Se non sei al tavolo, sei sul menù. Questo adagio, spesso attribuito all’ex governatrice del Texas Ann Richards, ben si attaglia al faccia a faccia tra Donald Trump e Vladimir Putin in Alaska, dove venerdì i due leader discuteranno delle sorti del conflitto in Ucraina in assenza di alcuni tra i diretti interessati: il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e i partner europei. Ma c’è un caveat da tenere in considerazione in vista del summit: la guerra in Ucraina sarà certamente sul menù, ma sarà solo una delle portate principali. Il Cremlino, tramite le parole del portavoce Peskov, loda l’approccio “senza precedenti” adottato da Trump sulla questione ucraina, mentre il Tycoon si è detto insicuro rispetto alla possibilità che si raggiunga un cessate il fuoco immediato. Stando alle indiscrezioni delle ultime ore, il piatto forte dell’incontro potrebbe riguardare la normalizzazione delle relazioni a livello bilaterale, in campo diplomatico, commerciale e politico. Sul dossier ucraino, al netto di qualche avvicinamento negli ultimi mesi (come la visita a sorpresa dell’inviato americano Steve Witkoff a Mosca il 6 agosto), le posizioni restano invece molto distanti. Dopo il summit in videoconferenza di ieri fra Trump e gli alleati europei, il presidente francese Emmanuel Macron ha reso noto che l’inquilino della Casa Bianca ha concordato sul fatto che Kiev debba partecipare a qualsiasi discussione sulle concessioni territoriali per porre fine alla guerra con la Russia. Trump, parlando alla vigilia del vertice, ha dichiarato che c’è un 25% di possibilità che l’incontro vada male, e che in questo caso non sentirà Zelensky né gli alleati europei. Ad alimentare le incertezze c’è anche la situazione sul campo: le forze russe, infatti, avrebbero sfondato la linea difensiva ucraina nei pressi di Dobropillia, appena a nord della roccaforte ucraina di Pokrovsk, nella regione di Donetsk, dando modo a Putin di sedersi al tavolo in Alaska da una posizione di forza.
Negoziare senza Kiev?
La questione del possibile scambio di territori come base per un’intesa sull’Ucraina è tutt’altro che semplice da risolvere. Nella giornata di lunedì, Trump ha affermato che un accordo di pace richiederebbe uno scambio di territori tra Ucraina e Russia, ma non ha specificato quali territori siano sul tavolo. Anche perché, con il fallimento de facto della controffensiva ucraina nell’oblast russo di Kursk, Kiev ha ben pochi territori da offrire in cambio di altri. Sembra chiaro, quindi, che la formula nasconda una qualche cessione definitiva dei territori che Mosca già controlla nelle regioni ucraine di Luhansk, Donetsk, Zaporizhzhia, Kherson (e Crimea, annessa unilateralmente nel 2014). Durante il summit virtuale di ieri, ha spiegato Macron insieme al presidente del Consiglio europeo António Costa, non ci sono state “discussioni robuste” sullo scambio di territori. Altri punti su cui Trump ha concordato con i partner europei, tra cui anche la premier italiana Giorgia Meloni e il cancelliere tedesco Friedrich Merz, includono la ricerca di un cessate il fuoco e la partecipazione degli Stati Uniti alle future garanzie di sicurezza per l’Ucraina.
USA-Russia first?
