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Tra crypto e intelligenza artificiale, le molte insidie per la democrazia e la libertà travestite da innovazione




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Ultim’ora news 9 agosto ore 14


Mentre mercoledì 6 agosto è stato celebrato l’ottantesimo anniversario dello sgancio della prima bomba atomica su Hiroshima, è ora in avanzata costruzione la bomba atomica delle monete e quindi dell’economia mondiale. E i governi e le autorità mondiali dormono senza mostrare coscienza del disastro che è in preparazione.

C’è in Italia e in Europa un solo guardiano che è sveglio e instancabile nel lanciare drammatici allarmi ma, come spesso accade alle persone super intelligenti e super preparate, pochi detentori dei massimi poteri gli danno ascolto, pur essendo la sua analisi non solo profonda ma anche annunciatrici di possibili disastri per il mondo intero.

Uno straordinario guardiano

Questo straordinario guardiano è il professore emerito di economia e moneta nonché presidente fino al marzo del prossimo anno della Consob. È il professor Paolo Savona, che ha 88 anni ma ne dimostra 38 per lucidità ed energia e proprio il 6 agosto, manco a farlo apposta, ha pubblicato su questo giornale, con il titolo «Le criptovalute senza regole sono un attentato alla democrazia» un ennesimo allarme sui gravissimi pericoli che l’economia e la finanza mondiali stanno correndo.

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Ecco l’inizio dell’analisi: «Imperversano sulla stampa le dichiarazioni di operatori che, avendo guadagnato senza grande fatica creando e commerciando cryptocurrency, ne esaltano il futuro radioso. Ora che costoro sono andati al potere con i voti popolari (ovviamente il riferimento è al presidente a cui voi stessi pensate, ndr) la loro aggressività è cresciuta per esorcizzare il futuro oscuro del loro successo. Essi fingono di ignorare che già Immanuel Kant aveva avvertito che democrazia significa sostituire il dominio di pochi con quello di leggi decise dal popolo nei consessi che lui stesso elegge; poiché la legittimazione delle crypto è stata decisa dopo che gli eletti hanno guadagnato il potere senza avvertire gli elettori che l’avrebbero fatto, questa loro decisione non è in linea con i principi generali della democrazia, soprattutto per temi piuttosto importanti come chi ha diritto a battere moneta e contemporaneamente ha il dovere di proteggere i risparmi».

Un avvertimento da ascoltare

Il Professor Savona avverte che «degli effetti macroeconomici futuri delle crypto (per chiarezza: criptovaluta è una valuta digitale, basata sulla crittografia e più in particolare sulla tecnologia della blockchain) si conosce ben poco, al di là della certezza che scardinano l’architettura istituzionale creata con pazienza crisi dopo crisi, senza proporne un’altra, al di fuori della considerazione che è il mercato a volerlo, confondendo il mercato con la democrazia, un problema già chiarito da secoli.

Questo approccio è un vero salto nel buio per la società intera. I minatori di crypto le vendono a chi vede in essi occasione di facile guadagno, sostenendo che sono come l’oro, mentre sono registrazioni contabili su computer prive delle caratteristiche di rarità e di valore legale, che cercano di legittimare attraverso leggi o pseudo norme. Un particolare trascurato è che le crypto usate come moneta non hanno un debitore né una controparte in titoli di Stato e crediti alla produzione che le garantisca, come hanno le monete legali; le stablecoin (le crypto “stabili”) intendono colmare questa grave lacuna per mantenere il diritto dei privati di battere moneta, ottenendo la copertura legale, come previsto dal Genius Act americano e dal Micar europeo.

Fino a quando funzionerà il meccanismo

Se invece le crypto vengono usate come investimenti di risparmio, come in effetti avviene, acquisiscono un debitore intrecciandosi con le attività finanziarie tradizionali, mascherando così la loro vera natura anarchica, come accaduto per i crediti subprime mescolati con titoli prime, che hanno creato nel 2008 un’ennesima crisi sistemica della storia economica dell’umanità». Già con tutto quanto precede si comprende quale pericolo rappresentano le criptovalute. Ma c’è di più.

