee di Gaza.
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