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Ilva, 2 miliardi per il rilancio. Arrivano gli aiuti per Taranto


Un tesoretto di almeno 2 miliardi di euro pubblici per rilanciare l’ex Ilva di Taranto. Continua la caccia di governo e commissari per trovare un privato che si prenda in carico il futuro delle acciaierie (comprese quelle di Genova, Novi Ligure e Racconigi) oggi sotto l’ombrello di Acciaierie di Italia (Adi). In attesa di capire quali e quante saranno le offerte – il termine nel bando di gara appena riaperto è il 15 settembre – gli stessi privati si stanno soffermando su un aspetto sfiorato dal ministro Adolfo Urso martedì scorso durante l’incontro fiume al Mimit per siglare l’intesa sulla decarbonizzazione a Taranto: le risorse di parte pubblica da mettere in campo.

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Nella sua versione più estesa e meno gradita agli enti locali pugliesi – tre forni elettrici, quattro siti per produrre preridotto di ferro (il Dri), la nave rigassificatrice o la centrale elettrica – il piano scritto dai commissari di Adi prevede una spesa complessiva da qui al 2033 che oscilla tra i 6 e gli 8 miliardi. In questa direzione sono arrivati segnali positivi da Urso. Il quale ha ricordato sempre 48 ore fa che sono già a disposizione 750 milioni in contratti di sviluppo che Invitalia garantirà a chi fa investimenti industriali a Taranto e un miliardo dalla Coesione per progettare, costruire e avviare il primo impianto di Dri.

Anche se non è ancora chiaro dove si produrrà il preridotto, indispensabile per la lavorazione dell’acciaio flessibile nei forni elettrici, sempre il ministro non avrebbe escluso uno stanziamento con ulteriori risorse della Coesione per altri siti del Dri. Il ministro poi ha confermato il massimo impegno sugli ammortizzatori sociali: per la Cigs ai dipendenti del gruppo nel 2024 la spesa avrebbe sfiorato i 200 milioni. Questo tema è dirimente perché anche sia quando si avvierà lo smantellamento degli altiforni sia quanto saranno in attività i soli forni elettrici, il sito tarantino vedrà una forte riduzione di lavorazioni, con conseguenti tagli al personale.

Per capire quale sarà la spesa necessaria al rilancio della galassia dell’ex Ilva, bisognerà attendere le offerte dei pretendenti. Non si escludono neppure proposte per singoli pezzi del gruppo (il “polo Nord” con Genova, Novi Ligure e Racconigi e quello Sud con la sola Taranto). Non a caso Urso ha rinviato a dopo il 15 settembre le discussioni sul Dri. Anche in base ai livelli di produzione sarà chiaro il fabbisogno energetico. Su questo fronte non c’è soltanto il tema della nave rigassificatrice per garantire i 5,1 miliardi di metano necessari a far funzionare assieme forni elettrici e Dri.

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Un’acciaieria come quella di Taranto è altamente energivora. In questa direzione il governo, nella revisione del Pnrr, avrebbe chiesto all’Europa di poter utilizzare parte dei quasi 400 milioni del Pnrr destinati all’utilizzo dell’idrogeno nelle imprese inquinanti per la decarbonizzazione dell’ex Ilva. Dietro le quinte, poi, si starebbe studiando un provvedimento ad hoc per ridurre i costi delle bollette alle “energivore” strategiche come potrebbe essere la stessa ex Ilva. Ma anche qui ci vuole il via libera della Ue.

Intanto a 24 ore dall’intesa sulla decarbonizzazione si chiarisce il ruolo del commissario per la reindustrializzazione delle aree lasciate libere dello stabilimento. Deve far «uscire Taranto dalla monocoltura dell’acciaio», fa sapere il governatore Michele Emiliano, a detta di qualcuno candidato a questo ruolo. Ma dal governo trapela la notizia che questa figura, da designare assieme agli enti locali, dovrebbe anche occuparsi – accelerandole – delle procedure autorizzative per la riconversione dell’acciaieria.


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