Secondo il Professor Savona, il meccanismo delle crypto funzionerà finché ci sarà qualcuno che, indotto dalla speranza di facili guadagni, le acquisterà, illuso che la loro liquidabilità sia garantita; ancora peggio se, per via della legittimazione decisa dagli organi della democrazia, si diffonde la giusta aspettativa che interverranno banche centrali o Tesori dello Stato, come storicamente accaduto. Ma la dimensione del fenomeno è tale, visto che riguarda a oggi importi di migliaia di miliardi di dollari in ben 12.282 crypto eterogenee, che non si può ragionevolmente ritenere che questa volta la crisi possa essere sedata.

Lo zucchero che indora la torta

La soluzione non poteva essere la proibizione di questa droga perché, spiega sempre il Professor Savona, le banche e gli intermediari finanziari si lamentano che viene loro impedito di guadagnare come i minatori, cioè i produttori delle stesse crypto e gli intermediari in crypto, e preferiscono ignorare le conseguenze che si determinano per i loro clienti, mostrando scarso senso etico di appartenenza a una società che dovrebbe proteggere (e in molti casi lo fa), e non danneggiare i cittadini.

Con un linguaggio ancora più esplicito, il Professor Savona non esita a sostenere: «Lo zucchero che indora la torta delle crypto è l’elogio dell’innovazione che accompagna ogni dichiarazione sul loro futuro radioso, bollando come conservatori (leggi «retrogradi») coloro che avanzano argomenti contrari su basi razionali. É palese che essi tentano di montare un movimento di opinione guidato da chi fa credere nell’esistenza di un campo dei miracoli di Pinocchio, nonostante vi siano motivi per ritenere che la mania delle crypto prima o dopo sfocerà in panico e darà vita a una grave crisi, che non colpirà solo i suoi possessori, ma anche chi ha risparmiato rinunciando a consumi immediati, nella speranza di poter contare su di essi quando ne avrà bisogno.I sistemi pensionistici pubblici e privati saranno le principali vittime».

Bitcoin? Un discorso a parte

Un discorso a parte, sostiene il Professor Savona, riguarda i bitcoin, che svolgono il ruolo del pifferaio di Hamelin nella poesia di Wolfang Goethe, il quale narra di un suonatore di piffero magico che, su incarico del borgomastro, suona per allontanare i ratti, durante la peste. Quando il borgomastro si rifiuta di pagare il pifferaio si vendica irridendo i bambini del borgo al suono del piffero e portandoli via con sé.

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I bitcoin sono stati ben costruiti da un pari oscuro Nakamoto, che ne ha limitato le quantità a 21 milioni di pezzi, dotandoli così della proprietà per cui piccole variazioni di domanda generano ampie oscillazioni di prezzo; la loro contabilità decentrata a catena (block-chain) consente di avere caratteristiche di oscurità totale dell’investimento, facendo gioire i possessori di denaro sporco o da occultare.

Tuttavia, anch’essi hanno limiti intrinseci, quando il nulla che rappresentano cesserà di essere considerato prezioso e attraente come un quadro di Picasso. Visto l’investimento in essi di cifre inspiegabili economicamente, cosa succederà quando finiranno di essere il centro naturale di gravità dell’equilibrio del mercato monetario e finanziario, come riconosciuto (arditamente è dire poco) dagli Stati Uniti? Stati Uniti che ne ha eletto alcuni a riserva ufficiale del dollaro in sostituzione dell’oro, dando avvio a un sistema monetario internazionale inedito del tipo crypto standard.

