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prima la salute dei tarantini 


La richiesta al ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, di un incontro ristretto a norma dell’articolo 34 del Tuel, il Testo unico degli enti locali, il sindaco di Taranto, Piero Bitetti, la formalizzerà nella giornata di oggi, lunedì 11 agosto, alla vigilia dell’incontro del 12 agosto a Roma sull’accordo di programma interistituzionale per l’ex Ilva.

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Incontro, quello del 12, che il ministro Urso è tornato a confermare con la novità che, subito dopo il vertice con gli enti locali, dal quale dovrebbe scaturire, e qui il condizionale è sempre più d’obbligo visto il continuo evolversi della situazione, la firma sul documento, il responsabile del Mimit incontrerà i sindacati (Fim, Fiom, Uilm, Usb e UglM) e a seguire ancora le associazioni rappresentative delle imprese dell’indotto.
Ma cosa prevede l’articolo 34 del Tuel? Disciplina gli accordi di programma tra enti locali e altre amministrazioni pubbliche e stabilisce che il presidente della Regione, il presidente della Provincia o il sindaco, in base alla competenza primaria o prevalente sull’opera o sugli interventi, possono promuovere la conclusione di un accordo di programma per coordinare azioni e determinare tempi, modalità, finanziamenti e altri adempimenti relativi alla realizzazione di opere, interventi o programmi di intervento che richiedono la collaborazione di più enti.
Nel frattempo, il sindaco Bitetti è intervenuto con fermezza un po’ per respingere al mittente le critiche piovute recentemente sul suo capo, un po’ per spiegare il perché del suo “no” alla firma dell’accordo di programma.
«La priorità è proteggere la salute dei tarantini, diritto costituzionale incomprimibile». E, ancora, «Essere in disaccordo con il governo non equivale a disconoscerne i poteri» e  «l’Ilva non si chiude solo perché il Comune di Taranto non ha firmato l’accordo di programma». E, soprattutto, le decisioni fin qui assunte rispondono «a un mandato preciso: cambiare la storia di Taranto eliminando le principali fonti inquinanti e creando nuove opportunità di sviluppo». 
Di seguito il testo integrale della lettera aperta. 
«Sono il sindaco di una importante città e come tale so bene di essere esposto a critiche, facili ironie e un certo sarcasmo elargito a piene mani anche da chi, attaccando i rappresentanti istituzionali, spera di ottenere visibilità. Fa parte del gioco, conosco le regole e le accetto. 
Il problema nasce quando si prova a forzare il significato e il senso di decisioni politiche chiare. Decisioni assunte sulla base di un mandato preciso ricevuto dagli elettori: cambiare la storia di Taranto eliminando nel più breve tempo possibile le principali fonti inquinanti dello stabilimento siderurgico e creando, nel contempo, nuove opportunità di sviluppo. Questo è ciò per cui abbiamo chiesto il consenso per amministrare, questo è ciò che faremo nel rispetto però del principio di realtà. Il cambiamento che vogliamo, infatti, richiede tempo perché la vicenda di cui ci stiamo occupando è maledettamente complessa. Qualcuno in passato ha provato a pretendere tutto e subito ma l’esito,purtroppo, lo conosciamo: emergenza inquinamento irrisolta, migliaia di lavoratori in preda al panico per un futuro sempre più incerto, nessuna prospettiva di rilancio economico. 
Questo per dire che se da un lato non mi sottraggo alle mie responsabilità, dall’altro va ricordato che io rispondo di ciò che è stato deciso a partire dal 17 giugno scorso, giorno del mio insediamento a capo dell’Amministrazione comunale di Taranto.E cosa abbiamo fatto? Abbiamo espresso parere negativo in merito all’Autorizzazione integrata ambientale, abbiamo raccolto le sollecitazioni degli attori sociali per fare sintesi degli interessi e delle sensibilità rappresentative della comunità ionica, non abbiamo firmato l’Accordo interistituzionale di programma perché lo abbiamo considerato non all’altezza delle nostre aspettative. 
E tuttavia – giova sottolinearlo – essere in disaccordo con il governo non equivale a disconoscerne la funzione e i poteri che esercita; e ancora: l’Ilva non si chiude solo perché il Comune di Taranto non ha firmato l’accordo di programma. Ecco perché ho chiesto un decreto per Taranto. Perché da soli – anche qui il richiamo è al principio di realtà – non ce la faremo a cambiare la nostra storia. Abbiamo bisogno del contributo di tutti: delle forze politiche, del Parlamento, del governo, degli stessi cittadini che, mobilitandosi, ci chiedono di avere coraggio nella interlocuzione con l’Esecutivo e lungimiranza nelle scelte che faremo. 
Le nostre richieste sono note: proteggere la salute dei cittadini che è un diritto costituzionale incomprimibile; tutelare l’ambiente, salvaguardare i posti di lavoro e prevedere, nel caso di possibili esuberi, alternative occupazionali credibili e cospicui investimenti in altri comparti produttivi. Il percorso di decarbonizzazione della fabbrica, da noi sostenuto e sul quale abbiamo presentato precisa proposta al governo, deve iniziare subito per consentire di chiudere l’area a caldo entro cinque anni. Qualsiasi ipotesi di accordo di programma non può prescindere da tutto questo. Non solo: il documento dovrà illustrare in modo dettagliato modalità, tempi e strumenti da attivare per raggiungere questi obiettivi. 
È solo su queste basi che può ripartire un confronto serio e costruttivo con il ministro Urso e tutto il governo».



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