Si apre una nuova fase sul caso Almasri, con una resa dei conti tra le forze politiche in Parlamento. Il Tribunale dei ministri ha inviato alla Camera la richiesta di autorizzazione a procedere per il sottosegretario Alfredo Mantovano, il ministro Matteo Piantedosi e il guardasigilli Carlo Nordio. A farlo sapere, in serata, è stata una nota del presidente della giunta per le autorizzazioni di Montecitorio Devis Dori. Sulla vicenda del generale libico accusato di crimini di guerra, prima arrestato e poi rilasciato e rimpatriato dalle autorità italiane con un volo dei Servizi lo scorso gennaio, ora dovrà pronunciarsi la Camera dei deputati con un voto, entro i prossimi sessanta giorni, che deciderà se avviare o meno un processo penale nei confronti dei vertici di governo indagati. In particolare, risultano indagati il sottosegretario Mantovano e il ministro degli Interni Piatendosi. Il Guardasigilli Nordio, oltre che per il favoreggiamento, è accusato anche di omissione di atti d’ufficio. Il Tribunale dei ministri, ieri 4 agosto, ha invece archiviato la posizione della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. “Gli elementi acquisiti nel corso delle indagini non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna, limitatamente alla posizione della sola presidente del Consiglio Giorgia Meloni, tanto per il reato” di peculato quanto per quello di favoreggiamento. Dunque la premier era informata, ma non esistono prove di una sua “reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato”, sono le motivazioni. Ma la questione potrebbe non finire qui: non si può escludere che, una volta esauriti i necessari passaggi con il Tribunale dei ministri, la Procura di Roma possa indipendentemente valutare il ruolo svolto da altri soggetti nella vicenda, per i quali si seguirebbe il percorso della giustizia ordinaria. Sul caso si è espressa anche l’Anm: “Un processo dove vengono accertati, magari in via definitiva, certi fatti, ha evidentemente una ricaduta politica, neanche tanto indirettamente, sulle persone coinvolte”, dice il presidente Cesare Parodi a Radio Anch’io, in merito all’ipotesi di un coinvolgimento indiretto dei ministri nel caso in cui il capo di gabinetto del ministero della Giustizia, Giusi Bartolozzi, vada a processo. Durissima la reazione di Nordio: “Sono sconcertato”.
Nordio ad Anm: “Inaccettabile invasione”
Il ministro della Giustizia ha commentato a stretto giro le parole del presidente dell’Anm, sottolineando: “Sono sconcertato dalle parole di un presidente Anm considerato, sino ad ora, equilibrato. Non so come si permetta di citare la mia capo di gabinetto, il cui nome per quanto almeno mi risulta, non è citato negli atti. In caso contrario, dovrei desumere che Parodi è a conoscenza di notizie riservate. Quanto all’aspetto politico, considero queste affermazioni, fatte da un autorevole rappresentante Anm, una impropria ed inaccettabile invasione di prerogative istituzionali”.
Tribunale ministri rifiutò di sentire Mantovano
Intanto, da quanto emerge, nei primi giorni dello scorso giugno l’avvocata Giulia Bongiorno chiese per iscritto al Tribunale dei ministri di ascoltare il sottosegretario Alfredo Mantovano nell’ambito del procedimento avviato per la mancata consegna alla Corte penale internazionale del comandante libico Osama Njeem Almasri. Questo perché il sottosegretario aveva seguito ogni fase della vicenda e poteva, nella valutazione della legale, garantire un’informazione completa. La risposta dei giudici fu che non erano interessati ad ascoltare la versione di Mantovano bensì quella del ministro Carlo Nordio e che ritenevano le due posizioni “non fungibili”. Lo scambio di comunicazioni, secondo quanto si apprende, si trova negli atti del procedimento del Tribunale dei ministri. In serata, un comunicato ha fatto sapere che alla Camera è pervenuta una nota con allegati da parte del Tribunale dei Ministri. La stessa nota, spiega il comunicato, è stata trasmessa alla Giunta per le autorizzazioni per i seguiti di competenza.
Meloni: “Ogni scelta del governo concordata”
Dopo la svolta di ieri, Meloni aveva ribadito l’unità del governo e il suo supporto ai suoi ministri: “A differenza di qualche mio predecessore, che ha preso le distanze da un suo ministro in situazioni similari, rivendico che questo Governo agisce in modo coeso sotto la mia guida: ogni scelta, soprattutto così importante, è concordata. È quindi assurdo chiedere che vadano a giudizio Piantedosi, Nordio e Mantovano, e non anche io, prima di loro”, ha commentato la premier in un posto sui social. Nel merito, ha proseguito Meloni, “ribadisco la correttezza dell’operato dell’intero Esecutivo, che ha avuto come sola bussola la tutela della sicurezza degli italiani. L’ho detto pubblicamente subito dopo aver avuto notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati, e lo ribadirò in Parlamento, sedendomi accanto a Piantedosi, Nordio e Mantovano al momento del voto sull’autorizzazione a procedere”.
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Gli elementi alla base della scelta della Corte
“In base alle informazioni ricevute dal capo dell’Aise, Giovanni Caravelli (sentito come testimone, ndr) la presidente Meloni era sicuramente informata” della vicenda, scrive la Corte, ma quella fornita dal responsabile degli 007 competenti per l’estero resta una informazione generica perché “non compare alcun dettaglio o elemento valutabile circa la portata, natura, entità e finalità dell’informazione, specie sotto il profilo della sua condivisione delle ‘decisioni’ adottate”. Sarebbero proprio questi elementi a scagionare in primis la premier, per la quale non ci sarebbero elementi “dotati di gravità, precisione e concordanza tali da consentire di affermare in che termini e quando la Presidente del Consiglio sia stata preventivamente informata e abbia condiviso la decisione assunta in seno alle riunioni” sul caso Almasri. Tutto ciò pur riconoscendo “l’assunzione di responsabilità politica” fatta da Meloni anche alle sue dichiarazioni in tv. E poca rilevanza ha la nota delle autorità libiche, che contiene un profondo ringraziamento sulla vicenda Almasri, visto che si tratta di una formalità legata al “linguaggio protocollare”.
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