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Ex Ilva, si avvicina il giorno della verità: a Taranto sale la tensione in attesa del 12 agosto


A Taranto la tensione sale mentre il cronometro corre verso il 12 agosto, data cerchiata in rosso al Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Quel giorno, il ministro Adolfo Urso dovrà mettere sul tavolo l’Accordo di Programma per la decarbonizzazione dell’ex Ilva. Un appuntamento che molti, a Roma, definiscono «giorno della verità». Peccato che la verità, a queste latitudini, abbia più volti di Giano Bifronte. E il primo, ostinato, è quello del sindaco Piero Bitetti: «Non firmerò nessun accordo», ha scandito, cancellando pure la convocazione del consiglio comunale previsto per l’11 agosto. Una mossa che a Via Veneto hanno bollato come «irresponsabile», mentre i sindacati parlano di «condanna per 7mila lavoratori».

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Durissimo, anche il commento del senatore di Fratelli d’Italia Ignazio Zullo, che parla apertamente di «ennesima farsa istituzionale». «Prima – accusa Zullo – il sindaco ha ribadito per settimane che era imprescindibile il pronunciamento del Consiglio comunale, tanto da chiedere per due volte al Mimit il rinvio di ogni decisione, tenendo sotto scacco la trattativa sull’accordo di programma interistituzionale. Poi lo ha sconvocato, ritenendo sufficiente una generica dichiarazione dei suoi gruppi di maggioranza per rimandare al governo la proposta di piena decarbonizzazione di Taranto. Uno sfregio alle istituzioni, uno sfregio alla città, una scelta scellerata che mette a rischio il futuro dello stabilimento ionico e dei suoi lavoratori. Se il Consiglio era necessario prima, non può diventare un orpello adesso. Bitetti accolga al più presto le richieste del Gruppo consiliare FdI, che chiedono solo coerenza: la riconvocazione del Consiglio comunale monotematico sull’ex Ilva e quello stesso pronunciamento che lui stesso, fino a ieri, riteneva indispensabile».

Per i consiglieri regionali Massimiliano Di Cuia e Masssimiliano Stellato (FI), «c’è bisogno che il dibattito pubblico abbia una sua forma all’interno dell’istituzione comunale. Si tratta di una decisione che avrà effetti sul futuro non solo dello stabilimento, ma di tutta la città e noi ci auguriamo che possa essere il frutto della più ampia coesione politica. Forza Italia ha da sempre una posizione di responsabilità e un approccio costruttivo: perciò, anche e soprattutto su una questione così cruciale, il nostro contributo sarà finalizzato al perseguimento dell’esclusivo interesse della comunità. Non convocare il Consiglio comunale è una scelta – concludono i forzisti -, ma significherebbe anche perdere l’occasione di arrivare a Roma con una posizione condivisa da tutte le forze che rappresentano i cittadini di Taranto».

Dichiarazioni condivise dall’On. Vito De Palma, Segretario Provinciale di Forza Italia Taranto.

«Non possiamo arrivare a quell’appuntamento del 12 agosto senza una posizione chiara, ufficiale e condivisa dalla massima assise cittadina. È indispensabile che il confronto si svolga nelle sedi istituzionali e in modo trasparente»

Il 12 agosto, Urso seguirà un copione serrato: prima gli enti locali (Regione, Provincia, Comuni di Taranto e Statte, Autorità Portuale), poi i sindacati, infine imprese e indotto. I nodi? Molti, e duri da sciogliere: dal perimetro occupazionale all’ormeggio di una nave rigassificatrice nel porto jonico, indispensabile per alimentare gli impianti Dri destinati a rimpiazzare gli altoforni e produrre acciaio “green” in otto anni di transizione. Ma la nave, al momento, rischia di salpare altrove: a Gioia Tauro, per esempio, dove Urso è andato in «visita tecnica» il 4 agosto. Un comitato sta già studiando la fattibilità del piano B, gas incluso. Segno che il ministero non intende farsi bloccare da un «no» municipale.

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Il fronte imprenditoriale è più pragmatico. Casartigiani Taranto ribadisce che «non si può chiudere la fabbrica», pena un tracollo ambientale, sociale ed economico. Sì ai forni elettrici e alla tecnologia Dri, purché in otto anni al massimo. Sì alla nave rigassificatrice, ma solo come soluzione temporanea. E una lista della spesa lunga così: legge speciale per l’indotto, investimenti sul porto, detassazione per le pmi, alta velocità, aeroporto di Grottaglie, più università. «Niente repliche del passato – avvertono – servono poteri straordinari per garantire controlli».

Anche l’analisi di Giorgio Guacci, presidente di Upalap, è chirurgica: Taranto è a un bivio tra chi non vuole più «morti di inquinamento» e chi teme di morire di «non lavoro». La chiusura dell’acciaieria significherebbe 15mila posti persi, un PIL provinciale giù di 15 milioni al mese, due terzi della spesa evaporata, città ridotta a 135mila abitanti, il 40% di negozi chiusi, case svalutate. Eppure, anche il «sì» all’accordo così com’è ha un prezzo: più leucemie, più tumori spiega Guacci. La proposta? Un sì “migliore”, con tempi di trasformazione dimezzati (4 anni), abbandono rapido del carbone, uso temporaneo del gas e rigassificatore solo come ponte verso l’elettrico. In cambio, salvaguardia totale dei posti e un piano di sviluppo urbano che oggi suona quasi fantascientifico: turismo degno di Matera e Lecce, porto completato, aeroporto operativo, strade e ferrovie potenziate, termovalorizzatore per chiudere il ciclo dei rifiuti.

Nel frattempo, i consiglieri comunali Giampaolo Vietri, Tiziana Toscano e Luca Lazzaro (FdI) chiedono di rivedere la decisione della Conferenza dei capigruppo e convocare comunque il consiglio monotematico, viste le nuove pressioni di sindacati e imprese. Perché, tra cittadini che reclamano aria pulita e famiglie che difendono la busta paga, il dibattito resta acceso e frammentato. E forse è proprio qui il punto: Taranto non ha ancora una voce sola. Ma se quella voce non si troverà prima del 12 agosto, a parlare sarà qualcun altro. E allora la città rischia di restare spettatrice del proprio destino, stretta tra il fumo del passato e l’incertezza di un futuro che, per ora, non si capisce di che colore sarà.



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