Il Corporate Venture Builder (CVB) si sta affermando sempre più come una leva strategica per la crescita e la trasformazione delle imprese, soprattutto alla luce delle nuove opportunità offerte dall’intelligenza artificiale generativa e dalla diffusione di strutture organizzative mature in grado di supportarne lo sviluppo. Nel 2024 risultavano attivi circa 824 Venture Builders nel mondo, di cui 427 avviati negli ultimi sei anni, a conferma della rapida crescita del modello. Ma c’è ancora molta strada da fare. Vediamo innanzitutto di cosa si tratta.
Cos’è il Corporate Venture Builder
Il Corporate Venture Builder (CVB), anche noto come Startup Studio corporate o Startup Factory, è un modello organizzativo e strategico con cui le grandi aziende creano startup al proprio interno. A differenza di altre forme di corporate innovation come l’open innovation o il corporate venture capital (CVC), il venture building non si limita a investire in realtà esistenti, ma sviluppa nuove imprese da zero, mettendo a disposizione risorse, tecnologie, competenze e un ecosistema già rodato. È una modalità che consente all’azienda madre di generare innovazione radicale mantenendo il controllo strategico sulle nuove iniziative, riducendo al contempo il rischio grazie a un processo strutturato e replicabile.
Possiamo definire i Corporate Venture Builder – scrive in questo articolo Alessandra Luksch, Direttore dell’Osservatorio Startup Thinking degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano – come produttori, fabbriche di aziende, creatori di nuove iniziative imprenditoriali sulla base di un processo sistematico (Szigeti, 2017). Il Corporate Venture Builder riflette il concetto di spin-off di imprese, per formare una nuova società che trasforma un’idea imprenditoriale sviluppata all’interno dei confini aziendali in un’impresa autonoma (Gutmann, 2018-2019). Si tratta di un modello ispirato al recente fenomeno degli Startup Studio.
I Corporate Venture Builder utilizzano e sfruttano le risorse dell’impresa, che le startup non hanno, quindi risorse economiche, asset industriali, competenze ed esperienze, network e mercati (Scheuplein & Kahn, 2017). Questo consente di migliorare la velocità ed efficienza nello scaling-up e anche di standardizzare i processi rispetto ad altre soluzioni di venturing in cui è meno forte l’ownership, come acceleratori o incubatori (Köhler & Baumann, 2016). Questi sforzi di venturing possono portare alla formazione di nuove unità che possono essere enti esterni, nuove aziende o startup, o nuove Business Unit dell’impresa.
Come funziona un Corporate Venture Builder
Il processo tipico di un CVB si articola in più fasi. Si parte dall’individuazione di opportunità di business coerenti con la visione strategica dell’azienda. Queste opportunità vengono esplorate attraverso un processo di validazione iterativa (design thinking, test di mercato, prototipazione rapida), fino a quando si arriva allo sviluppo di un Minimum Viable Product (MVP). Se il MVP dà segnali promettenti, il progetto evolve in una vera e propria startup, con team dedicati, una struttura societaria separata e una strategia di crescita autonoma, pur restando in una logica di sinergia con la casa madre. Spesso, il CVB gestisce contemporaneamente più progetti, applicando metodi lean e strumenti propri dell’ecosistema startup, ma con il vantaggio delle risorse e della rete aziendale preesistente.
I dati più recenti: un trend in crescita
Secondo un’analisi pubblicata nel 2024 da Duodeka, il numero di venture builder attivi a livello globale ha superato quota 800, con oltre 427 strutture fondate negli ultimi sei anni, segno di una crescita costante e accelerata del modello negli ecosistemi di innovazione di tutto il mondo.
A trainare il fenomeno sono soprattutto le grandi corporation dei settori tecnologico, finanziario e farmaceutico, ma anche aziende dell’industria manifatturiera e dell’energia stanno sperimentando il modello.
