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Spopolamento in Calabria, il governo abbandona i borghi


Così i documenti ufficiali annunciano l’addio dal 2021 al 2027 ai piani di sviluppo per oltre 4.000 comuni italiani. Stop a investimenti e servizi essenziali. Rischio desertificazione sociale e culturale, in particolare per Sud e Calabria

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Il nuovo Piano Strategico Nazionale per le Aree Interne 2021-2027 (Psnai) contiene parole destinate a far discutere. In un passaggio chiave, il documento afferma che vaste zone del Paese “non possono invertire la tendenza” allo spopolamento e alla perdita di servizi, e che quindi vanno “accompagnate nel loro declino” invece di tentare un recupero.

Si tratta di territori lontani dai grandi centri urbani, spesso montani o collinari, che da decenni soffrono l’abbandono, la chiusura di scuole e ospedali, il crollo dei collegamenti e la fuga dei giovani. Secondo la definizione ufficiale, le “aree interne” comprendono oltre 4.000 comuni italiani (più della metà del totale), distribuiti su circa il 60% del territorio nazionale e abitati da circa 13 milioni di persone.

Il testo approvato dal governo sancisce di fatto la fine delle politiche di rilancio per questi territori. “Queste aree non possono mantenere obiettivi di inversione del declino – si legge – e vanno accompagnate in un percorso di decadimento ordinato”. Tradotto: non più piani di sviluppo, ma gestione della riduzione di servizi; nessun intervento a favore della popolazione, niente per il rilancio delle attività economiche.

È un cambio radicale rispetto alle strategie precedenti, che almeno sulla carta puntavano a riportare investimenti nei borghi e nei paesi delle aree interne. L’argomento alla base della nuova linea del govermo è che la crisi demografica e produttiva in molte zone è ormai troppo avanzata: pochi abitanti, età media elevata, economie fragili e infrastrutture obsolete.

L’impatto di questa scelta potrebbe essere pesante. Senza più investimenti per scuole, sanità, trasporti e servizi di base, molti comuni rischiano di diventare luoghi “fantasma”, con abitazioni vuote e patrimoni storici e culturali in abbandono. Si accentuerebbe così la migrazione verso le città, lasciando intere aree del Paese prive di presidio sociale e territoriale.

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Le aree interne non sono solo una questione locale: rappresentano una parte significativa dell’identità e del paesaggio italiano, e svolgono funzioni cruciali anche per l’ambiente, l’agricoltura, la gestione delle risorse idriche e forestali. La loro desertificazione potrebbe avere effetti negativi sulla sicurezza idrogeologica e sulla coesione sociale.

Questa è la rinuncia dello Stato a garantire pari diritti e opportunità a tutti i cittadini, come previsto dalla Costituzione. Per il governo, invece, è un atto di realismo: le risorse sono limitate e vanno concentrate dove c’è maggiore possibilità di sviluppo.

Quel che è certo è che, con questo documento, il dibattito sul futuro delle aree interne entra in una nuova fase. Perché qui si è deciso di accelerare la scomparsa di intere comunità. Cioè abbandonarle al loro destino. Compresi gli abitanti, che nel frattempo saranno quasi tutti anziani e soli. E senza più servizi: farmacie, carburanti, poste, carabinieri. Nulla di nulla. Si tratta di centinaia di comuni in tutta Italia. Forse migliaia. Tantissimi sud e in Calabria. Tradotto in parole brutali: lo Stato ha deciso l’eutanasia dei nostri borghi, della loro storia, della cultura, delle loro tradizioni millenarie. Nel più totale silenzio dell’opinione pubblica, delle forze politiche, delle forze sociali. Noi con La C da mesi conduciamo una battaglia forte in difesa dei nostri paesi, chiediamo da tempo alla regione di dire una parola. Così pure ai partiti, così pure alle associazioni e a quanti rappresentano il paese.

Ma il silenzio è tombale.



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