La normalizzazione dei rapporti tra USA e Russia, arrivati ai minimi storici sotto l’amministrazione democratica di Joe Biden, rientra nell’interesse di entrambi i presidenti. Putin spera in una rimodulazione (se non rimozione completa) delle sanzioni, cosa che Trump potrebbe offrire, ma anche in una riabilitazione politico-diplomatica (se gli USA torneranno a parlare con Mosca, potranno i partner europei continuare a isolarla?). Un altro tema in agenda, sottolinea l’Economist, è la cooperazione nell’Artico, ad esempio in materia energetica. Argomento, questo, che riporta alla luce discussioni che si sarebbero svolte a febbraio, con i funzionari russi desiderosi di corteggiare le imprese americane. D’altronde, con le sue uscite nei mesi passati sulla Groenlandia, Trump ha dimostrato che il dossier artico è parte integrante della sua agenda politica internazionale. Oltre alla revoca delle sanzioni, secondo il quotidiano britannico The Telegraph Trump potrebbe offrire a Putin anche l’accesso a minerali e terre rare sia in Alaska che in Ucraina, con cui gli USA hanno concluso uno storico accordo a maggio scorso. La storia recente, però, dimostra che un serio avvicinamento tra America e Russia, che una parte dell’establishment USA vedrebbe positivamente in funzione anti-cinese, è cosa più facile a dirsi che a farsi. Nel 2009 Hillary Clinton, allora Segretaria di Stato, tentò un “reset” delle relazioni USA-Russia, simboleggiato da un pulsante rosso consegnato al ministro degli esteri russo Sergej Lavrov. L’iniziativa mirava a migliorare i rapporti dopo anni di tensioni, ma il gesto fu criticato per il termine russo usato (“peregruzka”, errore per “riavvio”) e i risultati furono limitati a causa di divergenze su questioni come la Georgia e la NATO.
Il tempo stringe?
Intanto, le ultime notizie dai campi di battaglia sembrano far propendere l’ago della bilancia a favore di Putin. Le forze russe, infatti, starebbero avanzando nella regione di Donetsk, dove hanno guadagnato terreno negli insediamenti di Nykanorivka, Shcherbinivka e Petrivka. Secondo le rilevazioni dell’Institute for the Study of War (ISW), l’esercito russo ha compiuto un’avanzata significativa, la più grande in oltre un anno, conquistando 110 chilometri quadrati in 24 ore principalmente nella zona di Pokrovsk. Secondo una fonte militare sentita dall’Economist “il cuneo non si è ancora espanso, ma è una situazione deprimente”. Nel frattempo, il presidente ucraino Zelensky ha dichiarato che le forze ucraine hanno liberato 6 dei 18 villaggi occupati dai russi nella regione di Sumy, al confine nord-orientale, indicando un progresso difensivo in quell’area, nonostante le difficoltà altrove. Cosa aspettarsi quindi sul dossier ucraino dal summit di Anchorage? L’ipotesi meno peregrina è quella di un congelamento del conflitto sulle attuali linee del fronte, con un cessate il fuoco temporaneo. Finora Kiev aveva rifiutato ipotesi simili, dicendo che avrebbero dato ai russi tempo di fortificarsi nelle zone conquistate. Adesso, però, con uno sfondamento già in atto – per quanto ancora circoscritto – e con difficoltà sempre maggiori nel rimpolpare i ranghi (problema che la Russia, per definizione, non ha), gli ucraini potrebbero accettare.
Il commento
Di Gianluca Pastori, ISPI Senior Associate Research Fellow
“Al di là dai suoi esiti, il vertice di Anchorage segna un passo importante sulla via della normalizzazione dei rapporti fra Stati Uniti e Russia. Il faccia a faccia Trump-Putin segna il ritorno al dialogo fra la Casa Bianca e il Cremlino dopo gli anni del muro contro muro, iniziato all’epoca dell’invasione della Crimea e continuato in seguito, nonostante le attese che avevano accompagnato l’incontro Biden-Putin del giugno 2021. Per la Federazione è un indubbio successo. Il vertice legittima Mosca come interlocutore ‘alla pari’ di un’America ‘di nuovo grande’, riflette la logica ‘muscolare’ che sta alla base sia della politica putiniana sia delle scelte dell’amministrazione statunitense e segna la messa ai margini di tutti gli attori minori – soprattutto dell’Europa, intesa sia come Unione, sia come singoli Stati – riflettendo anche in questo caso una posizione condivisa fra Cremlino e Casa Bianca. Più che una consonanza di obiettivi, ciò che sembra tenere oggi insieme Mosca e Washington è, quindi, una visione condivisa del mondo, in cui la potenza fa premio sulle norme e la logica e la prassi del multilateralismo sono sostituite dal dialogo diretto e non mediato fra un numero ridotto di ‘grandi potenze’”.
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