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«Investimenti anche su opere civili»


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ROMA Un volano per la crescita, in grado di innescare un circuito virtuoso. Più posti di lavoro, con un effetto leva sull’economia e sul Pil. Con ripercussioni concrete anche sulla vita dei cittadini grazie ad investimenti “dual case”. Tradotto: risorse impiegate non solo in armi, navi, elicotteri ed equipaggiamenti, ma anche in opere civili che consentano di tirare su ponti, strade, canali, dighe. Con un restyling del territorio necessario anche per contenere i rischi idrogeologici che un Paese fragile come il nostro corre. Giorgia Meloni ha riunito ieri a Palazzo Chigi le principali aziende partecipate del comparto Difesa e i ministri interessati a un dossier ormai nevralgico nell’azione di governo. Sul tavolo gli investimenti che attendono l’Italia da qui in avanti, con la spesa militare da portare al 5% del Pil entro il 2035. Sullo sfondo, ma neanche troppo, il piano messo in campo da Ursula von der Leyen per mobilitare risorse, sia pubbliche che private, con un potenziale stimato di circa 800 miliardi di euro per la sicurezza europea. Sono due le direttrici su cui Meloni intende muovere l’azione del suo governo. La prima passa dal “produce italian and sell”, ovvero battere su quei prodotti che trainano le vendite della difesa italiana dentro ma anche fuori confine. Elicotteri, navi militari, corvette e pattugliatori, sistemi di difesa aerea, velivoli di attacco -soprattutto gli M346 – e componentistica elettronica impiegata in missili di precisione e sistemi radar prodotti in tutto il mondo. «Avere più risorse ci dà la possibilità di produrre di più e stoccare, rendendo più appetibili i nostri prodotti all’estero per via dei tempi di consegna ridotti», ragiona uno dei big presente alla riunione. Attorno al tavolo, oltre ai ministri Tajani, Crosetto e Giorgetti, l’amministratore delegato di Leonardo Cingolani, il numero 1 di Fincantieri Spa Folgiero, gli ad della Cassa depositi e prestiti Scannapieco e di Invitalia Mattarella, l’amministratore delegato e direttore generale del Gruppo FS italiane Donnarumma.

Qualcosa, d’altronde, sul fronte delle risorse si muove. A partire dalla decisione del governo di accedere ai prestiti del fondo Safe per le armi, attingendo a parte di quei 150 miliardi messi sul tavolo dall’Ue. Per Roma la fetta di torta ammonta a 14 miliardi di euro spalmati in 5 anni. Da usare per finanziare anche programmi di difesa già approvati purché compatibili con i requisiti che dovranno essere negoziati con l’Europa. Non chiederli, viste le condizioni, per Giorgetti «sarebbe da scemi». Ma la decisione di accedere a finanziamenti per comprare armi, munizioni e velivoli da combattimento potrebbe rivelarsi un boomerang: difficile da spiegare all’opinione pubblica, terreno fertile per gli attacchi delle opposizioni. Da qui la volontà di rimarcare l’impiego di risorse in investimenti “dual case”. Tra questi potrebbe rientrare anche il ponte sullo Stretto che oggi avrà il disco verde del Cipess, passaggio decisivo per avviare i cantieri. L’opera verrà finanziata con risorse dello Stato e, in parte, dai fondi di coesione. Ma al Mit non escludono che anche il Safe potrebbe rivelarsi un mezzo utile alla causa. Quanto alla possibilità di indebitarsi per riempire gli arsenali, dal Mef confermano la volontà di non usare la clausola di salvaguardia del Patto di Stabilità nel 2026 e comunque non prima di essere fuori dalla procedura di infrazione. Stando al piano strutturale di bilancio, il deficit dovrebbe andare sotto il 3% nel 2026. Anche se c’è chi non esclude che il traguardo potrebbe essere tagliato prima, già durante l’anno in corso. Poi dovranno passare sei mesi, il tempo necessario all’Ue per certificare i conti in ordine.

Ileana Sciarra

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