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Perché il governo impugna le leggi regionali sul salario minimo


Il Cdm ha impugnato la legge della Toscana che prevede che nei bandi di gara pubblici regionali vengano favorite le aziende che pagano i propri dipendenti almeno 9 euro lordi all’ora. Per il governo potrebbe violare la concorrenza. Era giù successo alla Puglia. Intanto nonostante le promesse, i disegni di legge della destra sui salari restano al palo per i dissidi della maggioranza 

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Il tema dei salari resta un nodo divisivo per i partiti della maggioranza. Uno di quelli che alimenta il rally tra FdI e Lega. Così, benché il ddl sull’equa retribuzione – la legge delega che nel dicembre 2023 ha sostituito la proposta di legge delle opposizioni sul salario minimo – viene considerato «un punto di caduta ottimale», la Lega si è smarcata, annunciando un ddl Salari. Che a maggio ha costretto la maggioranza ad accelerare al Senato sulla legge delega.

Ed è forse questa corsa a piantare la bandierina in tema di salari bassi a spiegare perché il governo abbia impugnato la legge della regione Toscana sul salario minimo dopo aver bocciato un provvedimento simile della regione Puglia.

La concorrenza a spese dei salari

Il Consiglio dei Ministri di martedì ha contestato davanti alla Corte costituzionale la legittimità della legge 30 del 18 giugno 2025 della regione Toscana. Vale a dire quella che nei bandi di gara pubblici regionali favorisce le aziende che pagano i propri dipendenti almeno 9 euro lordi all’ora.

Approvata dal consiglio regionale toscano con il voto favorevole di PD, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra, e l’astensione di FdI e Lega, la legge prevede, che negli appalti della Regione, inclusi quelli che riguardano enti strumentali e dipendenti, aziende sanitarie e società in house, vi sia un criterio di premialità, vale a dire di attribuzione di punteggi aggiuntivi o vantaggi a favore delle offerte che prevedono salari a partire da 9 euro lordi l’ora. Andando incontro a quelle categorie di lavoratori che al momento hanno salari più bassi dei 9 euro, come chi si occupa di facchinaggio, portierato, pulizie, guardiania.

L’altolà del Cdm è scattato perché, sostiene il governo Meloni, il provvedimento sarebbe in contrasto con l’articolo 117 della Costituzione che attribuisce allo stato la competenza sulle norme che riguardano la concorrenza con le regioni.

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Le “gabbie salariali” leghiste

La proposta leghista sui salari annunciata qualche mese fa è poi rimasta in soffitta. Prevede un meccanismo di aumento dei salari e delle pensioni collegato all’andamento dei prezzi al consumo calcolato dall’Istat e un trattamento economico accessorio legato al costo della vita nelle diverse aree territoriali, richiamando così il sistema delle gabbie salariali. Differenziazioni dei salari anche su base territoriale che si sono però rivelate problematiche per FdI che non ha accolto con entusiasmo la proposta leghista.

«Governo nemico dei lavoratori»

Se il presidente dem della Toscana Eugenio Giani ha detto che la Regione farà ricorso contro l’impugnazione alla Corte Costituzionale, il grido di sdegno e di contrattacco s’è levato unanime dai partiti di opposizione. A partire dalla segretaria Elly Schlein che anche nei giorni scorsi aveva rilanciato la proposta del salario minimo per far ripartire la domanda interna. La segretaria dem chiosa come «scandalosa» la decisione del governo, «considerato che le famiglie non riescono ad arrivare alla fine del mese per le bollette alte e gli stipendi bassi». E assicura che «non solo continueremo a batterci perché in Parlamento torni la legge di iniziativa popolare su cui abbiamo raccolto oltre centomila firme, ma il salario minimo sarà centrale in tutti i programmi elettorali nelle regioni in cui andremo al voto».

Mentre in una nota i presidenti dei gruppi del PD al Senato e alla Camera Francesco Boccia e Chiara Braga e il capodelegazione del PD al Parlamento europeo Nicola Zingaretti bollano l’azione del governo come «una decisione grave» e «un intento punitivo». «La verità – aggiungono – è che il governo Meloni è nemico dei lavoratori».

E da Avs: «È più forte di loro – sostiene Nicola Fratoianni, dopo la decisione del Consiglio dei ministri – quando qualcuno vuole tutelare i più deboli, i lavoratori e le lavoratrici, a mettere i bastoni tra le ruote ci pensa il governo Meloni».

Comuni e Regioni

In assenza di una legge nazionale sul salario minimo e di fronte al bastian contrario del governo, ci provano le amministrazioni locali, comuni e regioni, a sopperire a una mancanza di attenzione verso un tema che richiederebbe la cura istituzionale e che invece è ridotto a finire sotto i riflettori dei media, dei talk e dei salotti buoni in veste di braccio di ferro con le opposizioni.

Come Genova, dove a fine luglio la giunta guidata da Silvia Salis (PD) ha approvato la delibera sul salario minimo di nove euro lordi l’ora per i lavoratori delle imprese appaltatrici del Comune. Un provvedimento promesso in campagna elettorale con cui la città ligure si è affiancata ad altre istituzioni, come Firenze, Napoli e la Regione Puglia. Con quest’ultima che si è vista però indirizzare a gennaio il ricorso dell’esecutivo contro la legge regionale che aveva introdotto la retribuzione minima di 9 euro all’ora.

Ora, dopo la Puglia, è il turno della regione Toscana che si è vista impugnare dall’esecutivo la legge sulla tutela dei lavoratori negli appalti pubblici.

La direttiva della Commissione europea prevede che gli Stati membri definiscano criteri nazionali per un salario minimo al fine di ridurre il divario salariale e il numero dei lavoratori in stato di povertà. In Italia una legge nazionale ancora non c’è.

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