Un vulnus per la democrazia

Conclude il Professor Savona: «Chi è cosciente della deriva che ha preso la rotta della barca monetaria e finanziaria cade nel paradosso di considerarsi felice non se avesse ragione, ma torto, se le crypto avessero un futuro veramente radioso, come quello descritto dai riformisti innovatori. Tuttavia, la democrazia patirebbe comunque un vulnus perché legittimerebbe un’ennesima ingiustizia distributiva, attribuendo ai creatori, gestori e possessori di ricchezza elettronica, un potere di acquisto che rivaleggia e sminuisce la ricchezza creata dai produttori che creano valore aggiunto e di coloro che, rinunciando giorno dopo giorno a piccoli e grandi consumi, accumulano risparmi utili a imprese produttive e agli Stati. Riusciremo a frenare l’orda dell’homo insipiens?».

Straordinario Professor Savona, speriamo che nella casa in cui sei cresciuto, Bankitalia, là ti ascoltino e abbiano la forza di determinare, negli organismi internazionali a cui partecipano, una consapevolezza dei pericoli a cui portano le crypto per tutto il sistema economico e monetario. Anche se il pericolo vero è il coinvolgimento diretto in quei mercati di colui o coloro che comandano nei Paesi decisivi per il sistema economico, finanziario e monetario internazionale.

L’accordo tra Financial Times e Bezos

Il nostro confratello e partner per lo scambio dei contenuti, il numero uno mondiale dei giornali economici, The Wall Street Journal, ha reso noto nei giorni scorsi che il suo concorrente Financial Times ha concluso un accordo con Amazon per la cessione dei suoi contenuti ai fini dell’addestramento dell’AI generativa, che Jeff Bezos, reduce dal faraonico matrimonio di Venezia, sta organizzando.

L’accordo con Bezos, già proprietario del non più mitico e obiettivo The Washington Post, come fu con la proprietà di Katharine Graham, pagherà al Financial Times 20 milioni di dollari all’anno. Anche The Wall Street Journal ha fatto lo scorso anno un accordo del genere con OpenAI per ben 25 milioni di euro all’anno.

Noi abbiamo detto «no grazie»

Anche noi di Class Editori abbiamo ricevuto più di una richiesta dall’estero di cedere i diritti sul nostro quarantennale archivio di informazioni non solo finanziarie ed economiche anche di fashion e lifestyle, oltre che di educational, più le immagini dei nostri tre canali televisivi a cominciare da ClassCnbc per proseguire con UpTv (nelle metropolitane e negli aeroporti) e ClassTvModa. Ma abbiamo risposto «no grazie» nonostante l’offerta non arrivasse ovviamente ai livelli accordati a The Wall Street Journal ma fosse comunque di milioni.

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Abbiamo detto «no grazie» per i nostri principi di indipendenza, ma certo anche per il fatto che avevamo già quasi pronta, primi in Italia, la nostra MFGpt che da metà settembre sarà possibile avere in abbonamento da tutti coloro che lo desidereranno e anche in considerazione di una serie di problematiche profonde che sono state ben descritte in MF di mercoledì 6 agosto dall’ordinario di Regolazione dell’intelligenza artificiale all’Università Bocconi, il professor Oreste Pollicino. Sotto il titolo «Intelligenza artificiale tra regole e azione – Due modelli in cerca di legittimità», il giovane e bravissimo professor Pollicino (fra l’altro è uscito ora il suo libro Costituzionalismo digitale per i tipi di Libreria Cortina) ha descritto su questo giornale tutte le problematiche dell’evoluzione tecnologica in atto: «Nel campo della governance dell’intelligenza artificiale, la competizione geopolitica e normativa si gioca oggi non soltanto sul terreno dell’innovazione tecnologica ma su quello, ben più profondo, della legittimazione dei modelli giuridici, economici e culturali che la AI contribuisce a ridefinire».

