Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

IRES premiale, ecco il decreto attuativo con le regole per fruire dell’incentivo


L’attesa è finita: con il decreto attuativo firmato l’8 agosto, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha reso operative le regole per accedere all’IRES premiale, l’interessante beneficio fiscale introdotto nel nostro ordinamento dalla Legge di Bilancio 2025 (legge 30 dicembre 2024, n. 207).

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La misura consiste in una riduzione temporanea dell’IRES, per il solo anno 2025, che porta l’aliquota dal 24% al 20%, con l’obiettivo di premiare le imprese che reinvestono gli utili in innovazione e nuove assunzioni. L’impianto generale della norma poggia su un triplice requisito: accantonare almeno l’80% degli utili 2024, investire una quota di queste risorse in tecnologie 4.0 e 5.0, e assumere nuovo personale a tempo indeterminato.

Il decreto ministeriale definisce i dettagli della misura, fornendo alle aziende, soprattutto a quelle manifatturiere, le regole precise per poter usufruire dell’agevolazione e traducendo i principi in definizioni, calcoli e perimetri applicativi.

La ratio della misura: un patto tra fisco e impresa

Il principio di fondo della cosiddetta “IRES premiale” è quello di un patto virtuoso tra lo Stato, che offre uno sconto fiscale significativo, e le imprese, a cui viene però richiesto un comportamento virtuoso basato su tre pilastri fondamentali. Il primo è il rafforzamento patrimoniale, che si concretizza nella scelta di non distribuire ai soci una quota preponderante degli utili. Il secondo è l’investimento di una parte consistente di queste riserve in beni strumentali ad alto contenuto tecnologico, con un richiamo esplicito ai paradigmi della Transizione 4.0 e 5.0. Il terzo pilastro è il sostegno all’occupazione attraverso la richiesta di creare nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato.

Il decreto attuativo traduce questi principi in regole applicative, stabilendo con chiarezza cosa si intende per utile accantonato, quali investimenti sono ammissibili e come si misurano gli incrementi occupazionali.

I confini dell’agevolazione: chi può accedere e chi resta escluso

Uno dei contributi più significativi del decreto è la definizione puntuale della platea dei soggetti interessati, che va oltre il generico riferimento alle società di capitali.

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Platea dei beneficiari

L’agevolazione si rivolge alle società per azioni, alle società a responsabilità limitata, alle cooperative e alle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti. Sono inclusi anche gli enti pubblici e privati che svolgono in via esclusiva o principale attività commerciale.

Una precisazione importante riguarda gli enti non commerciali, i quali possono beneficiare della riduzione d’imposta limitatamente al reddito d’impresa derivante dall’attività commerciale, che deve essere gestita con contabilità separata.

La relazione illustrativa (in calce all’articolo trovate i documenti) chiarisce inoltre che le imprese aderenti al concordato preventivo biennale non sono escluse e possono applicare l’aliquota ridotta sul reddito concordato, non essendo questo assimilabile a un regime forfettario.

Le esclusioni operative

Altrettanto netta è la linea di demarcazione per i soggetti esclusi. Non possono accedere al beneficio le società che nel 2025 si trovano in stato di liquidazione ordinaria o sono assoggettate a procedure concorsuali di natura liquidatoria.

La relazione illustrativa specifica però che sono ammesse le imprese coinvolte in procedure con finalità di risanamento, poiché la misura presuppone la piena operatività aziendale.

Sono escluse le società che determinano il reddito, anche solo parzialmente, con regimi forfettari, come la “Tonnage tax” per il settore marittimo, e le imprese che nel periodo d’imposta 2024 hanno applicato il regime di contabilità semplificata.

Accantonamento degli utili e investimenti qualificati

Il decreto entra nel dettaglio delle due condizioni portanti dell’agevolazione, fornendo definizioni e parametri che orienteranno le scelte strategiche delle imprese.

La definizione estensiva di “utile accantonato”

La prima condizione richiede di accantonare ad apposita riserva una quota non inferiore all’80% dell’utile realizzato nell’esercizio 2024. Il decreto fornisce un’interpretazione molto ampia e favorevole di questo requisito. Si considera infatti “accantonato” tutto l’utile destinato a finalità diverse dalla distribuzione ai soci. Ciò significa che rientrano nel calcolo non solo gli utili destinati a riserve di patrimonio netto (legale, statutaria o straordinaria), ma anche quelli utilizzati per la copertura di perdite di esercizi precedenti o semplicemente portati a nuovo. Di fatto, l’unica azione che preclude l’accesso al beneficio è la delibera di distribuzione ai soci di una quota superiore al 20% dell’utile 2024.

