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Cloud delle big tech, quali i rischi per i comuni italiani


Anche se la questione sembra stia passando progressivamente in secondo piano, secondo il principio del “se non se ne parla il problema non esiste”, è chiaro che il tema dei dati italiani migrati negli ultimi anni sui cloud statunitensi è reale. Infatti, l’essere andati in SAAS con il PNRR, ovvero sui datacenter dei fornitori, non salva i comuni dal risultato finale: i fornitori sono su Google Cloud, AWS, Azure o altri provider USA.

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La realtà nascosta dei cloud americani

Si dirà che “però siamo nella Region italiana o europea” ma questo non basta a salvare i nostri dati.

In fondo in un attimo “il biondo che fa impazzire il mondo” (e no, non è il crodino bensì Donald Trump) con il Cloud Act potrebbe chiedere ai Cloud Provider di dare una sbirciatina ai nostri dati per motivi di sicurezza nazionale Usa (non nostra).

Invece che spiegare i problemi tecnici associati a tale situazione, proviamo ad immaginare cosa potrebbe succedere domani mattina ai nostri 7900 Sindaci se dovessero svegliarsi con “il cloud che non va”.

Il possibile amaro risveglio di Castelmuro

Ore 6:40, Castelmuro

Era una mattina qualunque. Il caffè gorgogliava nella moka di Luigi Ferrari, sindaco di Castelmuro, un paese di ventimila anime nel cuore della Lombardia. L’orologio segnava le 6:42 quando il suo smartphone iniziò a vibrare senza sosta. All’inizio pensò fosse l’ennesimo gruppo WhatsApp dei Comuni del territorio con qualche notizia politica bomba. Ma no. I messaggi erano in tanto gruppi diversi, concitati, con parole come “emergenza”, “Trump”, “cloud” e una ripetuta: “immediato”.

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Con il cuore che cominciava a battere più forte del solito, Luigi accese la TV. I notiziari scorrevano già in edizione straordinaria: “Il presidente americano Donald Trump, tornato alla Casa Bianca dopo una clamorosa rimonta alle elezioni del 2024, ha firmato un ordine esecutivo che impone dazi del 50% su tutti i servizi cloud forniti dalle aziende statunitensi a clienti stranieri, in particolare europei. La misura è effettiva da subito ed in attesa dei pagamenti dei servizi per un allineamento della bilancia commerciale rallenteremo i servizi non ancora pagati alla nuova tariffa riducendo la banda disponibile di 10 volte.”

Il panico digitale dei sindaci

Luigi spalancò gli occhi. “Ma noi siamo sul fornitore locale, meno male … siamo al sicuro!” Ma ecco le sue certezze sbriciolarsi davanti ad una telefonata del suo tecnico ICT Mario, che preoccupatissimo gli disse: “Sindaco, tutto il nostro sistema documentale, i protocolli, le anagrafiche, PagoPA, MyPortal, anche la PEC sono tutte in cloud! E abbiamo le scadenze di fine mese!”

L’escalation dell’emergenza

Alle 7:15 il gruppo Telegram dei sindaci della provincia esplose: notifiche da Murate di Sopra, Castelgiallo, Mercate di sotto. Qualcuno scriveva che non riusciva più a inviare documenti. Un altro che il sistema dei pagamenti elettronici era andato in timeout. I servizi online erano lenti a volte irraggiungibili.

Alle 8:00 il Sindaco convocò d’urgenza il suo responsabile dei sistemi informativi, il già citato Mario. Mario, trent’anni e una passione viscerale per l’efficienza digitale, arrivò già pallido.

“È un disastro, sindaco. La console di gestione è quasi bloccata. Abbiamo servizi bloccati e altri che funzionano a singhiozzo. E non siamo i soli. Milano ha fermato i pagamenti online. La Regione non riesce a trasmettere i flussi sanitari. E il back-up in Europa è previsto tra sei mesi”.

La paralisi dei servizi pubblici

Luigi si passò una mano sulla fronte. Sei mesi? Non c’era tempo. Il bilancio del Comune, i dati catastali, la piattaforma welfare, i fascicoli scolastici: tutto era “nella nuvola” – americana.

Iniziò a ricevere chiamate da cittadini inferociti: “Non riesco a scaricare il certificato per l’ISEE”, “È impossibile accedere al fascicolo sanitario di mia madre”, “Ho un concorso pubblico e non riesco a fare l’iscrizione online!”. Non che tutto fosse appannaggio del comune, ma il cittadino se la prende con chi conosce in caso di blocchi dei sistemi della PA, di certo non chiama il Presidente della Regione.

