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dal caro bollette all’effetto domino del dollaro


Milano – I dazi imposti all’Unione europea dal presidente americano Donald Trump – e accettati dalla Commissione europea – sono da oggi realtà. Questo significa che su ogni merce che l’Italia venderà agli Stati Uniti dovrà pagare una tassa del 15%: questa tassa si chiama appunto “dazio” e serve a proteggere i prodotti americani dalla concorrenza europea, nonché ad aumentare le entrate fiscali del Governo statunitense. Per la Lombardia, che è la regione italiana che esporta di più oltre l’Atlantico, gli effetti saranno molto pesanti. Dietro i numeri si nasconde una storia che tocca da vicino imprese e consumatori: dalla cassa integrazione alle bollette più care. Ma andiamo con ordine.

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Nel 2024, il valore delle esportazioni lombarde verso gli Stati Uniti è stato di circa 13,7 miliardi di euro. I cinque settori manifatturieri più rappresentativi delle esportazioni lombarde verso gli Stati Uniti sono meccanica (21,1%), moda (15,0%), metalli (12,8%), farmaceutica (9,9%) e chimica (9,1%).

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Tutti beni prodotti dalle aziende coinvolte in questi settori costeranno di più oltreoceano, rendendoli meno competitivi. Le imprese dovranno scegliere tra ridurre i profitti, aumentare i prezzi oppure ridurre i propri costi interni (riducendo, ad esempio, manodopera). I dazi possono anche aumentare i costi dei materiali importati e complicare logistica e tempistiche, portando a rallentamenti o inefficienze.

Il problema è che la Lombardia ha puntato per altri sulla vendita di beni e servizi all’estero. La provincia di Milano guida le esportazioni con il 46,4% del totale regionale, ma a sorprendere sono le performance di crescita degli ultimi anni: Lodi ha registrato un balzo del 74% negli ultimi quattro anni, seguita da Monza Brianza con +46%.

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Confartigianato, preoccupati, da dazi a rischio 25mila imprese

La Lombardia esporta quasi 14 miliardi di merci ogni anno negli Stati Uniti, circa l’8% delle esportazioni totali

Secondo una stima elaborata dal sito specializzato ReportAziende.it su dati Istat ed Eurostat, l’export lombardo verso gli Stati Uniti nei comparti direttamente colpiti supera i 5 miliardi di euro l’anno. A rischio ci sono tra 30.000 e 35.000 posti di lavoro, concentrati in particolare nelle province di Milano, Brescia, Mantova e Bergamo, dove si trovano alcuni dei distretti più internazionalizzati del Paese. Il Centro Studi di Conflavoro, più ottimista, stima per la Lombardia 2,3 miliardi di euro di danno l’anno e oltre 7.000 posti di lavoro a rischio.

Una ricerca della Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa (Cna) prevede una contrazione del Prodotto interno lordo lombardo di -0,3% già nel 2025, destinata ad aggravarsi nel 2026 (-0,6%). “Negli ultimi quattro mesi dell’anno vedremo se aumenterà il ricorso alla cassa integrazione”, spiega Giovanni Bozzini, presidente di Cna Lombardia. “Sarà uno dei parametri su cui misureremo i danni prodotti dai dazi. A prescindere dagli aggiustamenti che verranno fatti siamo spaventati quanto è spaventata la Germania e quanto la Francia”.

Ma l’impatto non si ferma alle esportazioni. L’accordo tra Stati Uniti e Unione europea prevede l’acquisto di 750 miliardi di euro di gas naturale liquefatto americano fino al 2027. Il problema? Il gas statunitense costa di più a causa del trasporto via nave, dello stoccaggio e della rigassificazione.

Per le famiglie lombarde questo significa che in futuro si vedranno arrivare bollette più salate. Le imprese, già alle prese con costi energetici elevati, potrebbero scaricare questi aumenti sui prezzi dei prodotti, innescando un circolo vizioso che colpirà direttamente i consumatori.

Il rigassificatore di Ravenna ormeggiato accanto alla base di Punta Marina, con cui viene lavorato anche il gas statunitense

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Qui emerge un paradosso. Le aziende lombarde, vedendo ridursi le vendite negli Stati Uniti, potrebbero trovarsi con un surplus di prodotti. Due gli scenari possibili: aumentare i prezzi in Italia per compensare le perdite americane, oppure – scenario più probabile – ridurre i prezzi nel mercato interno per smaltire le giacenze.

I prodotti farmaceutici meritano un discorso a parte. Anche se colpiti dai dazi, difficilmente vedranno aumenti immediati in Italia grazie ai meccanismi regolatori del settore. Sul lungo periodo, però, le aziende potrebbero trasferire i maggiori costi sul Servizio sanitario nazionale.

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C’è poi un problema nascosto: il dollaro si è indebolito rispetto all’euro. Se prima un prodotto europeo da un euro costava un dollaro agli americani, ora ne costa 1,15. Questo ha già reso i prodotti lombardi più costosi oltre oceano, ancora prima dei dazi.

L’effetto si sentirà anche sul turismo: Confesercenti stima dagli Stati Uniti circa 300 mila arrivi in meno in Italia e un calo di 600 milioni della spesa turistica americana. Per una regione che nel 2024 ha accolto milioni di turisti americani, il conto potrebbe essere salato.

Le imprese lombarde stanno già correndo ai ripari. Molte hanno anticipato le spedizioni nei primi mesi del 2025, approfittando dell’effetto anticipo prima dell’entrata in vigore dei dazi.  La strategia di lungo periodo, però, deve essere diversa: diversificare i mercati. “È essenziale diversificare i mercati per promuovere ovunque il made in Italy delle nostre imprese”, sottolinea Roberto Capobianco di Conflavoro. Sul tavolo ci sono anche richieste di intervento: esenzioni settoriali per moda e agroalimentare, corridoi economici per proteggere gli esportatori, e l’utilizzo dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza per sostenere le aziende in difficoltà.

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