Riccarda Zezza,
fondatrice e Chief Science Officer di Lifeed, autrice del libro Cura (FrancoAngeli)
Nel cuore della trasformazione che sta attraversando il mondo del lavoro, un concetto un tempo considerato “soft” sta assumendo una rilevanza sempre più strategica: la cura. Per i manager e dirigenti d’azienda che guidano team, prendono decisioni complesse e affrontano sfide sistemiche, la cura non è più solo un fatto personale: è una competenza manageriale chiave, capace di generare valore misurabile per l’organizzazione.
Cura: da sentimento a leva gestionale
La cura è una capacità organizzativa che si traduce in ascolto, responsabilità, capacità di creare contesti inclusivi e psicologicamente sicuri. Non si tratta di mera gentilezza, ma di una forma di intelligenza relazionale e strategica, fondamentale per chi guida persone, team e imprese.
Le organizzazioni più evolute stanno infatti riscoprendo il potenziale trasformativo della cura: quando è esercitata in modo consapevole, questa competenza potenzia l’engagement, riduce il turnover e stimola l’innovazione. Il leader che si prende cura crea fiducia, mobilita energie e genera senso. In un contesto di lavoro ibrido, sempre più complesso e spesso frammentato, questa capacità si traduce in coesione e continuità.
Perché la cura è diventata un tema centrale nel management
La pandemia ha accelerato una presa di coscienza: le persone non possono essere considerate mere “risorse”. I bisogni di senso, benessere, equilibrio tra vita e lavoro sono diventati centrali anche nei contesti ad alta performance. La cura diventa così una risposta concreta a un mondo del lavoro che chiede maggiore umanità senza rinunciare all’efficienza.
Inoltre, in un contesto in cui la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale riorganizzano i processi, le competenze più umane – tra cui la capacità di prendersi cura – si rivelano le più distintive. Per questo, molti programmi di leadership oggi includono percorsi di consapevolezza identitaria, capacità di ascolto attivo e sviluppo della fiducia. In un contesto così incerto e instabile, la capacità di cura non è accessoria: è ciò che permette a un leader di sostenere la complessità.
Costruire una cultura della cura: esempi concreti
In Lifeed, piattaforma di formazione e sviluppo umano adottata da oltre 100 aziende, vediamo ogni giorno come la cura possa diventare un asset organizzativo. Le persone, guidate da strumenti digitali e riflessivi, riconoscono le competenze sviluppate nei loro ruoli extra-professionali – genitorialità, caregiving, volontariato – e le trasferiscono nel contesto lavorativo, aumentando la propria efficacia.
Una manager, dopo il rientro dalla maternità, ha raccontato di aver affinato la gestione del conflitto e l’ascolto empatico. Un giovane collega, caregiver di un fratello disabile, ha sviluppato resilienza e capacità di negoziazione. Queste competenze, una volta rese visibili e valorizzate, migliorano le performance individuali e la coesione nei team. Così, la cultura della cura si diffonde per contaminazione positiva, generando impatti anche nei processi e nei modelli organizzativi.
Abbiamo osservato anche come, in contesti multinazionali, la cura diventi ponte tra culture. In un’azienda globale del settore farmaceutico, il riconoscimento delle esperienze di caregiving dei dipendenti in diversi Paesi ha portato alla creazione di una policy condivisa e culturalmente adattiva sul work-life balance, migliorando la retention e la motivazione. La cura, in questo caso, ha fatto da catalizzatore per una governance più inclusiva e partecipata.
In un’altra realtà del mondo retail, l’introduzione di una “mappa dei talenti invisibili” – competenze sviluppate fuori dal lavoro – ha permesso di riassegnare ruoli e responsabilità in modo più efficace, basandosi non solo su curriculum ma anche su esperienze personali: da un hobby musicale a una lunga esperienza di volontariato. Risultato: maggiore engagement e migliore customer experience.
Oltre gli stereotipi: la cura collega responsabilità e potere
Parlare di cura non significa idealizzare la leadership femminile o assegnare etichette di genere. Significa riconoscere che l’essere umano è complesso e multidimensionale, e che tutte le esperienze di vita generano risorse che possono essere utili anche sul lavoro.
Una leadership contemporanea sa integrare razionalità e sensibilità, dati e intuizioni, risultati e relazioni. E la capacità di prendersi cura – delle persone, dei processi, del contesto – diventa una competenza distintiva, soprattutto in tempi incerti. I manager oggi devono essere in grado di leggere le dinamiche emotive dei propri team, interpretare segnali deboli, gestire conflitti latenti. Tutto questo richiede una forma di intelligenza che si sviluppa proprio attraverso esperienze di cura.
In questo senso, la cura è anche una lente strategica: ci aiuta a vedere ciò che conta davvero, a costruire relazioni di lungo periodo con i collaboratori e i clienti, a cogliere la dimensione di responsabilità che c’è dentro il potere. Una leadership che si prende cura è più solida, perché costruisce fiducia – e la fiducia è la vera infrastruttura del lavoro umano.
