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MEsi di duelli elettorali Le riforme congelate


Rassegniamoci: d’ora in poi non avremo che un duello prolungato dei partiti. In palio il controllo di ben sei regioni, al voto nel prossimo autunno (Alto Adige, Veneto, Toscana, Marche, Campania e Puglia) cui si è aggiunta in extremis anche la Calabria con le dimissioni anticipate del suo governatore Roberto Occhiuto. Ci sono ben 17 milioni di elettori da conquistare.

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C’è poco da sperare che il fine legislatura possa sfornare perciò qualcuno degli interventi di cui il Paese ha drammatica urgenza, senza i quali non ha speranza di tornare ad essere quella società vitale che è stata per i primi cinquant’anni della nostra Repubblica.

Il confronto politico è destinato purtroppo ad essere monopolizzato da una serie di prove elettorali. Se poi teniamo conto che, smaltito lo scontro delle regionali d’autunno, dopo poco più di un anno si terranno le elezioni politiche, ce n’è abbastanza perché ci rassegniamo ad assistere ad un tira e molla dei partiti, ossessionati dalla necessità di prepararsi al meglio per vincere la verifica elettorale di fine legislatura. Se di riforme si parlerà, sarà solo di quelle misurate sul bilancino della convenienza elettorale immediata.

La preminenza assoluta del calcolo elettorale emerge in maniera netta già dai criteri che stanno adottando i partiti nella scelta delle candidature e nella costruzione delle alleanze in vista delle imminenti regionali. A destra si è ancora nel pieno delle valutazioni, condotte al suon di sondaggi, sul candidato che abbia le migliori chances di riuscita. Di programmi nemmeno l’ombra. Scelta, questa, suggerita dalla paura di scontentare qualche settore dell’opinione pubblica e anche pedaggio pagato alle divergenze politiche esistenti tra i partner un po’ su tutto: dalle alleanze internazionali alla politica migratoria, dalla riforma del fisco alla politica industriale.

Spicca per il suo carattere di eccezionalità la scelta governativa adottata a ridosso del voto, a dir poco sospetta, di estendere alle Marche (unitamente all’Abruzzo per non far apparire troppo partigiana la scelta) della Zes (Zona economica speciale) la legge che assegna alla regione una serie di vantaggi economici

Pure sul versante opposto, la politica seguita pare di corto respiro. Sulla scelta delle candidature si assiste al balletto dei due partiti dominanti nello schieramento del campo largo (Pd e M5S), condotto al ritmo delle convenienze tattiche da strappare in vista del voto. Tutto ciò, con buona pace della coerenza con la linea politica seguita sino a fine legislatura e, in qualche caso, anche con i principi fino a ieri vantati. Giuseppe Conte, pur di ottenere la candidatura di Roberto Fico in Campania, diventa garantista nelle Marche, accettando come candidato il dem Matteo Ricci. In tempi passati, per aver ricevuto un avviso di garanzia, sarebbe finito nel girone dei dannati per scarsa moralità. Parimenti, per non creare problemi alla definizione del campo largo sia a Napoli che a Firenze, non suscita nemmeno imbarazzo al M5S la lotta allo spasimo condotta contro i due governatori regionali del Pd per tutta la legislatura.

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Detta legge il calcolo elettorale, fatti salvi i casi della Calabria e dell’Alto Adige, che fanno un po’ storia a sé, sarà determinante il risultato delle altre regioni al voto. Elly Schlein punta a fare l’en plein in cinque regioni su cinque, strappando in tal modo le Marche alla destra.

La sua leadership diventerebbe inattaccabile e parimenti si rafforzerebbe la sua ambizione di presentarsi alle politiche da candidata premier della coalizione. Per Giorgia Meloni sarebbe un cattivo presagio sul verdetto delle urne del 2027. Senza il consenso è vero che non si può fare politica, ma è altrettanto indubbio che solo con la ricerca del consenso non si può fare politica, almeno quella buona.

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