L’analisi del professor Pollicino

L’analisi e la tesi del professor Pollicino chiarisce subito che con l’annuncio dell’AI action plan l’Amministrazione statunitense ha chiarito la propria visione strategica: una roadmap fondata su deregolamentazione selettiva, investimento infrastrutturale ed esportazione sistemica dello stock tecnologico americano. In altre parole (anche le mie parole) è quello americano un tentativo di colonizzazione tecnologica del mondo e, come spiega il professor Pollicino, si è di fronte a un programma di intelligenza artificiale come leva di potere industriale, diplomatico e normativo.

Un dispositivo attraverso cui gli Usa puntano a ricostruire il loro primato globale non solo nell’innovazione ma anche nella definizione delle regole del gioco. L’AI è trattata come uno spazio strategico da occupare, non come un rischio da contenere. E, affermazione ancora più profonda del professor Pollicino, il diritto in questa azione non precede l’azione politica ma ne segue i contorni. Per contro, scrive il professore, la Ue ha scelto un sentiero diverso, ancorato alla sua tradizione giuridica, quella di un diritto che anticipa i rischi ed erige argini ex-ante.

Cosa è davvero l’AI Act europeo

Così l’AI Act europeo non è solo una norma tecnica ma una dichiarazione politica. Una politica che inevitabilmente, aggiungo io, deve confrontarsi con il trumpismo dove non è assolutamente previsto che lo sviluppo tecnologico debba essere guidato da principi, quali precisa il professor Pollicino: tutela della dignità, centralità dell’uomo, non discriminazione algoritmica, accountability delle piattaforme.

E tutto ciò, come puntualizza con efficacia sempre il professor Pollicino, si confronta con il fatto che la linea europea dovrebbe contare su un’infrastruttura materiale fatta di semiconduttori, cloud, energia, tutti aspetti che attualmente la stessa Europa non presidia con sufficiente autonomia. E aggiunge: la regolazione, senza un’industria solida a sostenerla, rischia di creare standard giuridici senza trazione tecnologica. E scrive letteralmente: «Non si tratta di scegliere fra etica e crescita, fra diritti e concorrenza. La vera sfida è ibrida: saldare le garanzie alla potenza trasformativa della tecnologia». E si può aggiungere: salvando i principi della democrazia attraverso anche il rispetto dei diritti delle persone.

Qual è la vera domanda

Allo stesso tempo, aggiunge il professor Pollicino, l’azione americana non va sottovalutata ma nemmeno idealizzata. «Una deregolamentazione spinta, priva di accountability rischia di alimentare sfiducia pubblica, concentrazioni monopolistiche, opacità sistemiche».

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La domanda vera aggiunge il professore della Bocconi (università che in Italia con grande tempestività ha istituito la cattedra sulla regolazione dell’intelligenza artificiale) non è quale modello vincerà nel breve termine. Ma quale saprà reggere la prova del tempo e dell’equilibrio fra innovazione e democrazia, tra potere tecnologico e controllo costituzionale. «Se l’Europa vuole evitare che gli standard globali vengano scritti altrove, non basterà difendere la qualità delle sue regole», conclude il professor Pollicino, «Ma dovrà riconquistare la centralità della propria voce…».

Il nostro è un esempio da seguire

Per questo, mi permetto di concludere io, spero che ci siano molti media che decidono di seguire il nostro esempio: non solo per difendere la propria indipendenza, che, come mostrano gli esempi americani, è in pericolo per l’informazione, ma anche per comprendere che non passerà molto tempo e assisteremo a una forma di apprendimento e informazione totalmente diverso da quello attuale.

E allora, per salvare la democrazia, ci dovranno essere AI generative totalmente trasparenti e corrette non solo tecnicamente ma anche politicamente ed economicamente. Come del resto fu quando partirono i siti internet di informazione e con Class/Milano Finanza fummo anche allora i primi a provarci, con successo. Fino a capitalizzare in borsa più di un miliardo di euro. E allora l’Università Bocconi non era solo esempio ma era addirittura nostra azionista al 20%, grazie all’intuizione e alla genialità del professor Luigi Guatri, rettore e amministratore delegato. Grazie Bocconi. (riproduzione riservata)



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