Le botteghe, piccoli negozi dove si trova di tutto – dal pane al detersivo, dai formaggi alle batterie – sono presidi, luoghi d’incontro, spazi di vicinanza per chi vive nei paesi. Ma rischiano sempre più la chiusura: è difficile mantenere piccole economie quando il bacino d’utenza non supera le poche centinaia di abitanti. Eppure, ci sono storie di luoghi e comunità in cui si riconosce che un negozio dove trovare l’essenziale per il paese, può cambiare in modo significativo la vita di un luogo. Per raccontare di comunità e botteghe ho scelto tre luoghi, alle pendici delle montagne appenniniche, con storie e percorsi diversi, ma in qualche modo comuni.
Montemitro (Mundimitar), 508 metri d’altitudine, immersa tra boschi e uliveti nella valle del Trigno. Conta 270 anime e un patrimonio culturale unico: è uno degli ultimi paesi dove si parla ancora il na-našo, la lingua della minoranza etnica croato-molisana, arrivata nel XV secolo dopo che peste e terremoti avevano svuotato la zona. Un paese ai piedi dell’Appennino in cui la ruralità si fonde con la cultura balcanica: panchine poetiche e indicazioni bilingue, circoli culturali e iniziative per tenere viva la memoria collettiva.
Tufillo, 578 metri d’altitudine, sull’altro lato del Trigno, in Abruzzo. 327 abitanti e una recente storia di neopopolamento. È diventato uno dei centri nascosti di un nuovo attivismo rurale: chi arriva in cerca di una vita più lenta e autentica trova qui una comunità pronta ad accogliere, dove sicuramente mancano i servizi ma non mancano invece le opportunità per re-inventarsi. Un Sud interno, boscoso, arroccato, spesso invisibile sulle mappe, ma ricco di iniziative che stanno trasformando il paese e il territorio circostante.
San Leo si trova nella Romagna che si lega alle Marche e conta 2850 abitanti di cui solo 80 però vivono ancora nel borgo storico a 589 metri d’altitudine, dominato dalla celebre ed iconica Rocca di San Leo. Il turismo qui è fervido, ma si rischiava che restasse una gemma senz’anima. Così nel 2019 la comunità ha dato vita alla cooperativa di comunità Fermenti Leontine per “riportare il profumo del pane tra le vie del paese”.
Cosa hanno in comune questi tre paesi appenninici con storie così diverse? Negli ultimi 7 anni le comunità si sono mobilitate per evitare la chiusura della bottega di alimentari e la presenza di cooperative di comunità sta tracciato nuove strade possibili.
A Montemitro, la cooperativa di comunità Rika, nata nel 2018, ha preso in carico la bottega nel 2020, quando le precedenti proprietarie non riuscivano più a gestirla. Isolata, difficile da mandare avanti. L’amministrazione e la cooperativa hanno unito le forze, spostandola nello spazio comunitario assieme a bar, farmacia e altri servizi. Ne parlo con Maurizio, vicepresidente della cooperativa, che gestisce anche una fattoria didattica e porta ortaggi freschi in bottega. Il piccolo centro è pieno di vita: c’è chi entra per un caffè, il farmacista che esce con le medicine, la bottegaia che serve i clienti. Un microcosmo animato anche dalle attività culturali organizzate dai ragazzi del bar. Tutto si mescola alla volontà di tenere viva l’unicità dell’identità, cultura e lingua della discendenza croato-molisana.
A San Leo, la cooperativa di comunità Fermenti Leontine nello stesso anno ha riaperto il forno. Qualche anno dopo, le due proprietarie della bottega, prossime alla pensione, hanno deciso di non chiuderla ma di affidarla alla cooperativa. Oggi accompagnano Valentina, Samuele e Francesca, giovani bottegai del paese, per imparare il mestiere e supportarli. La bottega è diventata uno spazio per degustazioni, iniziative culturali e prodotti a filiera corta. Conoscere i prodotti significa anche scoprirne la storia, il territorio. Quest’anno ha compiuto il suo secondo anno di gestione collettiva. Passarci davanti, fermarsi al tavolino e guardare la vita che scorre nel paese, ignaro dei flussi turistici che pur ci sono, è sempre un piacere.
A Tufillo, questo passo è arrivato da poco. La bottega aveva chiuso e per assicurare la continuità del servizio agli abitanti del paese, la cooperativa di comunità L’Alveare ha deciso di prenderla in gestione. Prima di farlo, i soci si sono confrontati con chi aveva già intrapreso questo percorso, proprio a San Leo e a Montemitro. Un movimento d’incontro e scambio che è da sempre tipico dell’Appennino vagante, oggi riletto come supporto tra comunità che vogliono innovarsi e resistere. Qui la riapertura è stata possibile grazie a Francesca, che già lavorava nella bottega, e a Michele, arrivato un anno fa dal Veneto con la moglie Rossana per iniziare una nuova vita. Lo osservo mentre muove i primi passi: sistema la pasta, valuta prodotti, immagina innovazioni e liste di cose da proporre. Un percorso appena avviato, con la consapevolezza che non può reggersi da solo.
Una gestione di comunità, in tutti e tre i casi, che guarda con particolare attenzione al territorio, che si interroga su come includere nella bottega i prodotti come ortaggi coltivati localmente, salumi, formaggi ma anche pane, pasta o altri prodotti che vengono realizzati da aziende di prossimità e con un’etica condivisa di presidio economico, ambientale e territoriale. E quindi la bottega diventa un percorso e un progetto, parte di un meccanismo più ampio di gestione delle economie di paese che però spesso si tiene in piedi soltanto grazie al meccanismo della pluriattività delle imprese di comunità e che altrimenti, non potrebbero sopravvivere.
Questo perché avere una bottega in un paese dell’Appennino ha gli stessi identici costi sia del lavoro che di gestione di una bottega nel pieno di un centro urbano, con un bacino di utenza totalmente differente. Il problema non è neanche nel fatturato, ma proprio nel poter assicurare i posti di lavoro a chi decide di dare il proprio tempo a un servizio per la comunità. Qui non si può assicurare l’economia di scala della Gdo (grande distribuzione organizzata) e sia che si tratti di locali pubblici che privati c’è sempre un affitto da dover pagare, basso che sia. Si parla spesso di Piano Strategico Nazionale per le Aree Interne, di fondi pubblici che arrivano o meno, di imprese eroiche. Ma manca ancora un meccanismo concreto, economico e strutturato, che alleggerisca il carico sulle piccole imprese e sulle persone che si impegnano per garantire un diritto fondamentale: l’accesso ai beni essenziali per vivere nei paesi dell’Italia interna.
Ci sarebbero molte altre botteghe da raccontare: anche dove non ci sono cooperative, o attivazioni collettive, ci sono persone che tengono vivo un presidio, spesso con grandi sacrifici. Anche tra le cooperative in Appennino (e non solo) gli esempi sono diversi. Quello che ho voluto evidenziare con queste tre storie è la consapevolezza: la bottega non è solo economia e servizio. È presidio. È resistenza. È dire: “Non importa quante persone ci vivono, non lo chiedete più. Qui conta come si vive, la qualità del vivere, e che ci sia un modo per farlo”, come mi ha detto il sindaco di Montemitro, incontrato per caso al bar, con la fierezza e orgoglio di chi non si risparmia per la dignità del proprio paese.
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