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Ex Ilva, Taranto reindustrializza: addio alla monocoltura dell’acciaio


Una sfida coraggiosa per Taranto e l’ex-Ilva: decarbonizzazione, tutela dei lavoratori e un piano industriale che riscrive il futuro della città.

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Un’impresa dallo sguardo nuovo

In un clima segnato da tensioni e attese è stato siglato al Ministero delle Imprese un accordo epocale con amministrazioni locali e governo: mettere al centro salute, ambiente e lavoro, dando finalmente un’identità rinnovata all’area ex-Ilva di Taranto. Si tratta di un passo decisivo verso un orizzonte di decarbonizzazione e di respiro territoriale, capace di ridisegnare il futuro di un’area per troppo tempo ancorata alla sola produzione di acciaio.

Decarbonizzazione obbligatoria e tutela del lavoro

La nuova gara per l’acquirente di Acciaierie d’Italia incorpora due pilastri inderogabili: l’obbligo vincolante di decarbonizzazione e la salvaguardia dell’occupazione. Il ministro Adolfo Urso ha definito l’intesa come una svolta per “incoraggiare gli investitori”, ringraziando la coesione della “squadra Italia”. Parallelamente, il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano ha ricordato che i 18.000 lavoratori coinvolti devono essere valorizzati all’interno di “una ricostruzione economica e sociale” della città.

Reindustrializzazione e libertà di opzioni

Il nuovo asset prevede la nomina di un commissario ad hoc, incaricato di guidare la reindustrializzazione delle vaste aree libere dello stabilimento — ben 15 milioni di metri quadrati, il doppio della superficie dell’intera città di Taranto. Sarà avviato un bando per manifestazioni di interesse, aperto a nuovi investimenti produttivi anche non siderurgici, con l’obiettivo di valorizzare l’indotto locale.

Dri d’Italia: nuovi vertici per un rilancio strategico

L’intesa del 12 agosto ha segnato anche un cambio di rotta nella gestione di Dri d’Italia, controllata da Invitalia. Sono stati nominati ai vertici Cesare Pozzi come presidente e Ferruccio Ferranti come amministratore delegato, per dare nuovo impulso alla missione della società, nata per realizzare impianti di preridotto.

Tempi e nodo investitori: settembre è la data chiave

Il termine per la presentazione delle offerte vincolanti è fissato al 15 settembre 2025. Dopo quella scadenza, il governo valuterà se le proposte permettono la realizzazione del piano industriale, che prevede — tra le ipotesi — tre forni elettrici, impianti Dri e sistemi di cattura e stoccaggio della CO₂, anche in assenza della nave rigassificatrice contestata dal sindaco Bitetti.

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Una proposta alternativa, avanzata dal Comune e considerata da potenziali investitori come il gruppo indiano Jindal, prevede tre forni elettrici e un solo impianto Dri a Taranto, con la possibilità di realizzarne un altro a Gioia Tauro, in un quadro flessibile e negoziabile. Jindal potrebbe anche optare per l’acquisto dei soli impianti del Sud, separandoli da quelli del Nord: una scelta che resterebbe comunque subordinata alla proposta migliore sotto il profilo occupazionale e produttivo.

Critiche: l’accordo rinvia più che risolvere

Alcune voci critiche definiscono l’intesa una “farsa”, poiché molti nodi rimangono irrisolti e saranno rimandati a settembre: il destino del polo Dri, l’effettiva tutela del lavoro, i tempi concreti della transizione. Secondo queste posizioni, si poteva osare di più, ma per ora è stato scelto un rinvio sensato piuttosto che il nulla.

Nuove speranze

La trama di Taranto e dell’ex-Ilva si colora di nuove speranze: decarbonizzazione, tutela sociale e opportunità industriali. È una partenza vivace, seppur cauta, tra promesse e scadenze. Il commissario nominato, la nuova gestione di Dri d’Italia, un bando aperto e l’interesse di investitori internazionali — Jindal in primis — compongono un cocktail per ricostruire e non replicare. Ma settembre segnerà la prova del nove: allora si capirà se l’impulso sarà reale o solo una scintilla.



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