Superare le resistenze culturali: le 5 scuse più comuni dei manager
Nonostante i dati e gli esempi positivi, molti manager faticano ancora ad abbracciare la cura come leva di sviluppo. Nel lavoro con le aziende, emergono spesso cinque “scuse” ricorrenti, che rivelano le resistenze culturali e organizzative più diffuse:
- “Non ho tempo” – Una scusa classica che nasconde spesso la difficoltà ad affrontare l’aspetto umano del lavoro. Ma prendersi tempo per la cura significa investire sul lungo periodo, prevenendo problemi e disfunzioni relazionali.
- “Non è il mio ruolo” – Alcuni manager pensano che la cura riguardi solo HR o la vita privata delle persone. In realtà, è proprio chi ha responsabilità di leadership a trarre più vantaggio dal creare contesti generativi e fiduciosi.
- “Sono pagato per ottenere risultati” – Come se la cura fosse in antitesi con la performance. Al contrario: sono sempre di più le evidenze che mostrano come la cura generi risultati migliori e più duraturi.
- “Non so come si fa” – È una competenza da apprendere, come qualsiasi altra. Servono strumenti, esempi, formazione, ma soprattutto è possibile apprenderla dagli altri ruoli della propria vita, in cui è presente: nessuno nasce leader capace di cura, ma tutti possono diventarlo.
- “In azienda non è valorizzata” – Spesso vero, ma destinato a cambiare. Sempre più organizzazioni stanno aggiornando i propri sistemi di valutazione, includendo la dimensione relazionale e il benessere tra gli indicatori chiave.
Smontare queste resistenze è possibile. Il primo passo è rendere visibile la cura come parte integrante della cultura aziendale. Quando i manager la riconoscono come leva strategica e non come gesto accessorio, si attiva una trasformazione concreta: nel modo di guidare, di valutare e di generare impatto.
Cura e performance: un binomio manageriale
I dati raccolti dall’Osservatorio Vita Lavoro – la divisione di Lifeed, nata nel 2021, che svolge attività di ricerca, comunicazione e divulgazione sul rapporto tra persone e lavoro – parlano chiaro.
Le analisi sono state condotte, negli ultimi dieci anni, sugli oltre 70.000 utenti della piattaforma Lifeed e hanno evidenziato come, con un approccio di leadership della cura, il 71% delle persone sviluppa talenti e competenze che non sapeva di avere, generando così maggiore produttività; l’86% delle persone si sente più ingaggiato e coinvolto in azienda, generando maggiore retention, attrazione dei talenti e riducendo quindi i costi di turnover. Il 90% delle persone migliora il proprio benessere, con una conseguente riduzione dei costi di assenteismo.
Ad ulteriore conferma delle evidenze emerse dal lavoro dell’Osservatorio, Lifeed collabora, sin dal 2015, con università italiane e internazionali per la validazione, misurazione ed evoluzione del proprio metodo scientifico proprietario, il Life Based Learning®, che trasforma le esperienze di vita e le relazioni di cura in occasioni di crescita personale e professionale.
Sui nostri dati sono state svolte anche ricerche accademiche perché hanno basi scientifiche riconosciute.
Le organizzazioni che investono nel benessere generano maggior retention, attrazione dei talenti, migliore reputazione interna ed esterna. La cura non è dunque una rinuncia al risultato, ma un acceleratore di performance sostenibile.
Allenare la cura significa preparare i manager a gestire l’incertezza con strumenti nuovi, capaci di integrare efficienza e umanità. E in un mondo dove tutto cambia, questa competenza diventa la più solida delle certezze. I leader del futuro – e del presente – saranno coloro che sapranno coniugare risultati e relazioni, numeri e persone, visione e presenza. In questo, la cura non è solo una competenza soft: è una strategia competitiva per l’impresa che vuole prosperare e contribuire al progresso sostenibile del pianeta.
VERSO UNA LEADERSHIP DI CURA
Strumenti e pratiche per una leadership consapevole, empatica e sostenibileIn un contesto lavorativo sempre più rapido, competitivo e orientato al raggiungimento dei risultati, la capacità di chi ricopre ruoli apicali di prendersi cura non solo di sé stesso, ma anche delle persone con cui lavora, rappresenta un elemento chiave per garantire la sostenibilità del lavoro nel tempo e la qualità delle relazioni professionali. In quest’ottica, diventa essenziale coltivare una leadership più umana, capace di integrare competenze relazionali e capacità di ascolto. Questo percorso formativo nasce con l’obiettivo di offrire strumenti concreti e applicabili, utili a sviluppare una leadership consapevole, fondata sull’intelligenza emotiva, sulla costruzione della fiducia e sulla gestione efficace dei conflitti all’interno dei contesti organizzativi.
QUANDO E DOVE
In partenza il 18 settembre alle 9,30 – Cfmt Milano, Learning House
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