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«Vanno aboliti stage e tirocini»


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Negli ultimi anni, sempre più giovani lasciano il nord est dell’Italia, una delle aree economicamente più forti del paese, in cerca di migliori opportunità all’estero. Laureati o diplomati, conoscono bene le destinazioni e affrontano con sicurezza le rotte internazionali, spinti dalla necessità di costruirsi un futuro altrove. Secondo i dati della Fondazione Nord Est, nel solo Triveneto nell’ultimo anno, sono stati 11.491 i giovani tra i 18 e i 34 anni che si sono cancellati dalle anagrafi per trasferirsi all’estero, rispetto ai 2.864 del 2011. Anche se i rientri sono aumentati (oltre 2.000 ogni anno), tuttavia non riescono comunque a compensare le partenze.

Giovani in fuga da Verona

Il saldo resta quindi negativo: ogni anno più giovani lasciano il Nord Est di quanti vi facciano ritorno. La situazione a Verona è peraltro particolarmente preoccupante. Valeria Pernice e Patrizio Del Prete, della Segreteria nazionale del Partito Liberaldemocratico, insieme a Massimiliano Saladino, coordinatore provinciale del partito, hanno denunciato che «nel 2024 Verona ha toccato un nuovo record negativo: 1.206 giovani tra i 18 e i 34 anni si sono cancellati dall’anagrafe per trasferirsi all’estero. Un numero mai così alto, in netta crescita rispetto agli 865 del 2023 e ben oltre la media degli ultimi dieci anni, ferma tra i 600 e i 700».

Cause dell’esodo

Dal 2011, oltre 9.000 giovani veronesi avrebbero dunque lasciato il territorio, mentre solo 2.932 sarebbero rientrati: «Un saldo profondamente negativo, – proseguono gli esponenti del Partito Liberaldemocratico – che dovrebbe accendere l’allarme in tutte le sedi istituzionali. E invece, il silenzio è assordante. Tacciono il Comune di Verona e l’amministrazione provinciale, così come la Camera di Commercio e le associazioni imprenditoriali». Secondo i rappresentanti del partito, le motivazioni alla base dell’esodo giovanile sono ben note e confermate da numerose indagini, tra cui una recente della Fondazione Cariverona.

«Sono molteplici i fattori che spingono sempre di più i giovani a lasciare il territorio veronese, alcuni principalmente di livello nazionale, altri più locale. Ci sono i salari bassi, un mercato del lavoro locale che offre più occasioni per le basse qualifiche che per quelle più alte, una mancata valorizzazione della professionalità per migliorare la propria posizione. Le nostre proposte sulla contrattazione aziendale e sul welfare aziendale – spiegano Valeria Pernice e Patrizio Del Prete – sono una prima risposta a livello nazionale. Così come, sempre a livello nazionale, il Partito Liberaldemocratico sostiene da tempo la proposta di introdurre un credito d’imposta triennale per i giovani che decidono di rientrare in Italia dopo un’esperienza all’estero, a patto che investano nella creazione d’impresa o vengano assunti da aziende ad alto contenuto tecnologico. Un’idea semplice, che potrebbe essere adottata anche su scala locale, integrandola con incentivi comunali e strumenti territoriali».

Sempre secondo Pernice, Del Prete e Saladino, anche Verona potrebbe fare di più: «Tutte le indagini ci dicono che c’è un problema che riguarda la casa, i trasporti, la sanità, gli eventi culturali. In una parola, la qualità della vita sul nostro territorio, sulla quale le attese sono molto alte. Lo stesso sforzo di realizzare studentati per chi frequenta la nostra università può rivelarsi inefficace se poi, una volta laureati, i giovani se ne vanno». Secondo i rappresentanti del Partito Liberaldemocratico, «ciò che manca è una strategia strutturale di sviluppo. Verona – aggiungono Valeria Pernice e Patrizio Del Prete – non ha messo in campo alcuna politica che punti a costruire sinergie tra istituzioni locali, università, rappresentanze di categoria, ordini professionali e mondo imprenditoriale. Non esiste un tavolo permanente di confronto, né una cabina di regia per l’attrazione di nuovi capitali e nuove imprese. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: i giovani più preparati se ne vanno, e chi resta fatica a intravedere opportunità».

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Valdegamberi: «Serve un cambio di rotta netto e coraggioso»

Sul tema della cosiddetta “fuga dei cervelli” è intervenuto anche il consigliere regionale Stefano Valdegamberi, presentando una sua idea e aprendosi al confronto con il mondo dell’impresa e della formazione. Secondo Valdegamberi infatti troppe risorse verrebbero sprecate per «formazione inutile», mentre bisognerebbe «abolire definitivamente stage e tirocini extracurricolari nel Veneto» per introdurre un nuovo modello di inserimento lavorativo per i giovani, basato su «contratti veri, formazione interna retribuita e rimborso totale dei costi a carico della Regione».

Valdegamberi non ci gira intorno e spiega: «Troppi giovani neolaureati oggi vengono impiegati per mesi in aziende senza contratto e senza paga, sotto forma di stage o tirocini. In realtà è sfruttamento. Pochissimi entrano nell’organico dell’azienda. Serve un cambio di rotta netto e coraggioso», dichiara Valdegamberi. La proposta del consigliere regionale prevede che le imprese possano formare i giovani solo dopo averli assunti con un contratto di lavoro regolare. La formazione dovrebbe quindi svolgersi direttamente all’interno dell’azienda, su contenuti specifici e operativi: gestione e organizzazione del lavoro, uso di macchinari e tecnologie, sicurezza, sviluppo di lavori di ingegno e di concetto, mansioni aziendali concrete. Il piano formativo dovrebbe essere redatto dall’imprenditore stesso, in base alle esigenze reali dell’azienda, e svolgersi durante l’orario di lavoro, con piena retribuzione.

La Regione Veneto, secondo la proposta del consigliere Valdegamberi, attraverso il Fondo Sociale Europeo Plus (FSE+), si dovrebbe fare carico del rimborso integrale dei costi formativi, compresi tutoraggio, materiali didattici, certificazioni e, in parte, anche dei costi salariali sostenuti durante il periodo formativo. «Vogliamo evitare la fuga dei cervelli all’estero – sottolinea in conclusione Valdegamberi- e dare alle imprese venete la possibilità di crescere con giovani competenti, già formati sul campo, senza oneri aggiuntivi. È un patto equilibrato tra giovani, imprese e istituzioni».



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