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Cronache dai Palazzi – Futuro Europa


Il giorno dei dazi è arrivato. Le nuove tariffe americane differenziate – tra il 10% e il 50% – sono applicate dagli americani sui beni importati da ben 92 Paesi compresa l’Unione europea. Sulla gran parte dei prodotti europei verrà applicata una tariffa del 15%.

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Il 2 aprile 2025 l’amministrazione Trump ha lanciato il “Liberation Day”, la liberazione dell’economia americana da ciò che il presidente Donald Trump ha definito il giogo di un sistema commerciale globale “ingiusto”. Sono stati quattro mesi di ritorsioni, di contraccolpi, accordi difficili, trattative sofferte e dietrofront. La Casa Bianca ha rimodulato la politica tariffaria americana rimettendo in discussione le regole del commercio globale.

Oltre all’eventuale dazio pesante sui farmaci, l’intenzione di introdurre dazi fino al 100% su chip e semiconduttori appare la più temuta, “ma è una buona notizia per le aziende che li producono in America”, ribatte il presidente americano.

“I dazi al 15 per cento per l’Ue sono il miglior risultato che si poteva raggiungere, anche se non positivo”, ha affermato il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani. Non tutto è comunque definitivo, “i dazi non fanno bene a nessuno ma la trattativa tra gli Stati Uniti e l’Unione europea è solo all’inizio”, ha aggiunto Tajani.

I dazi entrano in vigore ma, per l’appunto, non c’è ancora un testo definitivo e condiviso, in seguito alla dichiarazione congiunta a proposito dell’accordo raggiunto in Scozia tra Unione europea e Stati Uniti. Fonti ufficiali riferiscono di negoziati “estenuanti”.

Acciaio e alluminio rimangono tassati al 50% nonostante la pressione dei tedeschi. Il settore dell’automotive dovrebbe rientrare nell’aliquota del15% ma per ora mantiene il 27,5%. Nello specifico, si stima che i dazi del 15% su vino e liquori europei potrebbero mandare in fumo 2 miliardi di export e negli Stati Uniti sarebbero a rischio 25 mila posti di lavoro.

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In definitiva il “patto di Turnberry” in Scozia tra la presidente Ursula von der Leyen e il presidente statunitense Donald Trump ha garantito delle condizioni ma non una situazione stabile e duratura, ne tantomeno favorevole ed equa. Tra gli impegni economici controversi vi è l’impegno dell’Ue di investire circa 600 miliardi di dollari negli Usa entro il 2029, che sarà anche l’ultimo anno dell’amministrazione Trump. In programma anche un incremento delle importazioni di energia americana in particolare gas naturale liquefatto (GNL). L’America è anche il primo fornitore di petrolio dell’Ue e un fornitore importante di combustibile nucleare e servizi complessi. Con il piano RePowerEu l’Unione europea mira ad accelerare la sostituzione totale di tutte le importazioni di energia dalla Russia.

Incertezze permangono sul piano degli investimenti. Dalla Casa Bianca sembra essere giunto addirittura l’avvertimento che se gli investimenti europei non copriranno l’impegno stabilito le tariffe saliranno dal 15% al 35% con inevitabili effetti collaterali su fatturati, occupazione e in generale sulla crescita del Vecchio Continente. L’accordo stipulato in Scozia rappresenta di certo una tregua ma deve essere ancora tutto definito nei minimi dettagli cercando di minimizzare i danni. Il 7agosto i dazi sono entrati in ogni modo in vigore e, nei prossimi anni, le dogane dovranno essere pronte ad eventuali e molto probabili cambiamenti delle aliquote in continuo movimento, sottoposte a continue riscritture politiche anche a causa degli eventi e dei conflitti che caratterizzano lo scenario geopolitico globale.

A proposito di dazi “la competenza è della Commissione europea che sta trattando, ma l’Italia farà del suo meglio per tutelare i suoi interessi nazionali” assicura la premier Giorgia Meloni intervistata dal Tg5. “Quello che dobbiamo fare è continuare ad aiutare, a stare al fianco delle nostre imprese e dei nostri produttori. Lo abbiamo fatto anche negli ultimi giorni, ad esempio, mettendo un altro miliardo di euro sulle filiere agroalimentari e approvando un importante pacchetto di semplificazioni che era quello che le nostre aziende chiedevano”, spiega Meloni.

In definitiva “miliardi di dollari in dazi stanno affluendo negli Stati Uniti d’America”, scrive Donald Trump sui social. Il segretario Scott Bessent ribadisce che per gli Usa le entrate generate dai dazi potranno raggiungere i 300 miliardi di dollari nel 2025 con la “possibilità che possano essere superiori” nel 2026. La guerra commerciale è appena iniziata e sono molti i Paesi coinvolti in tutto il mondo, non solo l’Unione europea ma anche India, America Latina, Giappone, Taiwan, fino alla Corea del Nord e addirittura la neutrale Svizzera tornata a mani vuote da Washington dove la presidente Karin Keller-Sutter è giunta per tentare di ridurre il suo dazio al 39%.

