La crisi della plastica è arrivata a un punto di non ritorno: più di 170 Paesi si sono riuniti a Ginevra per cercare di ratificare un trattato globale, giuridicamente vincolante, volto a ridurre produzione, i rifiuti e le sostanze chimiche nocive della plastica. L’incontro cade dopo anni di negoziati iniziati nel 2022, ma del tutto inconcludenti. Nel frattempo negli oceani continuano a galleggiare 200 trilioni di pezzi di plastica. Una cifra destinata a crescere.
La plastica è al centro di una vera e propria emergenza globale. Dal 1950, quando si producevano 2 milioni di tonnellate, siamo passati a produrne 475 milioni e solo il 2% viene riciclato. Le microplastiche, ormai, contaminano ogni ecosistema. Inoltre hanno un risvolto in danni economici: secondo Lancet Countdown, questi ammontano a 1,5 trilioni di dollari l’anno.
Una produzione record (negativo) e il suo impatto
Negli ultimi decenni la produzione di plastica è cresciuta in modo esponenziale, complice il ricorso ai combustibili fossili per sintetizzare polimeri sempre più economici. Secondo il National Oceanography Centre, la frammentazione degli oggetti in microplastiche ha portato questi residui dalle fosse oceaniche alle cime dei monti, con effetti a catena sulla fauna: ingestione accidentale, occlusioni intestinali e intrappolamento in reti o imballaggi. I ricercatori avvertono che, oltre una certa soglia di accumulo nei tessuti, gli animali subiscono infiammazioni croniche e alterazioni ormonali che ne riducono la sopravvivenza. E per “animali” si intendono anche gli esseri umani.
La plastica contiene oltre 16.000 sostanze chimiche e di quelle testate, il 75% è classificato come “altamente pericoloso”. Il Lancet collega al ciclo di vita della plastica un maggiore rischio di cancro, patologie respiratorie e aborti spontanei, oltre ai costi sanitari e sociali per i lavoratori del settore rifiuti.
Negoziato di Ginevra, verso un accordo vincolante
Nel 2022 gli Stati membri dell’Onu si erano già impegnati a definire entro due anni un trattato globale. La scadenza però è passata senza testo condiviso. A Ginevra si riparte quindi da quattro nodi cruciali:
- obiettivi di riduzione della plastica monouso e dei polimeri vergini;
- divieti sulle sostanze chimiche più tossiche;
- standard di progettazione per rendere i prodotti riciclabili e tracciabili;
- finanziamenti per riciclo e bonifica, inclusa l’ipotesi di tasse coordinate sulle aziende utilizzatrici (sostenuta dalla Business Coalition che annovera Nestlé e Unilever);
Quasi 100 Paesi chiedono un accordo “ambizioso” che limiti la produzione. Russia, Arabia Saudita e altri esportatori di petrolio puntano invece su più riciclo e meno tagli alla filiera, timorosi di ridurre uno dei pochi mercati in crescita per l’industria dell’oro nero. Per le multinazionali, la mancanza di regole uniformi genera costi e rischi reputazionali: ogni anno devono adeguarsi a centinaia di normative locali sul packaging e temono che i loro brand finiscano sulle spiagge inquinate.
Se il compromesso su produzione, chimica e finanziamenti non arriverà in questa sessione, la firma del trattato globale contro la crisi della plastica rischia di slittare ancora, mentre l’“onda” di rifiuti continua a ingrossarsi.
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