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La lezione ucraina che l’Occidente si ostina a non imparare


In Ucraina, ogni nuova arma nasce al confine orientale. Droni, software e sistemi d’arma difensivi trovano lungo la linea del fronte un primo laboratorio rudimentale. Prima che la Russia lanciasse la sua invasione su vasta scala, il 24 febbraio 2022, il complesso militare-industriale ucraino era altamente centralizzato, il governo gestiva quasi tutto, affiancato da pochi, grandi appaltatori della difesa. Oggi invece Kyjiv è uno dei principali hub per l’innovazione tecnologica del settore. Un picco di eccellenza per quanto riguarda droni aerei, navali e terrestri. Ma è solo il centro di una costellazione fatta di piccole startup distribuite in tutto il Paese, aziende che nascono mese dopo mese e danno un contributo allo sviluppo della tecnologia militare moderna.

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È un modello decentralizzato di produzione, test e distribuzione. Un cambiamento reso possibile anche e soprattutto grazie all’intuizione di creare una piattaforma dedicata alla filiera della difesa, Brave1, di cui avevamo parlato il mese scorso.

Ecco perché la linea del fronte funge da laboratorio per l’innovazione: porta ogni giorno alle imprese sul territorio una dimostrazione concreta di quanto sia necessario innovare, trovare nuove idee e nuovi strumenti. È una lezione importante, una lezione che dovrebbe fare suonare un campanello d’allarme per tutti: innovare i sistemi difensivi, evolversi e sganciarsi da metodi vecchi e ormai superati, non è una necessità solo dell’Ucraina, ma di tutta l’Europa e del mondo democratico. Solo che l’Occidente non sembra voler imparare.

Lo ha spiegato molto bene Deborah Fairlamb, investitrice americana residente a Kyjiv e co-fondatrice di Green Flag Ventures – un fondo specializzato in startup tecnologiche con applicazioni militari – in un’intervista alla rivista di settore The War Zone. Fairlamb osserva da vicino una realtà in rapida evoluzione, con tutte le trasformazioni quotidiane della guerra moderna. Secondo lei, gli Stati Uniti, la Nato e i loro alleati stanno mancando un’opportunità cruciale: si può imparare dall’Ucraina non solo in termini tattici, ma anche strategici, industriali e organizzativi. Lei nel frattempo prova a dare l’esempio. La sua Green Flag investe in aziende che sviluppano tecnologie anti-drone, di sicurezza e di comunicazione.

A differenza degli eserciti occidentali, dove il ciclo di approvvigionamento può richiedere anni, in Ucraina bastano tre o quattro mesi per mettere in campo una nuova tecnologia. Addirittura, molte unità ricevono budget propri per acquistare in autonomia da una lista di fornitori autorizzati. Un cambiamento radicale, impensabile in ambito Nato.

I risultati sono in bella vista. La produzione di droni Fpv (first person view) si è moltiplicata, sfruttando stampa 3D, materiali di facile reperibilità e canali di collaborazione diretta con l’esercito. I processi sono snelli, circolari – costruzione, test, adattamento, nuovo test. Una catena di montaggio su scala nazionale, guidata dalla necessità, non dalla burocrazia.

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La guerra elettronica è l’ambiente operativo dominante in Ucraina. La diffusione dei jammer per le interferenze ha reso sempre più facile mettere fuori gioco i classici droni dotati di Gps, perché le comunicazioni vengono interrotte di continuo. È così che gli sviluppatori ucraini hanno testato e prodotto in serie i droni con cavi di fibra ottica. E non solo. Grazie a software avanzati come Swarmer, sviluppato da una delle aziende sostenute da Green Flag Ventures, un solo operatore può controllare interi sciami coordinati di droni anche in ambienti privi di segnale. È un paradigma operativo che l’Occidente, bloccato in una visione ancora individuale dei droni, fatica ad adottare.