Secondo un’indagine condotta da McKinsey nel 2024 su oltre 1.100 dirigenti d’azienda, quasi due terzi dei CEO considerano il venture building una priorità strategica per l’anno successivo. Una tendenza confermata anche dal Mack Institute della Wharton School, che rileva come più del 20% delle aziende Global 500 abbia già avviato iniziative di creazione di startup interne, mantenendole strettamente connesse alla casa madre.
La spinta è alimentata dalla necessità di reagire più velocemente ai cambiamenti di mercato, dalla ricerca di nuovi canali di crescita e dall’evoluzione delle tecnologie emergenti, come l’AI generativa, che richiedono ambienti di sperimentazione rapidi e flessibili.
Il Corporate Venture Builder nel mondo
A livello globale, gli Stati Uniti rappresentano ancora il mercato più maturo per il corporate venture building. Grandi multinazionali come Google, Meta, Amazon e Johnson & Johnson hanno da tempo istituito divisioni interne dedicate alla creazione di startup.
Anche in Asia il modello è in forte crescita: Samsung Next e Tencent Exploration sono esempi emblematici di CVB asiatici che combinano capitale, tecnologie e visione a lungo termine.
In Medio Oriente, gli Emirati Arabi Uniti stanno spingendo su questo modello per diversificare le economie basate sul petrolio, investendo in innovation hub e startup interne ai grandi gruppi pubblici.
L’adozione in Europa: tra regolazione e strategia industriale
In Europa, il CVB si sta diffondendo più lentamente, ma con una traiettoria stabile. Paesi come Germania, Francia e Paesi Bassi stanno puntando su venture builder integrati nelle strategie di reindustrializzazione e sovranità tecnologica. Le grandi aziende europee vedono in questo modello un modo per valorizzare internamente la ricerca e sviluppo, spesso in collaborazione con università e centri di ricerca. Anche il contesto normativo, più attento alla protezione del lavoro e dei dati, influisce sull’adozione del modello, richiedendo CVB più strutturati e compliance-oriented. Bruxelles ha recentemente incluso il venture building tra i modelli da incentivare nelle strategie per l’innovazione digitale e green, come parte del programma Horizon Europe.
Cosa succede in Italia
In Italia il Corporate Venture Builder è ancora in fase di diffusione, ma si registrano segnali concreti di maturazione. Secondo una rilevazione risalente al 2023, in quel periodo si contavano più di 20 CVB attivi, spesso nati all’interno di grandi gruppi bancari, industriali o telco. Il modello sta attirando sempre più attenzione grazie al suo potenziale nel trasformare idee in business, soprattutto nei settori fintech, insurtech, sostenibilità e AI. Pur mancando un quadro normativo specifico, alcune policy regionali e nazionali stanno cominciando a sostenere lo sviluppo di modelli di innovation factory in ambito pubblico-privato. Le imprese italiane vedono nel CVB un ponte tra la rigidità dell’organizzazione tradizionale e l’agilità dell’ecosistema startup, utile per affrontare transizione digitale, crisi energetica e nuovi modelli di consumo.
Corporate Venture Builder, il caso Eniverse Ventures
Eniverse Ventures è la struttura di venture building creata da Eni con l’obiettivo di valorizzare tecnologie proprietarie e competenze interne, dando vita a nuove iniziative imprenditoriali che supportino la transizione energetica giusta. Questo approccio rappresenta una modalità innovativa di fare impresa: ogni progetto nasce da un’attenta analisi tecnologica e di mercato, mirata a selezionare le soluzioni con il maggior potenziale di sviluppo.
Eniverse nasce nel 2022 con l’obiettivo di intercettare e scalare a livello industriale le soluzioni tecnologiche, proprie o di terzi, a più alto potenziale e con un percorso di commercializzazione inferiore ai tre anni. A questo scopo ricerca partner tecnologici e industriali, per supportare la realizzazione di nuovi prodotti e servizi e partner finanziari e commerciali per lanciare e indirizzare le iniziative sul mercato, accelerando la loro crescita.
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