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Gli investimenti rilevanti: due percorsi per l’agevolazione

La seconda condizione è l’effettuazione di investimenti in beni strumentali nuovi, compresi quelli acquisiti in leasing. A questo proposito sis pecifica che per i beni acquisiti tramite leasing finanziario rileva il momento in cui il bene viene consegnato e che il contratto di leasing deve prevedere la facoltà di riscatto. Inoltre la cessione di un contratto di leasing durante il periodo di sorveglianza è assimilata all’estromissione dei beni dalla struttura produttiva, comportando la decadenza dal beneficio.

L’ammontare dell’investimento deve essere almeno pari al valore più alto tra il 30% dell’utile 2024 accantonato, il 24% dell’utile 2023 e un importo minimo di 20.000 euro. Gli investimenti devono essere realizzati a partire dal 1° gennaio 2025 ed entro il termine ordinario per la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta 2025. Per la maggior parte delle imprese, con esercizio coincidente con l’anno solare, questa scadenza è fissata al 31 ottobre 2026.

Il decreto, su questo punto, delinea due percorsi alternativi per le imprese. Il primo è quello di investire esclusivamente in beni materiali e immateriali previsti dagli allegati A e B della legge su Transizione 4.0. In questo caso, l’unico requisito tecnico richiesto è l’interconnessione dei beni al sistema di gestione della produzione, che deve essere mantenuta per più della metà del periodo di sorveglianza di cinque anni.

Il secondo percorso, più complesso ma orientato all’efficienza energetica, è quello di realizzare investimenti che rientrano nel perimetro del piano Transizione 5.0. Questi investimenti possono includere, oltre ai beni 4.0, anche sistemi per l’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili. Se si sceglie questa strada è necessario, in coerenza con quanto previsto da quell’incentivo, dimostrare una riduzione dei consumi energetici (almeno del 3% per la struttura produttiva o del 5% per i processi interessati).

Si noti che l’impresa non è obbligata a richiedere il credito d’imposta Transizione 5.0, ma deve comunque soddisfarne i requisiti tecnici di risparmio energetico per poter qualificare l’investimento come valido ai fini dell’IRES premiale.

Il requisito occupazionale: non solo mantenimento, ma crescita stabile

Il terzo pilastro della misura riguarda la base occupazionale. Anche qui il decreto fornisce le metriche di calcolo. Le imprese devono soddisfare due requisiti. Il primo è il mantenimento del livello occupazionale: il numero di Unità Lavorative Annue (ULA) alla fine del 2025 non deve essere inferiore alla media del triennio precedente. Il secondo è un incremento dei contratti a tempo indeterminato, che deve essere pari ad almeno l’1% del numero medio di dipendenti stabili del 2024 e comunque non inferiore a un lavoratore.

Il decreto chiarisce inoltre un aspetto relativo alla Cassa Integrazione Guadagni: il ricorso alla CIG ordinaria per “situazioni temporanee di mercato” preclude l’accesso al beneficio, mentre è consentito l’utilizzo per eventi transitori e non imputabili all’impresa, come le intemperie stagionali.

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Clausole di salvaguardia e gestione delle perdite

Il decreto disciplina con attenzione anche le cause di decadenza e introduce una norma di favore per le imprese con perdite fiscali pregresse.

Le regole per non perdere il beneficio

L’agevolazione decade se la quota di utile vincolata viene distribuita prima della fine del secondo esercizio successivo al 2024. Lo stesso accade se i beni oggetto dell’investimento vengono ceduti, delocalizzati o destinati a finalità estranee all’impresa entro cinque anni. Su questo punto, il decreto introduce una presunzione rilevante: un bene si considera stabilmente localizzato all’estero se vi permane per più della metà di ciascun periodo d’imposta. Viene però confermata la possibilità di sostituire un bene agevolato con uno nuovo di caratteristiche tecnologiche analoghe o superiori, senza incorrere nella decadenza.

