Non di rado il presidente Donald Trump promette l’avvio di trivellazioni, riciclando lo slogan di una campagna apparsa per la prima volta nel 2008: «drill, baby, drill». Al tempo, il boom del petrolio e dello shale gas era appena iniziato, e le importazioni di petrolio degli Stati Uniti stavano raggiungendo un massimo storico, ma da allora la situazione è cambiata radicalmente.
Oggi gli Stati Uniti sono il maggiore produttore di petrolio e gas al mondo, e le aziende nutrono meno timori in termini di accesso alle risorse. La sfida principale è piuttosto quella di costruire infrastrutture in quantità sufficiente da soddisfare la crescente domanda interna di energia, sostenendo al contempo le esportazioni. Tanto i produttori di combustibili fossili quanto quelli di energia rinnovabile vogliono che Washington si metta a costruire, al grido di «build, baby, build». Gli Stati Uniti riusciranno a farcela?
Lo straordinario sviluppo degli ultimi anni
In barba agli ostacoli alla costruzione di infrastrutture energetiche, molto è stato fatto negli ultimi quindici anni. Col boom del petrolio e dello shale gas avviatosi verso la fine degli anni 2000, la produzione è aumentata vertiginosamente; alla fine del 2015 gli Stati Uniti hanno abolito il divieto sulle esportazioni di petrolio, in vigore da quarant’anni, e il Paese è rapidamente divenuto uno dei maggiori esportatori al mondo.
Nel 2024, gli Stati Uniti hanno esportato 4,2 milioni di barili di petrolio greggio al giorno (b/d) e 10,8 milioni di greggio, prodotti petroliferi e gas naturale liquido combinati – molto di più della Russia o dell’Arabia Saudita. Qualcosa di simile è avvenuto per il gas: pur non risultando tra i produttori di gas naturale liquefatto (GNL) all’inizio del 2016, entro il 2023 gli USA sono divenuti il più grande esportatore di GNL a livello globale.
Lo scorso anno, il Paese ha esportato 11,9 miliardi di piedi cubi al giorno (Bcf/d) – quantità notevolmente superiore a quella di Qatar e Australia – ed entro il 2030 potrebbe fornire circa il trenta per cento del GNL mondiale.
È grazie a uno straordinario sviluppo delle infrastrutture che si è reso possibile il boom delle esportazioni: il settore dei servizi statunitensi per i giacimenti petroliferi ha mobilitato materiali, competenze e capitali per costruire oleodotti, terminali di carico del greggio, impianti di liquefazione e molte altre parti della catena del valore.
Naturalmente, non sono mancate le sfide. Gran parte delle infrastrutture è stata costruita negli stati «rossi», che tendono ad accogliere con favore lo sviluppo dei combustibili fossili e dell’industria. La capacità di prelievo tramite condotto rimane problematica nel Nord-est e altrove. Le preoccupazioni relative all’impatto sul mercato, sul clima e sulle comunità locali associate alle esportazioni di GNL hanno portato l’ex presidente Joe Biden a «mettere in pausa» i permessi federali per la realizzazione di nuove strutture per l’esportazione. Ciononostante, gli Stati Uniti hanno costruito infrastrutture energetiche sufficienti a sostenere una svolta radicale nella produzione e nelle esportazioni di energia del Paese.
Più di recente, gli incentivi fiscali previsti dall’Inflation Reduction Act (IRA) e da altre normative federali hanno generato un enorme boom di investimenti nelle energie rinnovabili, nei combustibili a basse emissioni di carbonio e nei settori correlati. Solo nel 2024 sono stati investiti oltre duecentosettanta miliardi di dollari in «energia pulita, veicoli puliti, elettrificazione degli edifici e gestione del carbonio».
Tuttavia, sia le energie rinnovabili sia i combustibili fossili devono far fronte a limitazioni infrastrutturali. I sostenitori dell’«abbondanza di risorse» concordano sul fatto che gli Stati Uniti debbano rimuovere questi ostacoli se vogliono rimanere economicamente competitivi; senza una maggiore rapidità in fatto di permessi, costruzioni e messa in esercizio, gli Stati Uniti sono destinati a rimanere indietro rispetto alla Cina – che sta ora raccogliendo i frutti di un sforzo ventennale volto a sviluppare le capacità nei settori dell’energia pulita, dell’elettrificazione, della produzione di batterie e delle esportazioni di automobili.
