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Imprese italiane a caccia di soluzioni per minimizzare l’impatto dei dazi Usa


Tra strategie doganali, tensioni geopolitiche e nuove rotte della supply chain, per chi fa business è fondamentale percorrere strade nuove

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Le nuove tariffe doganali introdotte dagli Stati Uniti hanno fatto suonare il campanello d’allarme tra le imprese europee. Tra i settori più esposti vi è l’agroalimentare, in particolare il vino, ma anche la manifattura rischia contraccolpi significativi.

Export italiano a rischio

L’accordo Ue-Usa sugli scambi commerciali, salutato da alcuni come una distensione, viene letto da altri come una concessione unilaterale che penalizza l’Europa. “Ogni bottiglia di vino in America potrà costare fino al 20% in più”, denuncia Cristiano Fini, presidente di Cia-Agricoltori Italiani.

Gli Stati Uniti sono il primo mercato estero per il vino italiano, con un fatturato di 1,9 miliardi di euro nel 2024. Le aree più esposte sono il Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia per i bianchi Dop (138 milioni), la Toscana per i rossi (290 milioni), il Piemonte (121 milioni) e il Veneto con il Prosecco (491 milioni). La richiesta di Cia è chiara: servono indennizzi per le aziende colpite e una nuova comunicazione sul vino, capace di raggiungere un pubblico più giovane e globale.

Manifattura: guardare a Est per non dipendere da Ovest

Carlo De Ruvo, presidente di Confetra, invita a spostare lo sguardo verso Asia e Mercosur. India e Cina crescono rispettivamente del 6% e 4%, ma l’export italiano verso questi mercati rimane marginale (0,9% verso l’India, 0,7% verso la Cina). Per cogliere queste opportunità servono politiche industriali più ambiziose e meno frammentate: mercato unico dell’energia, capitali per le PMI, infrastrutture di frontiera più efficienti e incubatori per start-up industriali sono tra le priorità.

La via doganale: come difendersi sul campo tecnico

Secondo Pier Paolo Ghetti di Deloitte, una pianificazione doganale attenta può mitigare molti effetti negativi. Tra le strategie suggerite figurano la mappatura dei flussi, l’ottimizzazione dei regimi doganali (come il “duty drawback” o la “first sale rule”) e la rilocalizzazione produttiva per beneficiare di origini doganali più vantaggiose. “La conoscenza delle regole doganali è oggi una leva competitiva fondamentale”, sottolinea Ghetti.

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Il ruolo delle istituzioni e delle agenzie pubbliche

Ice e Sace sono chiamate a supportare le imprese nella diversificazione dei mercati. Ma non basta: secondo De Ruvo è indispensabile chiudere gli accordi di libero scambio in corso e abbattere barriere non tariffarie che penalizzano la competitività europea. Il rischio, altrimenti, è una progressiva marginalizzazione dell’Italia nei grandi flussi del commercio globale.

I dazi non sono una parentesi, ma una nuova normalità con cui le imprese dovranno convivere. Servono strumenti tecnici, supporto istituzionale e, soprattutto, una strategia chiara di posizionamento internazionale. Chi saprà ripensare la propria supply chain, leggere i cambiamenti e anticipare le mosse dei competitor avrà più chance di restare competitivo.





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