Per anni la Pubblica Amministrazione ha identificato il percorso di trasformazione digitale con la mera trasposizione delle pratiche cartacee in formati online. Partendo da processi nati nel secolo scorso, si è limitata a renderli “interattivi”, senza cambiarne davvero la loro logica. Ciò ha determinato, nella maggior parte dei casi, una “informatizzazione dell’incompiuto”, una sorta di back up dell’inefficienza, con il rischio di fare della digitalizzazione una forma d’arte conservativa. Il risultato, nella maggior parte dei casi, si è tradotto in un’amministrazione sicuramente più lucida, ma non più efficace.
Ora serve altro: una PA capace di ragionare sui dati, imparare dall’esperienza, anticipare problemi. In breve, una PA in grado di compiere quella che potremmo definire una transizione cognitiva. Grazie all’opportunità dei fondi del PNRR, l’Italia ha infatti una grande possibilità: costruire una nuova intelligenza pubblica. La differenza non è linguistica, ma culturale. È la distanza tra un modulo PDF e un sistema che apprende, prevede, agisce.
Oltre il digitale: verso una PA che intuisce
Il digitale tradizionale si limita a incrociare tabelle, verificare scostamenti, generare report. Un’amministrazione cognitiva, invece, riconosce schemi, segnali deboli, anomalie. Non si limita a registrare, interpreta.
Come nel caso del progetto pilota promosso dal Comune di Minturno, località turistica situata sul litorale del basso Lazio, in cui è stata avviata una reale transizione digitale, con un software intelligente in grado di censire l’intero patrimonio immobiliare – con l’analisi di dati territoriali, un server dedicato, crittografia e cybersecurity. Permettendo attività reali, operative, fino a quel momento completamente invisibili supportando le decisioni amministrative con previsioni.
Come nel caso del progetto pilota promosso dal Comune di Minturno, località turistica situata sul litorale del basso Lazio, in cui l’analisi di dati pubblici e privati – catasto, consumi, posizione, bollette – ha permesso a un algoritmo di individuare oltre 12.000 evasori totali: attività reali, operative, fino a quel momento completamente invisibili al sistema tributario. Non li ha trovati tramite segnalazioni, ma rilevando una dissonanza nel “rumore” dei dati. Un vero e proprio cambiamento di paradigma: dall’elaborazione alla comprensione. Un passaggio che trasforma la PA da registratore passivo a soggetto proattivo. Altra concreta applicazione della transizione cognitiva a cui sono chiamate le amministrazioni pubbliche è relativa ai permessi edilizi. Oggi l’ottenimento di un’autorizzazione può richiedere settimane di attesa, pareri incrociati, interpretazioni normative. In un contesto cognitivo, invece, l’intera pratica viene processata in tempo reale: l’IA confronta il progetto con un modello 3D della città, verifica i vincoli della soprintendenza, simula l’impatto urbanistico e propone una decisione automatica, firmata digitalmente e consegnata al cittadino. L’amministrazione, in questo caso, diventa davvero un facilitatore e non un ulteriore ostacolo.
Le città che osservano e i “gemelli cognitivi urbani”
Per costruire una “PA cognitiva” servono dati dinamici, raccolti in tempo reale e immediatamente disponibili. Le moderne città, per questo, si apprestano a diventare sempre più osservatori intelligenti: autobus, camion dei rifiuti, spazzatrici urbane si trasformano in sensori mobili, capaci di intercettare, elaborare e fornire dati preziosi per le amministrazioni pubbliche.
Ogni veicolo può diventare il nodo di una rete neurale urbana distribuita. Non è sorveglianza, ma consapevolezza. Una sinfonia percettiva al servizio del bene pubblico.
Ad esempio, gli autobus muniti di moderne tecnologie di rilevazione sono in grado di rilevare anomalie e irregolarità nell’asfalto, anche attraverso l’analisi dei segnali posturali di disagio prodotti dai passeggeri. Così come i camion della nettezza urbana, che analizzano i contenitori dei rifiuti, ottimizzano i tempi di raccolta e, nel caso di irregolarità nel conferimento, possono individuare immobili non censiti e comportamenti non a norma da parte dell’utenza. Oppure le spazzatrici, che possono leggere i numeri civici, valutare lo stato di un’aiuola e perfino rilevare lo stress idrico della piante.
Tutti questi dati alimentano un sistema centrale, che può essere definito come “il gemello cognitivo della città”. Non soltanto una copia digitale, ma un ambiente simulativo in grado di prevedere scenari e proporre soluzioni. Il gemello digitale e cognitivo urbano rappresenta uno strumento avanzato di prevenzione e gestione del rischio. Grazie all’integrazione tra previsioni meteorologiche, dati provenienti dai sensori installati nelle caditoie e modelli di simulazione idraulica, è in grado di attivare misure di contrasto in modo proattivo, ancor prima che si verifichino condizioni critiche. Si configura come un vero e proprio laboratorio predittivo, superando l’approccio reattivo basato sull’attesa passiva degli eventi.
Il futuro dei servizi pubblici passa dalle persone
La tecnologia è pronta. I sistemi predittivi, i gemelli digitali urbani, le piattaforme intelligenti sono oggi pienamente operativi e disponibili. Ma la vera sfida non è più tecnica: è culturale, organizzativa, umana. Ogni innovazione, per quanto promettente, incontra infatti una serie di resistenze. C’è chi difende il proprio foglio Excel come fosse un patrimonio personale, chi stampa i report generati dall’intelligenza artificiale per “poterli leggere meglio”. Non si tratta di aneddoti, ma di sintomi evidenti di un mismatch tra evoluzione tecnologica e maturità organizzativa.
La PA digitale evolve in questa nuova fase in una transizione cognitiva. Non basta introdurre nuovi software: serve un cambio di paradigma nelle competenze, nei processi decisionali, nei modelli di leadership. L’amministratore pubblico del futuro sarà sempre meno un gestore di procedure e sempre più un pilota cognitivo, capace di interpretare dati complessi, leggere pattern relazionali tra fenomeni, agire in anticipo, con consapevolezza e visione predittiva e affidarsi all’analisi, senza rinunciare alla responsabilità del discernimento.
La fiducia nei dati non può diventare una delega cieca, ma deve tradursi in capacità di governo informato, orientato all’impatto e al miglioramento continuo. Il dato non è più solo un residuo amministrativo, ma un asset strategico. E ogni scelta può e deve essere sostenuta da evidenze.
Abbiamo già visto i segnali concreti di questa evoluzione. Quando un veicolo urbano – ad esempio un mezzo per la raccolta rifiuti – smette di essere solo un oggetto operativo e inizia a produrre informazioni utili per ottimizzare i servizi, prevenire criticità, monitorare l’ambiente, siamo già entrati nella dimensione della PA proattiva e intelligente.
La domanda, oggi, è strategica: vogliamo continuare a gestire il passato, o desideriamo progettare una nuova generazione di servizi pubblici, capaci di anticipare bisogni, adattarsi ai contesti, generare fiducia? Il futuro non è un orizzonte astratto ma un processo in atto che avanza, silenzioso ma inarrestabile. E non aspetta nessuno.
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