La nuova opera di Giuliano Noci si propone come atlante indispensabile per orientarsi nel disordine mondiale, individuare varchi di crescita e invitare l’Italia a un salto di qualità. Analisi, testimonianze e proposte percorrono il volume, sostenute da una convinzione semplice: anche nel caos si può restare protagonisti.
La bussola di Noci tra caos e opportunità
Al centro del libro, l’autore, professore di Ingegneria e prorettore del Polo Territoriale cinese del Politecnico di Milano, mette a frutto decenni trascorsi fra Cina, Russia e India. Dall’osservazione diretta di economie e culture così differenti nasce una prospettiva che rifugge il lamento e si concentra sul disegno dei nessi causa-effetto che regolano il nostro tempo. Egli parla di una «visione sistemica», ossia della capacità di collegare variabili politiche, tecnologiche e sociali, restituendo al lettore un quadro leggibile persino quando gli eventi paiono dominati da un’ansia di velocità fuori controllo.
Quella lente consente di dissipare la nebbia prodotta dall’accumularsi di crisi – dal 2008 al Covid-19 – e di trasformare lo smarrimento in metodo. L’obiettivo dichiarato di Noci è rendere accessibili dinamiche che all’apparenza richiederebbero lunghe ore di studio; per questo, alterna sintesi statistiche a colloqui con figure capaci di incarnare discipline diverse. Insieme alla scienziata Amalia Ercoli-Finzi, al sindacalista dell’innovazione Marco Bentivogli e alla giovane Paramjit Kaur, l’autore costruisce un racconto corale che parla di futuro, competenze e responsabilità collettiva.
Un pianeta multipolare in corsa e la fine delle facili certezze occidentali
Il mito di una pace perpetua seguita alla caduta del Muro si è infranto, spiega l’autore, sotto i colpi congiunti di conflitti regionali, scossoni finanziari e nuove epidemie. La promessa di una globalizzazione lineare, capace di distribuire prosperità senza chiedere contropartite, si è rivelata fragile quando la Cina ha accelerato, la Russia ha riconquistato spazio d’azione e l’Occidente ha visto nascere correnti protezioniste sempre più robuste. Da quel momento lo scenario non è più un grande mercato unificato, bensì un mosaico di poteri che competono su regole, valute e narrazioni.
La leadership statunitense, un tempo ritenuta garante di apertura e tutele democratiche, oggi appare attraversata da un nazionalismo economico che accomuna stagioni politiche diverse. Questo ripiegamento ha aperto un vuoto riempito da ciò che Noci definisce «forza nuda»: chi dispone di risorse energetiche, tecnologie strategiche o capacità militare detta le condizioni. Il quadro tracciato tempo fa da Samuel P. Huntington non viene presentato come profezia, ma come radiografia impietosa di fratture culturali che ridisegnano alleanze, sospingendo sud del mondo e Brics verso un sistema finanziario svincolato dal dollaro.
Risorse, clima e nuove disuguaglianze
La crisi ambientale viene descritta come il motore che accelera ogni altra tensione geopolitica: scioglimento dei ghiacci, desertificazione e carestie spingono masse di persone a migrare e governi a contendersi minerali indispensabili alla transizione energetica. L’Africa diventa teatro di contese su litio, cobalto e terre rare, mentre l’Occidente scopre di dipendere da catene di fornitura pilotate da Pechino. Ignorare questa interdipendenza significa condannarsi a politiche difensive, costose e poco lungimiranti, ammonisce Noci. La corsa a pannelli solari, batterie e microchip apre così un interrogativo decisivo: come proteggere il pianeta senza cadere in legami ancora più stringenti? Servono accordi capaci di garantire tracciabilità, lavoro dignitoso e riciclo, trasformando la sostenibilità da slogan a pratica verificabile.
Parallelamente, il libro fotografa un pianeta dove gli squilibri demografici minano la solidità delle economie mature. Europa e Giappone vedono ridursi la popolazione in età attiva, mentre Africa e Asia meridionale registrano crescite impetuose. L’autore sostiene che immigrazione gestita con criterio e incentivi alla natalità rappresentino strumenti complementari, non antagonisti. Senza un patto equo tra generazioni e culture, le pensioni diventeranno insostenibili e i territori perderanno attrattività – un lusso che l’Italia non può permettersi se intende rimanere nel gruppo delle nazioni guida.
Intelligenza artificiale: strumento, non giudice supremo
Nel capitolo dedicato alla tecnologia, Noci smonta l’idea di un’intelligenza artificiale onnisciente. L’algoritmo, osserva, non possiede consapevolezza: rielabora dati compilati dall’uomo e per questo rischia di amplificarne i pregiudizi. «È il nostro servo, non il nostro oracolo», sintetizza l’autore, invitando a concentrare gli sforzi su governance e criteri etici. La forza della macchina sta nella velocità con cui macina informazioni e libera l’essere umano da compiti ripetitivi, consentendogli di affrontare questioni creative e di ordine superiore. Ciò che davvero conta, spiega, è far dialogare sapere umanistico e competenze digitali, perché soltanto dalla loro convergenza potrà emergere quella ‘co-intelligenza’ capace di generare valore diffuso.
