“Una notizia importante per il territorio”. Sono le parole di Andrea Giagnorio, referente di Libera Bologna, sul sequestro preventivo del forno di San Pietro in Casale ‘gestito’ dal boss della ‘ndrangheta Francesco Ventrici, che è agli arresti domiciliari.
Giagnorio, questo cosa dimostra?
“Intanto, colpisce la resilienza di un personaggio noto da 20 anni alle cronache giudiziarie che, nonostante il carcere per anni e poi i domiciliari gestiva, secondo l’inchiesta, la panetteria. Ciò insegna che non bisogna abbassare la guardia, pensando che un’operazione di polizia possa risolvere il problema, è veramente difficile contrastare questi fenomeni. Ma insegna anche che l’attenzione va mantenuta alta in periferie e piccoli centri, dove spesso si concentrano gli interessi della criminalità organizzata ed è più facile agire senza dare nell’occhio”.
Un esempio?
“Basta pensare al caso dello Junior Club a Pianoro della famiglia Ragosta, che abbiamo raccontato nella nostra inchiesta, per cui c’è stata la condanna in primo grado e la confisca. Mai ritenere immuni i piccoli centri”.
Quanto sono strutturate le mafie nel nostro territorio?
“Molto. Infatti non parliamo mai di infiltrazioni, ma di radicamento mafioso. Le mafie sono ‘mappate’ da tanto in Emilia-Romagna, da quando iniziarono i soggiorni obbligati delle famiglie mafiose negli anni ‘60. Da allora, sono diventate parte della nostra realtà. E hanno messo in atto un inserimento perfetto sul territorio”.
Come?
“Con il riciclaggio di denaro del traffico di droga, e quindi con tantissima liquidità, mettono in piedi attività commerciali che danno poco nell’occhio e non destano allarme sociale, cercano di non fare rumore. E poi, si ‘insinuano’ quando c’è domanda di soldi da parte dell’imprenditoria: quando le banche non ne prestano più, al loro posto arrivano loro ed ecco che avviene l’inserimento ’silenzioso’ nel tessuto economico, con le aziende che passano di mano in modo poco chiaro. Prima sembrano aiutarti e invece poi ti strozzano, e qui compare anche la carica violenta e intimidatoria delle mafie. Un aspetto, questo, spesso tenuto sottotraccia, ma a volte ci sono inchieste che squarciano il velo e fanno vedere la violenza che c’è dietro”.
Ce ne sono state diverse.
“L’ultimo anno ha segnato una svolta dal punto di vista giudiziario: pensiamo a Omar Mohamed, con la pizzeria sequestrata al Dlf, ma anche a quella sotto le Due Torri di Gaetano Vitolo o a quella di via San Felice di Salvatore Marrazzo. O alla gelateria di via Marsala di Saverio Giampà. E poi Villa Celestina, confiscato in via definitiva a Giovanni Costa e di cui gestiamo il giardino, con attività sociali e culturali”.
Molti i sequestri e le confische.
“Sono fondamentali. È ciò che dà veramente fastidio ai mafiosi. Perché, se il carcere lo mettono anche in conto, altra cosa è quando si tocca il loro patrimonio”.
Sono tanti i beni sottratti alle mafie nel Bolognese?
“In provincia oltre 20, in città circa 15. Tra questi, c’è la villa di Ciro Cuomo in via Saffi, che ora il Comune prenderà in gestione. Sarebbe bello coinvolgere la cittadinanza, ragionare insieme su come utilizzarla”.
Vi arrivano molte segnalazioni dai cittadini?
“Sì, diverse ogni mese. Ma si dovrebbe parlare di più di questi temi, affinché ci sia più consapevolezza”.
Chiara Gabrielli
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