La crescita globale è a rischio. È l’allarme lanciato dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse), che mette sotto i riflettori una debolezza strutturale degli ultimi anni: il crollo degli investimenti netti delle imprese. Un trend che, secondo i dati dell’Ocse riportati dal Financial Times, sta frenando la capacità delle economie avanzate di tornare su un sentiero di espansione robusta e sostenibile.
Secondo l’organizzazione con sede a Parigi nella maggior parte delle economie sviluppate la spesa per nuovi progetti e infrastrutture aziendali non ha mai realmente recuperato dopo la doppia frattura della crisi finanziaria globale del 2008 e della pandemia di Covid-19. Un’erosione lenta ma costante: gli investimenti netti sono passati dal 2,5% del prodotto interno lordo (pil) prima della crisi del 2008 all’1,6% nel 2024.
«Se la spesa delle imprese per investimenti non riprenderà slancio, i paesi non saranno in grado di sostenere la crescita», ha avvertito Álvaro Pereira, capo economista uscente dell’Ocse parlando al quotidiano britannico. Pereira, recentemente nominato governatore della Banca del Portogallo, ha sottolineato come l’attuale debolezza degli investimenti sia il sintomo di un’incertezza diffusa che paralizza le scelte strategiche delle imprese.
Solo pochi Paesi sopra i livelli pre-crisi
Il quadro delineato dall’Ocse è preoccupante: solo due economie avanzate su 34 (Israele e Portogallo) hanno superato nel 2024 i livelli di investimento netti precedenti alla crisi finanziaria del 2008. Ancora più contenuto il recupero rispetto alla pandemia: solo sei paesi, tra cui Italia, Canada e Australia, hanno superato i livelli di investimento pre-Covid.
Una recente analisi condotta dall’Organizzazione mostra come gli investimenti netti siano in media ancora inferiori del 20% rispetto a quelli che si sarebbero registrati se fossero continuate le tendenze pre-2008. Rispetto al trend pre-pandemico, il gap resta del 6,7%.
Incertezza politica e freni agli investimenti
Alla base di questa stagnazione c’è, secondo Pereira, una «pervasiva incertezza politica» che mina la fiducia delle imprese. Le aziende, colpite da shock ricorrenti – commerciali, normativi e geopolitici – rinviano o cancellano progetti di investimento a lungo termine. In particolare, i dazi introdotti negli ultimi anni dagli Stati Uniti, sotto la presidenza di Donald Trump, rappresentano una delle principali fonti di instabilità.
E nonostante le rassicurazioni dell’Fmi – che la scorsa settimana ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita globale al 3% per il 2025 – il rallentamento rispetto al 3,3% del 2024 e al 3,7% del periodo pre-pandemico resta evidente.
La spinta del digitale non basta
Non mancano aree di espansione: gli investimenti in digitale e capitale immateriale – come intelligenza artificiale, software e innovazione – sono in crescita. Tuttavia, secondo l’Ocse, questo sviluppo non è sufficiente a controbilanciare la debolezza degli investimenti in beni materiali, né a compensare l’aumento degli ammortamenti. Il risultato è un calo costante degli investimenti netti in rapporto al pil. Se l’incertezza dovesse mantenersi ai livelli attuali, l’Ocse stima che gli investimenti reali potrebbero contrarsi di ulteriori 1,4 punti percentuali entro la fine del 2026. (riproduzione riservata)
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