Dal punto di vista economico, la diffusione dell’AI promette di ridisegnare il mercato del lavoro: professioni codificate spariranno, altre nasceranno, e molti processi torneranno nei paesi avanzati grazie a un reshoring naturale che ridurrà la dipendenza da manodopera a basso costo. La pubblica amministrazione, nota l’autore, potrebbe trarne beneficio immediato colmando la carenza di personale. Il vero spartiacque non sarà più la busta paga, ma il livello di conoscenza; per questo l’Europa deve rinnovare la scuola, spostando l’accento dalla sola programmazione alla capacità di porre domande complesse.
Dalle contrapposizioni alla sintesi: sei nodi da sciogliere
Noci individua sei coppie di tensioni che, se non ricomposte, rischiano di paralizzare governi e imprese. La prima oppone globalizzazione e istanze identitarie: occorre un modello che integri catene del valore planetarie con la tutela di interessi locali. Segue il rapporto fra intelligenza umana e artificiale, da trasformare in alleanza sinergica. Terza frattura: giovani accusati di inesperienza contro anziani dati per superati; quello che serve è un patto intergenerazionale dove l’audacia si nutra dell’esperienza. Poi vi è il confine sempre più labile fra manifattura e Big Tech, quindi il duello ideologico tra autocrazie presunte efficienti e democrazie a volte macchinose, infine il confronto fra disciplina di bilancio e ricorso al debito come leva di sviluppo.
L’autore non offre ricette precotte, ma invita a cercare soluzioni di sintesi – non compromessi al ribasso – capaci di liberare energie oggi imprigionate in discussioni sterili. Nel suo schema, la politica economica deve favorire investimenti produttivi anziché bastare a se stessa; l’impresa deve smettere di considerare i dati come patrimonio esclusivo, aprendoli a clienti e istituzioni; la società civile deve abbandonare la logica dell’aut-o-o, scoprendo l’utilità del “e”. Solo così il disordine smetterà di somigliare a un labirinto impraticabile.
Italia, gioco aperto tra rischio e rilancio
L’analisi si fa particolarmente vivace quando il discorso tocca l’Italia. Per restare nei tavoli che contano, il Paese deve rinunciare alla tentazione di difendere ogni rendita e spostare risorse verso il capitale umano. L’autore chiede più fondi alle scuole e meno a capitoli pensionistici, un riassetto degli enti locali troppo frammentati e politiche d’attrattività che convincano giovani qualificati, italiani e stranieri, a mettere radici qui. Senza questo ricambio, dice, la Penisola rischia di invecchiare in solitudine. Una generazione digitale senza prospettive, avverte, finisce per cercare futuro altrove cancellando competenze sulle quali lo Stato aveva già investito.
Altro capitolo chiave riguarda la manifattura ad alto contenuto tecnologico. L’Italia, custode di filiere d’eccellenza, deve dotarsi di infrastrutture digitali e potenza di calcolo dedicate all’intelligenza artificiale applicata al Made in Italy. Significa finanziare centri di ricerca, attrarre capitale privato e formare tecnici specializzati. Ma c’è un ostacolo che Noci non minimizza: l’evasione fiscale in proporzioni ancora intollerabili, che sottrae risorse allo Stato e alimenta diffidenza. Senza una nuova alleanza di legalità, conclude, qualsiasi strategia industriale rischia d’impantanarsi. A ciò si aggiunge la necessità di coordinare incentivi nazionali con quelli europei per evitare sovrapposizioni e dispersioni, un compito che richiede visione di lungo periodo.
Pragmatismo ottimista: vivere l’instabilità, non subirla
Il volume si chiude con l’immagine di una «Grande Componenda», un accordo non scritto fra le principali potenze – Stati Uniti, Cina, Russia – per evitare che la corsa alla supremazia tecnologica sfoci in conflitto aperto. Non è un ritorno all’ordine, bensì un compromesso di mutua convenienza pensato per guadagnare tempo prezioso. Regolare l’intelligenza artificiale, definire spazi di sovranità e riconoscere aree di influenza limitate: sono queste, secondo Noci, le condizioni minime per scongiurare l’abisso. L’autore non cede però a visioni messianiche: la cooperazione, avverte, sarà intermittente e imperfetta, ma preferibile a una guerra senza vincitori.
Da questa consapevolezza scaturisce un invito all’azione rivolto in primis agli italiani: coltivare produttività, istruzione e apertura mentale per trasformare il caos in terreno di conquista. Il disordine non sparirà; a cambiare dovremo essere noi. Chi saprà accogliere la complessità come stimolo diventerà parte della soluzione, non del problema. E se la penisola saprà combinare la sua creatività con tecnologie di frontiera, conclude Noci, potrà tornare a recitare un ruolo centrale lungo le rotte del Mediterraneo e – domani – persino su quelle artiche.
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