Nell’ultimo anno, il dibattito sulle infrastrutture energetiche negli Stati Uniti ha cambiato faccia. La prospettiva di una domanda in forte crescita da parte di data center, intelligenza artificiale, produzione di semiconduttori e altre attività manifatturiere ha alimentato le preoccupazioni relative all’approvvigionamento energetico.
Dopo decenni di domanda di elettricità relativamente stagnante, le aziende di servizi pubblici di tutto il Paese prevedono un carico in forte crescita: la North American Electric Reliability Corporation prevede che, nel prossimo decennio, la domanda di picco invernale possa aumentare del diciotto per cento, mentre S&P Global stima che, tra il 2024 e il 2030, i nuovi data center statunitensi potrebbero generare una domanda di energia elettrica equivalente all’intero consumo della città di New York.
L’Agenzia Internazionale per l’Energia avverte che, entro il 2030, la domanda globale proveniente dai data center potrebbe raddoppiare, fino a un valore di novecentoquarantacinque terawattora. Se l’intelligenza artificiale diventasse più efficiente in termini energetici, tali proiezioni potrebbero rivelarsi ampiamente sovrastimate.
Vero è che la rapida crescita del settore ha richiamato l’attenzione di tutti. I decisori politici sono consapevoli che vi sono altri Paesi che intendono attrarre queste industrie strategicamente importanti e ritengono che gli Stati Uniti dovranno giocare la carta dell’abbondanza e dell’affidabilità dell’energia, se intendono mantenere un vantaggio competitivo.
Tuttavia, sarà difficile sviluppare le risorse necessarie per soddisfare queste previsioni di domanda e garantire così la stabilità della rete: sono in atto diverse tendenze che riguardano tanto il petrolio e il gas quanto le energie rinnovabili, e questo è sotto gli occhi di tutti.
Innanzitutto, servirà adoperarsi per disporre di vari tipi di energia. Le aziende tecnologiche (anche quelle con ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni) stanno perseguendo una strategia del tipo «tutte le opzioni incluse» per garantire forniture da energia rinnovabile, gas naturale, energia nucleare ed energia geotermica avanzata. Sarebbe buona cosa che i decisori politici prendano atto di questo approccio olistico alle fonti energetiche. Il gas naturale è una fonte essenziale e distribuibile, ma è importante anche la velocità con cui viene erogata l’energia.
A tal proposito, le energie rinnovabili presentano importanti vantaggi, soprattutto l’energia solare e l’accumulo tramite batterie. I sostenitori del solare contrappongono la rapidità e i bassi costi di diffusione dell’energia così ottenuta ai lunghi tempi di realizzazione delle turbine necessarie per la produzione di energia da gas naturale. La US Energy Information Administration (EIA) stima, per quest’anno, che l’energia solare e le batterie di accumulo rappresenteranno l’ottantuno per cento degli aumenti di capacità su scala industriale nel Paese.
In secondo luogo, potrebbero emergere delle tensioni tra il soddisfacimento della domanda interna e la promozione della crescita delle esportazioni – e la faccenda riguarda il gas naturale. Il gas è divenuto la principale fonte combustibile per la produzione di energia, nonostante gli Stati Uniti abbiano ampliato le esportazioni di GNL e di gas via gasdotto verso il Messico.
Quest’anno, la quantità di gas naturale fornita agli impianti di esportazione di GNL degli Stati Uniti ha superato i quindici miliardi di piedi cubi al giorno; le nuove strutture previste nei soli 2025 e 2026 contribuiranno con altri sei Bcf/d. La capacità di esportazione di GNL potrebbe quasi raddoppiare nell’arco di sei anni, considerando gli altri progetti in fase di realizzazione – e senza contare i molti altri in cantiere. Molte aziende ritengono che sarà la domanda di gas naturale a sbloccare l’offerta.
Tuttavia, nell’attuale contesto di turbolenza macroeconomica e di calo dei prezzi del petrolio, la produzione di gas associato (vale a dire gas naturale prodotto unitamente al petrolio in aree come il bacino del Permiano) sembra maggiormente a rischio.