La risposta dell’Europa e la necessità di un Cloud sovrano

Nel frattempo, Bruxelles si riuniva in seduta straordinaria. Ursula von der Leyen tuonava parole dure: “La dipendenza tecnologica europea ha raggiunto un livello insostenibile. È tempo di un Cloud sovrano.” Benvenuta direbbe qualcuno …

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Ma Luigi non aveva tempo per le strategie a lungo termine. Doveva reggere l’urto. Convocò un tavolo d’emergenza con i dirigenti e i tecnici delle società fornitrici. Serviva una soluzione tampone. Uno dei tecnici propose: “Potremmo spostare i servizi critici su un fornitore europeo, se troviamo qualcuno disponibile. Ma avremo bisogno di giorni, e fondi, molti fondi.”

Il declino digitale forzato

“E nel frattempo?”, chiese Luigi.

«Nel frattempo possiamo solo… spegnere ciò che non è essenziale.»

Così iniziarono i tagli digitali. Il portale dei tributi fu il primo a cadere. Poi l’area trasparenza. Gli open data. Il sistema di prenotazione per i servizi cimiteriali. Ogni disattivazione era una sconfitta morale, un passo indietro nella modernità.

La nuova dottrina Trump: America First, anche nel cloud

Nel pomeriggio, Trump parlò in conferenza stampa: “L’Europa ha sfruttato troppo a lungo la nostra tecnologia senza pagarne il giusto prezzo. L’America prima, anche nel cloud.”

Le borse europee tremarono. Le big tech Usa rimasero in silenzio. Nessuna voleva rischiare contratti federali. In Italia, il sottosegretario per l’Innovazione Digitale parlava di “shock di realtà” e invocava il Polo Strategico Nazionale (che era comunque su cloud USA per alcuni servizio). Ma era ormai troppo tardi.

Luigi, con le maniche rimboccate e l’espressione tesa, guardava il suo vecchio archivio cartaceo, in un seminterrato del Comune. Lo avevano quasi svuotato. Ora lo si rivalutava come “backup fisico”.

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“È paradossale, Mario”, disse con un sorriso amaro. “Pensavamo che il digitale fosse il nostro futuro. E lo è, solo che l’abbiamo dato in gestione ad altri invece di costruire una sovranità nostra di cui da buoni europei abbiamo parlato e normato per anni senza fare niente di concreto.”

L’amara consapevolezza

“Ci siamo fidati troppo della sola speranza», rispose il giovane, senza distogliere lo sguardo dallo schermo che caricava a fatica un documento PDF, come stesse usando un modem degli anni ‘90.

Intanto sulla Tv del Sindaco, appariva Donald Trump che diceva “It’s an amazing situation for american taxpayers, Europe must pay for services that the U.S. has provided at prices that were too low, allowing Europe to become too wealthy at the expense of American taxpayers We will have 10 million new jobs thanks to these tariffs on cloud services.”. – Traduzione “”È una situazione fantastica per i contribuenti americani. L’Europa deve pagare per servizi che gli Stati Uniti hanno fornito a prezzi troppo bassi, permettendo all’Europa di diventare troppo ricca alle spese dei contribuenti americani. Avremo 10 milioni di nuovi posti di lavoro grazie a questi dazi sui servizi cloud.”

“E pensi Sindaco” aggiunse Mario, “se facesse appello al Cloud Act potrebbe farsi dare tutti i nostri dati oltre a farceli pagare pure cari … Perché ormai li ha lui non noi!”

“Ma come, in barba al GDPR?” “E sì caro Sindaco”.

Luigi sprofondò nella sedia, aveva finalmente capito cosa voleva dire Sovranità Digitale (o cosa non voleva dire).

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Conclusioni

È palese che il racconto vuole essere volutamente estremo e a tratti canzonatorio, ma vuole anche far riflettere su quanto fatto in questi anni. Abbiamo continuato a parlare di dati come del “nuovo petrolio” e abbiamo trasferito i giacimenti su territorio Usa. Forse con i fondi del PNRR potevamo fare qualcosa di meglio e di più, ovvero portare in un cloud europeo o italiano i nostri dati, senza per forza portarli su cloud USA. O forse no, forse non potevamo farlo perché oggettivamente ormai nell’epoca dell’AI e del Digitale, siamo effettivamente “il vecchio mondo”.



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