L’Italia investe in start-up israeliane nonostante le dichiarazioni ufficiali di condanna.
Nonostante le severe condanne espresse dal governo Meloni, l’Italia continua a coltivare rapporti commerciali con le aziende israeliane. Recenti notizie provenienti dai media israeliani rivelano che la Cassa Depositi e Prestiti (CDP), sotto il controllo del Ministero dell’Economia, ha in programma di investire decine di milioni di euro in start-up israeliane, con un focus specifico sul settore tecnologico.
Ma come si concilia questa decisione con le dichiarazioni politiche? È un paradosso che merita attenzione.
Investimenti di CDP nelle start-up israeliane
Secondo quanto riportato dal quotidiano israeliano Globe, la Cassa Depositi e Prestiti si appresta a destinare notevoli somme a start-up nel settore della tecnologia, puntando in particolare su intelligenza artificiale e calcolo quantistico. L’obiettivo? Trasferire l’attività di queste aziende in Italia per sviluppare l’industria tecnologica locale. Già in passato, la CDP ha partecipato a un significativo round di investimenti per la start-up Classiq, nota per la sua tecnologia innovativa nel campo del calcolo quantistico, co-fondata da un ex comandante dell’unità di intelligence 8200 delle Forze di Difesa Israeliane.
Questa operazione ha visto un investimento che ha superato i 110 milioni di euro, con la partecipazione di nomi noti come SoftBank. Alessandro Scortecci, responsabile degli investimenti di CDP, ha dichiarato: «CDP Venture Capital investe nei campioni tecnologici di domani». Una frase che mette in luce l’impegno dell’ente nel rendere l’economia italiana più competitiva a livello globale. Ma c’è da chiedersi: questo approccio non rischia di alimentare un settore che, secondo critiche internazionali, è legato anche alla violenza in Medio Oriente?
Il contesto delle start-up israeliane
Classiq, co-fondata nel 2020, ha visto un incremento esponenziale della clientela e dei ricavi. Questo non è un caso isolato; Israele è spesso definito il “Paese delle start-up” e le sue imprese tecnologiche stanno registrando un successo crescente. Tuttavia, critiche come quelle espresse dalla Relatrice speciale delle Nazioni Unite, Francesca Albanese, pongono l’accento su come queste aziende facciano parte di un sistema economico che, durante i conflitti, ha visto un aumento delle start-up nel settore della tecnologia militare.
Nel 2024, Israele ha registrato un aumento del 143% delle start-up di tecnologia militare, contribuendo a oltre il 64% delle esportazioni israeliane. Questo quadro complesso solleva interrogativi sull’etica di tali investimenti e sul ruolo dell’Italia in questo contesto. Anche se le affermazioni di condanna sono forti, le azioni parlano di un approccio pragmatico e opportunista, rischiando di minare la credibilità delle dichiarazioni ufficiali del governo.
La posizione del governo italiano
Secondo Globe, gli investimenti della CDP avvengono con il tacito consenso del governo Meloni. Questa situazione suggerisce una dissonanza tra le parole e le azioni, con le condanne che sembrano più una facciata rispetto a una reale volontà di rompere i legami economici con Israele. Le dichiarazioni forti, ma prive di azioni concrete, mettono in discussione la credibilità del governo italiano in merito ai diritti umani e alle politiche di investimento.
In un periodo in cui il mondo osserva con attenzione le dinamiche del conflitto israelo-palestinese, l’Italia si trova a un bivio: continuare a investire in un settore così controverso o rivedere le proprie strategie economiche in nome di una coerenza etica e politica. La strada da percorrere potrebbe rivelarsi difficile, ma è fondamentale che le decisioni siano guidate da una chiara visione dei valori e dei principi che l’Italia intende rappresentare sulla scena internazionale. Cosa sceglierà il nostro paese? È tempo di prendere una posizione chiara.
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