«I fronti di fuoco sono estesi, le aree difficilmente accessibili e poi, come capita in questi giorni, il vento molto caldo e la presenza di conifere resinose diventano due formidabili acceleratori delle fiamme»
«Sono immagini brutte che speravo di non rivedere, invece…». Sergio Costa, vicepresidente della Camera dei deputati, già ministro per l’Ambiente e ancora prima comandante dei Carabinieri Forestali della Campania, nel 2017 si trovò a fronteggiare un disastroso incendio doloso che per una settimana devastò i fianchi del Vesuvio.
Cosa ricorda di quell’estate drammatica?
«Furono giorni terribili. C’erano vari fronti di fuoco. I maggiori erano concentrati a Torre Annunziata, Torre del Greco e nel Nolano. I piromani fecero scattare gli inneschi quasi contemporaneamente, prima partirono gli incendi nel Nolano e poi dopo un’ora il lato torrese».
Cosa accertarono le indagini?
«Arrestammo una persona, che viveva sul versante di Torre Annunziata e al telefono aveva ammesso di essere lui il piromane. La telefonata venne intercettata nell’ambito di un’altra inchiesta e avemmo conferma dei nostri sospetti».
Presidente, quale fu il movente e perché si continuano ad appiccare incendi sul Vesuvio?
«Sul lato nolano l’incendio fu quasi certamente opera di bracconieri della zona che volevano ripulire il terreno per costringere gli animali ad andare a concentrarsi in aree di caccia; sul lato torrese invece arrestammo si trattava di fare pulizia dei terreni e liberarli dalle erbacce».
Tutto sommato motivazioni molto meschine, ma nulla a che vedere ad esempio con la speculazione edilizia.
«Noi a volte siamo portati a cercare moventi di grande livello criminale come costruzioni edilizie, speculazioni varie ecc… Invece spesso ad appiccare incendi sono personaggi di bassa profilatura criminale, squallidi, provocano disastri per fini davvero miseri».
Ma perché è così difficile spegnere gli incendi una volta appiccati?
«Perché i fronti di fuoco sono estesi, le aree difficilmente accessibili e poi, come capita in questi giorni, il vento molto caldo e la presenza di conifere resinose diventano due formidabili acceleratori delle fiamme. La resina sospinta dal vento si trasforma in combustibile. È fondamentale, dopo lo spegnimento la bonifica per evitare pericolose riprese delle fiamme».
Ma non si fa troppo poco per la prevenzione?
«Quand’ero ministro per l’Ambiente nel 2019, feci approvare nel secondo decreto clima le Zea che prevedevano fiscalità di vantaggio per i parchi nazionali e utilizzo di fondi pubblici mirati a tutelare la biodiversità. In pratica abbiamo promosso l’installazione di telecamere di sorveglianza, di piste frangi-incendi di pulizia del sottobosco adeguata. Così, dopo il disastroso incendio del 2017 sul Vesuvio fino a pochi giorni fa non ve ne furono altri. Ma adesso tutte queste risorse sono state tagliate dall’attuale governo. Io non voglio fare polemica, ma è inutile disporre di leggi per tutelare i parchi nazionali o regionali se poi si tagliano i finanziamenti».
Forse costavano troppo per la collettività?
«Nemmeno un euro di soldi dei cittadini. Mi spiego: io utilizzavo i fondi europei previsti dall’Emission Trading System, cioè le tasse che devono pagare le grandi aziende inquinanti. Così facendo riuscimmo a sostenere la manutenzione e la sicurezza nei nostri parchi nazionali e regionali. Ora bisognerebbe rifinanziare quella legge e utilizzare quei fondi che, ripeto, arrivano dall’Europa. Non vedo davvero il motivo per cui il governo non abbia ancora proceduto in questa direzione, nell’interesse di tutti, spero non sia un fatto di impreparazione».
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