Una norma di favore per le imprese con perdite pregresse

Il decreto attuativo introduce un’ulteriore e significativa disposizione di favore, pensata per non penalizzare le imprese che, pur avendo i requisiti per l’IRES premiale, portano con sé perdite fiscali da esercizi precedenti. In deroga alle regole ordinarie (previste dall’articolo 84 del TUIR), che obbligano a compensare il reddito dell’anno con le perdite pregresse prima di calcolare l’imposta, il provvedimento concede alle aziende una facoltà di scelta. L’impresa può decidere di non utilizzare le perdite accumulate per abbattere la quota di reddito 2025 soggetta all’aliquota agevolata del 20%. In questo modo, può applicare pienamente il beneficio fiscale sull’intero reddito agevolabile e, al contempo, conservare le perdite pregresse per compensare futuri redditi che saranno tassati con l’aliquota ordinaria del 24%. Si tratta di una scelta strategica che permette di massimizzare il risparmio fiscale nel tempo, particolarmente vantaggiosa per le realtà industriali che, dopo anni di investimenti e possibili risultati negativi, si trovano ora in una fase di ripresa e redditività.

Infine il provvedimento dedica un’ampia sezione a disciplinare l’applicazione della misura in scenari complessi come il consolidato fiscale, la trasparenza e le operazioni di riorganizzazione aziendale, a testimonianza dello sforzo di creare un quadro normativo completo e funzionale.

Un esempio pratico: i numeri del beneficio

Il decreto disciplina con attenzione anche le cause di decadenza, per evitare che il beneficio venga vanificato da eventi successivi.

L’agevolazione decade se la quota di utile vincolata viene distribuita prima della fine del secondo esercizio successivo al 2024. Lo stesso accade se i beni oggetto dell’investimento vengono ceduti, delocalizzati o destinati a finalità estranee all’impresa entro cinque anni. Su questo punto, il decreto introduce una presunzione rilevante: un bene si considera stabilmente localizzato all’estero se vi permane per più della metà di ciascun periodo d’imposta. Viene però confermata la possibilità di sostituire un bene agevolato con uno nuovo di caratteristiche tecnologiche analoghe o superiori, senza incorrere nella decadenza.

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La gestione del cumulo con altri incentivi

Il decreto conferma la possibilità di cumulare l’IRES premiale con altre agevolazioni che insistono sui medesimi costi, come i crediti d’imposta per la Transizione 4.0 e 5.0. Tuttavia introduce una regola anti-abuso molto precisa. Il beneficio derivante dalla riduzione dell’aliquota, ovvero il risparmio d’imposta effettivo, non può superare il costo dell’investimento rimasto effettivamente a carico dell’impresa. In altre parole, si calcola il costo dell’investimento e da questo si sottraggono tutti gli altri contributi o crediti d’imposta ricevuti per quel bene. Il risultato è il “costo netto” per l’impresa. Il risparmio ottenuto grazie all’IRES al 20% non potrà essere superiore a questa cifra. Se, ad esempio, un’impresa ottiene un risparmio IRES di 40.000 euro ma il costo netto dell’investimento, dopo aver applicato il credito d’imposta 4.0, è di soli 25.000 euro, il beneficio dell’IRES premiale sarà limitato a 25.000 euro.

Infine il provvedimento dedica un’ampia sezione a disciplinare l’applicazione della misura in scenari complessi come il consolidato fiscale, la trasparenza e le operazioni di riorganizzazione aziendale, a testimonianza dello sforzo di creare un quadro normativo completo e funzionale.

Un esempio pratico: i numeri del beneficio

Per comprendere come funziona in pratica il meccanismo, si può considerare il caso di un’azienda manifatturiera che soddisfi i requisiti occupazionali e che presenti i seguenti dati: un utile nel 2024 di 500.000 euro, un utile nel 2023 di 400.000 euro e un reddito imponibile previsto per il 2025 di 1.000.000 di euro.

Per accedere all’agevolazione, l’impresa deve innanzitutto accantonare a riserva almeno l’80% dell’utile 2024, ovvero 400.000 euro.

Si deve poi calcolare l’importo minimo dell’investimento da effettuare, che è il maggiore tra tre valori: il 30% dell’utile accantonato (120.000 euro), il 24% dell’utile 2023 (96.000 euro) e la soglia minima di 20.000 euro. L’investimento minimo richiesto sarà quindi di 120.000 euro.

Se l’impresa rispetta queste condizioni, sul suo reddito imponibile 2025 di 1.000.000 di euro applicherà l’aliquota del 20% anziché del 24%. L’imposta dovuta sarà quindi di 200.000 euro, con un risparmio fiscale netto di 40.000 euro rispetto ai 240.000 euro che avrebbe versato con l’aliquota ordinaria.

I testi del decreto attuativo e della relazione illustrativa

decreto_ministeriale_ires_premiale_v_07082025_final_firmato_prot
relazione_illustrativa_v_07082025_prot



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