Uno degli aspetti più sconvolgenti riguarda la capacità di scala e adattamento industriale. Fairlamb spiega come i potenziali avversari dell’Occidente – Russia e Cina su tutti – siano in grado di convertire intere filiere civili alla produzione militare in tempi brevissimi. «Se domani il Cremlino ordina a una fabbrica di lavatrici di produrre droni Fpv, quella fabbrica lo fa», dice. Ed è quello che è accaduto, con il passaggio repentino a un’economia di guerra. È un modello autoritario e centralizzato, ma efficiente sul piano industriale.

Al contrario, le democrazie occidentali restano ingabbiate in processi lenti, vincolati da burocrazia, approvazioni legislative e cicli di budget annuali. Anche iniziative come il programma Replicator del Pentagono – nato per accelerare l’adozione di armi autonome, cioè sistemi dotati di intelligenza artificiale per prendere decisioni autonome su quando e come attaccare un bersaglio – finiscono per muoversi entro i confini del vecchio sistema. «Il problema non è la mancanza di talento o di intenzioni – dice Fairlamb – ma il fatto che si lavora ancora con strumenti vecchi».

L’industria della difesa storicamente è sinonimo di costi, quindi investimenti, molto onerosi. L’Ucraina è riuscita a migliorare anche l’equilibrio tra costi e benefici. I droni Fpv ucraini costano tra i cinquecento e i mille dollari, anche con accessori sofisticati come i visori notturni. I modelli ad ala fissa si aggirano sui diecimila, si arriva a trentamila dollari per quelli più sofisticati, grandi e performanti. L’equazione è semplice: costruire migliaia di droni efficaci a basso costo è oggi più utile che puntare su sistemi sofisticati da centinaia di migliaia di dollari l’uno.

In questo modo Kyjiv ha stravolto l’approccio classico occidentale, orientato verso grandi sistemi d’arma ultra-performanti, ma lenti da produrre e da schierare sul campo. In una guerra di saturazione e logoramento, la quantità almeno conta quanto la qualità. E l’Ucraina – come la Russia – lo ha capito.

I numeri aiutano a inquadrare tutto. Nel 2022, spiega Fairlamb a The War Zone, all’Ucraina servivano circa sei mesi, forse sette, per adattare o sostituire una tecnologia diventata inefficace. Nel 2023, cinque mesi. Oggi, nel 2025, si parla di cambiamenti ogni mese, un mese e mezzo al massimo. Tempi incompatibili con qualsiasi struttura militare occidentale esistente. «E non si tratta solo di software da aggiornare. Le modifiche coinvolgono hardware, tattiche, modelli di ingaggio. L’adattamento è continuo», dice Fairlamb.

L’innovazione ucraina non si ferma ai cieli. I droni terrestri stanno diventando fondamentali per operazioni di evacuazione feriti e trasporto logistico in zone contese. Un esempio è l’Ugv – Unmanned ground vehicle – Termit, prodotto da Tencore, che ha dimostrato grande efficacia anche in ambienti ostili, offrendo protezione contro droni e attacchi dall’alto. L’Ucraina ha rivoluzionato anche la guerra via mare, con droni navali come il Sea Baby. Anche se qui la Russia sta recuperando terreno rapidamente.

«La velocità con cui la tecnologia si sta evolvendo qui è terrificante. E l’Occidente semplicemente non si sta muovendo abbastanza in fretta», conclude Fairlamb, con un ammonimento. «Il fatto che l’Occidente non presti molta attenzione a ciò che sta accadendo qui è profondamente allarmante. La velocità con cui questa tecnologia si sta evolvendo, e il fatto che Stati Uniti, Europa e Nato siano tutti molto lenti è preoccupante». Perché la guerra del futuro non sarà fatta solo di jet stealth e portaerei, sarà condotta da sciami di droni, da sistemi dotati di intelligenza distribuita, alimentata da una produzione di massa a basso costo. Il tempo per adattarsi si sta esaurendo.

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