Nel 2024 le imprese venete non hanno incassato un miliardo dallo stato. È la Cgia di Mestre a rilevare che al netto degli importi sospesi e non liquidabili, l’anno scorso a livello nazionale la nostra pubblica amministrazione (pa) ha ricevuto dai propri fornitori privati 198 miliardi di euro di richieste di pagamento. Di questo importo, entro marzo 2025 sono stati liquidati 189,85 miliardi. Pertanto, nelle transazioni commerciali tra pubblico e privati, questi ultimi non hanno incassato ben 8,15 miliardi. Di questo ammanco, tra gli 800 milioni e un miliardo di euro sarebbero dovuti finire nelle casse delle imprese venete. In particolare di quelle che lavorano per committenti pubblici del Mezzogiorno.
A stimarlo è l’Ufficio studi della Cgia che ha estrapolato il dato nazionale dalla nota pubblicata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) lo scorso 1 luglio. È evidente che a destare preoccupazione anche tra gli imprenditori veneti non siano soltanto i dazi imposti dall’amministrazione Trump, ma anche quelli di natura interna presenti nel nostro Paese che rallentano l’economia e ostacolano lo sviluppo. Alcuni esempi? Quando, ad libitum, la pa decide di non onorare gli impegni contrattuali sottoscritti o di liquidare i fornitori con ritardi del tutto ingiustificati. E sebbene negli ultimi anni soprattutto in Veneto le aziende/enti pubblici della nostra regione abbiano ridotto notevolmente i tempi con cui saldano le fatture ricevute, facendolo con ampio anticipo rispetto ai limiti previsti dalla legge, questo malcostume, purtroppo, è ancora molto diffuso, soprattutto nel Mezzogiorno.
La conferma giunge anche dalla lettura delle statistiche che periodicamente pubblica l’Eurostat. Negli ultimi dati presentati ad aprile di quest’anno, l’Italia continua a essere maglia nera in Europa.
Se i mancati pagamenti sono ancora un grosso problema, quando paga, invece, adesso la pa lo fa con tempi molto più rapidi di un tempo. Nel 2024, per la prima volta dall’entrata in vigore della Direttiva UE contro i ritardi nei pagamenti avvenuta nel 2013, la media ponderata è scesa al di sotto dei 30 giorni.
Tuttavia, la Cgia segnala almeno due “anomalie” che ormai sono diventate un modus operandi a cui ricorrono sia le piccole società pubbliche e le amministrazioni comunali minori, in particolar modo del Sud, sia la nostra pa a livello centrale. Questo comportamento sta consentendo a tutte le amministrazioni che fanno ricorso a questi due “escamotage” di ottenere un Indice di tempestività dei pagamenti (itp) annuo anticipato dal segno meno e quindi rispettoso dei limiti previsti dalla legge.
Come ha sottolineato anche la Corte dei Conti in una delle sue ultime relazioni, nelle transazioni commerciali la nostra pa sta adottando una prassi che definire “diabolica” è forse riduttivo; salda le fatture di importo maggiore entro i termini di legge, mantenendo così l’itp entro i limiti previsti dalla norma, ma ritarda il saldo di quelle con importi minori, penalizzando, così, le imprese fornitrici di prestazioni di beni e servizi con volumi bassi; cioè le piccole imprese.
Da qualche tempo molti dirigenti pubblici, anche di società collegate alle regioni e agli enti locali, decidono unilateralmente quando i fornitori devono emettere la fattura. Se questi ultimi non si “attengono” a questa disposizione, lavorare in futuro per questo ente/società pubblica sarà molto difficile. Dando l’autorizzazione all’emissione della fattura solo quando l’amministrazione dispone dei soldi per liquidarla, queste realtà pubbliche riescono a “rispettare” i tempi di pagamento, “aggirando” così le disposizioni previste dalla legge.
Per risolvere questa annosa questione che sta mettendo a dura prova tantissime Pmi, per la Cgia c’è solo una cosa da fare: prevedere per legge la compensazione secca, diretta e universale tra i crediti certi liquidi ed esigibili maturati da una impresa nei confronti della pa e i debiti fiscali e contributivi che la stessa deve onorare all’erario. Grazie a questo automatismo risolveremmo un problema che ci trasciniamo da decenni che continua a minare la tenuta finanziaria di moltissime piccole e medie imprese.
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