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“13 miliardi e 40mila posti a rischio”


“Con i dazi al 15%, il Centro Studi di Conflavoro stima una perdita dello 0,6% del PIL, pari a 13 miliardi di euro, di cui 8 miliardi colpiranno direttamente le imprese, 3 miliardi incideranno sulla filiera e 2 miliardi sull’indotto, mettendo a rischio 40mila posti di lavoro, di cui 13mila solo nel Mezzogiorno. Se a questo scenario si aggiungono gli effetti del deprezzamento del dollaro, le perdite complessive potrebbero aumentare ulteriormente di 5,3-7,5 miliardi, con ulteriori 20mila posti di lavoro in bilico. Andava evitata una guerra dei dazi, è vero, ma ora è essenziale diversificare i mercati per promuovere ovunque il made in Italy delle nostre imprese”. È quanto dichiara Roberto Capobianco, presidente nazionale di Conflavoro, all’indomani del Patto di Turnberry siglato tra USA e Unione Europea.

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Gli effetti dei dazi sulle regioni italiane

Secondo le analisi del Centro Studi diretto da Sandro Susini, i settori maggiormente colpiti dagli effetti dei dazi saranno la meccanica (con 10,8 miliardi di euro di impatto), l’agroalimentare (7,8 miliardi), la moda (5 miliardi), l’arredamento (1,6 miliardi) e la tecnologia (1,3 miliardi).

L’effetto sarà particolarmente severo in alcune regioni italiane, tra cui Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. In Lombardia si stimano 2,3 miliardi di euro di danni e 7.000 posti di lavoro a rischio, con particolare esposizione nei comparti della meccanica, della moda e della chimica. In Veneto, l’impatto economico si aggira intorno a 1,6 miliardi, con 4.500 posti a rischio nei settori dell’arredo, agroalimentare e moda. L’Emilia-Romagna vedrà una perdita stimata di 1,3 miliardi e 4.000 occupazioni a rischio, principalmente nella meccanica, nel food processing, nel biomedicale e nella logistica.

Segue la Toscana, con 850 milioni di euro di impatto e 2.600 lavoratori coinvolti, soprattutto nella moda, nella pelletteria, nel vino e nel settore farmaceutico. Il Piemonte, con un danno stimato di 700 milioni e 2.100 posti a rischio, risentirà soprattutto nei comparti dell’automotive, della componentistica e dell’alta meccanica. La Campania, con 600 milioni di impatto e 1.900 posti a rischio, sarà colpita nelle filiere locali, nell’agroalimentare e nella lavorazione conto terzi. In Puglia, i danni si attestano sui 500 milioni con 1.600 posti a rischio nell’agroindustria, nei trasporti e nel tessile, mentre in Sicilia si stimano 480 milioni e 1.500 lavoratori coinvolti, principalmente nei settori agroalimentare, logistica e vino.

Anche il Lazio subirà un impatto rilevante dai dazi, pari a 550 milioni di euro e 1.800 posti a rischio nei settori farmaceutico, servizi avanzati e logistica. Nelle Marche l’impatto sarà di 460 milioni con 1.400 posti a rischio, in particolare nelle calzature e nel tessile. Il Trentino-Alto Adige subirà 260 milioni di danni e 750 occupazioni a rischio, specialmente nella meccanica leggera e nel settore vinicolo. La Liguria, con un impatto stimato di 200 milioni, potrebbe perdere 650 posti nel comparto della logistica portuale, nelle conserve e nel navale. Il Friuli-Venezia Giulia subirà 190 milioni di perdite e 600 posti a rischio, principalmente nei mobili, nella meccanica e nei vini.

Anche regioni con minore esposizione al mercato statunitense, come Abruzzo (180 milioni e 600 posti), Umbria (170 milioni e 550 posti), Calabria (160 milioni e 500 posti), Sardegna (160 milioni e 500 posti), Basilicata (130 milioni e 400 posti), Molise (70 milioni e 200 posti) e Valle d’Aosta (30 milioni e 100 posti), subiranno conseguenze, seppur più contenute.

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A questo impatto economico diretto si aggiungono i costi stimati per il sistema di welfare. Gli ammortizzatori sociali da soli peseranno per circa 795 milioni di euro: 400 milioni per la NASpI, 160 milioni per la CIGS, 120 milioni per la CIGO, 75 milioni per i contratti di solidarietà e 40 milioni per altre indennità. Ma l’emergenza non finisce qui. Si stimano infatti anche costi collaterali per circa 690 milioni: 200 milioni derivanti dalla riduzione degli investimenti, 190 milioni dall’impatto sulla catena di fornitura, 120 milioni per la riqualificazione professionale, 100 milioni per gli effetti sul sistema bancario e 80 milioni per la perdita di competenze.

Capobianco conclude con un appello: “L’Europa deve negoziare esenzioni settoriali con gli Stati Uniti, a partire dai settori moda e agroalimentare. Inoltre, la BCE deve adeguare i tassi alle condizioni economiche reali, in modo da garantire alle imprese un accesso stabile al credito. Al governo Meloni chiediamo la creazione di un corridoio economico per proteggere gli esportatori e le filiere, destinando come promesso i fondi del PNRR. Serve riattivare il tavolo di confronto di Palazzo Chigi, con una task force tra i ministeri delle Imprese e del Lavoro per monitorare le crisi aziendali e avviare percorsi di ricollocazione. Le PMI italiane si trovano oggi a un bivio, strette tra costi crescenti e una concorrenza globale sempre più spietata. È necessario tutelare, ma anche potenziare la competitività del nostro sistema produttivo”.





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