Trump ha tra l’altro annunciato ulteriori tariffe nei prossimi tempi, a partire dal 100% sui semiconduttori con esenzioni per le aziende che si impegnano a produrre negli Stati Uniti; in vista dazi pesanti sui farmaci e altri prodotti cardine. Una vera e propria strategia di guerra studiata a tavolino per capire come e quali pedine muovere e le azioni da mettere in pratica, non trascurando di monitorare e studiare le mosse dei diversi avversari disseminati sull’intero globo. In questo contesto si prevede una certa “tregua” con Pechino per altri 90 giorni, per poi raggiungere un accordo si auspica entro il mese di agosto. I continui cambiamenti generano incertezza che è diventata la caratteristica principale di un nuovo ordine economico mondiale con effetti inevitabili sugli investimenti, sui posti di lavoro e sull’inflazione.

In seguito all’accordo raggiunto a Turnberry il 27 luglio l’Unione europea si attende ora “passi avanti” dagli Usa. Il contenuto esatto dell’accordo risulta non essere noto. Circolano diverse interpretazioni e congetture. Il tetto dei dazi al 15% dovrà molto probabilmente essere applicato anche a diversi prodotti appartenenti ai settori più sensibili come i farmaci sui quali pesa la minaccia di un dazio del 250% entro un anno e mezzo. Per l’industria farmaceutica italiana, nello specifico, il mercato Usa vale oltre 10 miliardi e già un dazio del 15% sommato alla svalutazione del dollaro potrebbe generare costi per circa 2,5 miliardi. Per compensare il danno causato dai dazi le aziende farmaceutiche potrebbero inoltre essere costrette ad alzare i prezzi sul mercato statunitense penalizzando il sistema farmaceutico nel suo complesso.

Dal 7 agosto è entrata in scena una geografia commerciale decisamente nuova per ciò che si sta delineando e soprattutto per ciò che potrebbe accadere nei prossimi mesi. È una mappa in divenire in cui i dazi a carico dei prodotti europei hanno rischiato il 35% in assenza di nuovi investimenti negli Usa considerati una prerogativa: 600 miliardi di investimenti in generale fino al 2029 e 750 miliardi in acquisti di energia, 250 miliardi all’anno per il prossimo triennio.

Nel frattempo, nell’incertezza che caratterizza il negoziato con gli Stati Uniti sulle tariffe commerciali, il governo italiano mira a rafforzare gli strumenti a sostegno dell’export italiano a partire dalla Misura India: 500 milioni di euro a disposizione delle imprese attraverso prestiti agevolati con un fondo perduto del 20% per gli investimenti. In campo Sace e Simest controllata da Cassa depositi e prestiti. La società del Mef nei primi sette mesi di quest’anno ha già assicurato 9 miliardi di esportazioni, tanti quanti quelli dello scorso anno.

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La nostra diplomazia economica è impegnata anche nell’individuare nuovi mercati di sbocco per le nostre imprese. il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha, a tale proposito, messo a terra una Task Force sui dazi incontrando circa 70 associazioni del mondo produttivo e da pochi giorni è attivo il sito Internet Opportunitalia per favorire i contatti tra le nostre imprese e gli acquirenti esteri di 20 Paesi.

“Temo soprattutto l’ondata in Europa della sovraproduzione asiatica”, afferma il ministro delle Imprese e il Made in Italy Adolfo Urso riferendosi alla fetta di mercato tagliata fuori dal commercio statunitense. Urso come Tajani considera inoltre i dazi del 15% imposti alla Ue – inferiori a quelli imposti ad altri Paesi – addirittura una opportunità per le imprese italiane ed europee che potrebbero in questo modo conquistare nuove fette di mercato negli Usa ma anche guadagnare mercati finora poco noti che, in questo frangente, possono venire alla luce a causa del riassetto dei rapporti e dei confini commerciali provocato dalla guerra dei dazi di Donald Trump.

India, America Latina e Africa, a cui sono destinati due pacchetti Simest da 200 milioni di euro ciascuno, sono tra i mercati che fanno intravedere le possibilità più fiorenti, insieme a Emirati, Arabia Saudita, Turchia, Serbia, Giappone e Malesia. Ulteriori nuove missioni sono inoltre in programma in Asia, nei Paesi del Golfo e in Canada, in sostanza molti dei Paesi esclusi o messi sul filo del rasoio dall’attuale amministrazione di Washington che, a loro volta, intendono intraprendere e sviluppare nuove relazioni commerciali.

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