È possibile che gli Stati Uniti reiterino un modello già visto in altri Paesi esportatori di GNL, come Egitto e Australia, che hanno incrementato la capacità di esportazione e, di conseguenza, hanno dovuto affrontare condizioni di mercato interno più rigide del previsto.
Chiaramente, gli Stati Uniti dispongono di una base di risorse enorme, ma riusciranno ad allocare un quarto della produzione di gas naturale alle esportazioni di GNL senza spingere verso l’alto i prezzi interni? Una è la variabile fondamentale e riguarda gli sviluppatori: riusciranno a costruire una maggiore capacità di condotte per collegare i bacini di produzione con i centri di domanda emergenti e con le strutture di esportazione?
Una terza sfida riguarda i permessi e le autorizzazioni. Negli Stati Uniti è difficile costruire infrastrutture energetiche su larga scala: spesso sono necessarie autorizzazioni federali, statali e locali, e i progetti possono essere bloccati o ritardati a più livelli.
I permessi e le autorizzazioni ambientali possono essere un aspetto incredibilmente spinoso, soprattutto quando si tratta di progetti interstatali e su terreni federali. I tribunali chiamano in causa sfide legali a più livelli, generando incertezze e sorprese anche per i progetti muniti di piene autorizzazioni.
Per quanto riguarda il sostegno della società alle infrastrutture energetiche, in particolare per i progetti che coinvolgono i combustibili fossili, il panorama varia notevolmente da regione a regione. Le aziende energetiche, e la politica in generale, riconoscono la necessità di procedere più rapidamente. La coda di interconnessione dei progetti che mirano a connettersi alla rete ha fatto risuonare dei campanelli d’allarme.
Lo scorso anno, la riforma dei permessi è stato un argomento scottante per i politici di Washington, e la proposta di legge avanzata in Senato alla ricerca di soluzioni sia per i combustibili fossili sia per le energie rinnovabili ha visto dei progressi prima di perdere slancio alla soglia delle elezioni del 2024.
Il presidente Donald Trump ha affrontato la questione emanando l’ordine esecutivo “Unleashing American Energy”, nel tentativo di accelerare il rilascio dei permessi e i controlli federali, ma finora sono ben pochi i risultati tangibili.
L’attuale ossessione di Washington nel voler vincere la battaglia per il predominio dell’intelligenza artificiale potrebbe fungere da stimolo per il progresso, sia in un imminente «disegno di legge di riconciliazione» che affronti le questioni energetiche e climatiche, sia (forse) in un futuro disegno di legge autonomo.
Nuova mentalità sullo sviluppo energetico
Pochi Paesi possono vantare un’abbondanza di risorse pari a quella degli Stati Uniti, che spaziano dalle riserve di petrolio e gas alle risorse eoliche e solari, fino all’energia nucleare e idroelettrica. Inoltre, il Paese vanta punti di forza unici nei settori della tecnologia, della ricerca e sviluppo, dell’imprenditorialità e dei mercati dei capitali stabili, che consentono lo sviluppo delle risorse.
Tuttavia, negli ultimi anni si è sviluppata la tendenza a politicizzare alcune fonti energetiche e a inibirne lo sviluppo: così come l’ex presidente Joe Biden ha emanato una moratoria sulla concessione di petrolio e gas su terreni pubblici durante i primi giorni in carica, il presidente Donald Trump ha dato uno stop ai leasing e alle autorizzazioni per l’energia eolica offshore.
Al momento di stesura dell’articolo, i repubblicani alla Camera dei Rappresentanti stanno cercando di ottenere cambiamenti drastici ai crediti d’imposta a sostegno dell’eolico, del solare e della produzione a basse emissioni di carbonio, che paralizzerebbero il boom degli investimenti post-IRA.
Al pari di tanti altri argomenti profondamente divisivi nel contesto statunitense, la questione dell’energia sta assumendo un determinato colore politico. Forse il duplice spettro della crescente domanda di energia e della crescente concorrenza della Cina porterà a guardare alle varie fonti energetiche – e ai relativi punti di forza, di debolezza e di complementarità – in modo più imparziale.
Gli Stati Uniti possiedono tutti gli strumenti per divenire una superpotenza energetica diversificata, anziché limitarsi a puntare sui combustibili fossili; per impiegare abbastanza energia da mantenere il vantaggio economico, però, i decisori politici dovranno sfruttare le risorse energetiche nella loro totalità.
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